Il porto di Eel Ma’aan (o El Man), a circa 30 chilometri dalla capitale somala, è stato costruito dall’imprenditore italiano Giancarlo Marocchino, scrive Greenpeace in un rapporto in lingua inglese che contiene anche numerose "inequivocabili fotografie" fornite – dice l’associazione ecopacifista – da un pubblico ministero.
Eel Ma’aan doveva servire da alternativa al porto di Mogadiscio, bloccato dall’infuriare dei combattimenti tra i "signori della guerra" somali.
Ma, secondo i testi di varie testimonianze e intercettazioni raccolte nell’ambito di un’inchiesta della procura di Asti, e che Greenpeace riporta, nel corso della costruzione del porto furono interrati nei moli numerosi container carichi di vari tipi di rifiuti pericolosi.
Secondo una nota pubblicata da Greenpeace e attribuita dall’associazione alla polizia giudiziaria, si legge che "i container interrati nel porto di Eel Ma’aan erano pieni di rifiuti: fanghi, vernici, terreno contaminato da acciaierie, cenere di filtri elettrici".
"Il 15 dicembre 1998, Ezio Scaglione (console onorario della Somalia) dichiarò al procuratore (Luciano) Tarditi che Marocchino aveva detto di poter sistemare rifiuti radioattivi seppellendoli in container utilizzati per rafforzare il molo di Eel Ma’aan", scrive Greenpeace citando l’inchiesta (la numero 395/97), peraltro archiviata per mancanza di prove.
In un’altra dichiarazione, citata dall’associazione, si dice che Vittorio Brofferio (che però Greenpeace chiama Angelo, direttore dei lavori della strada Garoe-Bosasso dal giugno 1997 al dicembre 2008) "aveva usato Marocchino per il trasporto dei materiali da costruzione dal porto di Mogadiscio al sito di costruzione della strada. A un certo punto Marocchino suggerì di seppellire numerosi container in un certo numero di luoghi disabitati, a condizione che non fossero mai aperti, con la prospettiva di fare un sacco di soldi".
Un altro testimone, il veterinario Marco Zaganelli, citato da Greenpeace, dice di aver conosciuto "Marocchino in Somalia nel 1987-88, dove gli chiese aiuto per ottenere un contratto somalo per l’importazione continuativa di rifiuti da società europee. Marocchino annunciò che c’erano container di rifiuti pronti a partire da un porto dell’Italia del sud".
Un documento di inchiesta del Parlamento italiano sull’uccisione della giornalista Ilaria Alpi e del cameraman Miriam Hrovatin in Somalia cita la stessa inchiesta di Asti, scrivendo che "a parere della Procura" una società facente capo allo stesso Marocchino avrebbe portato a termine "almeno una spedizione di prodotti pericolosi", tra cui "fanghi galvanici, morchie di vernici, terre di fonderie, ceneri da elettro filtro".
"Marocchino, circa i fatti contestatigli, non ha inteso rispondere al P.M.", è scritto nei documenti parlamentari. Ma l’imprenditore – arrestato in Somalia nel 1993 dalle autorità Usa durante l’operazione di "Restore Hope" perché accusato di traffico d’armi e poi rilasciato dopo essere stato consegnato all’Italia – nel corso di un’audizione con la stessa commissione parlamentare, ha spiegato che in sostanza si trattava di "articoli di ferramenta" di un negozio italiano dimesso.
Sulla base della documentazione raccolta, Greenpeace ora chiede alle Nazioni Unite di "intraprendere una valutazione indipendente della presunta discarica di rifiuti tossici e nucleari in Somalia e in particolare nell’area del porto di Eel Ma’aan", e al governo italiano di coordinare le procure "che hanno e stanno investigando sui temi del traffico di rifiuti pericolosi e radioattivi, con l’obiettivo di identificare e neutralizzare la rete di individui e imprese che gestiscono questi traffici".