A un Maggiolino Volkswagen di 40 anni fa mancano gli airbag, l’Esp, la marmitta catalitica, i fari alogeni, il parcheggio assistito, gli alzacristalli elettrici e via dicendo. Chi si sognerebbe di ricostruirlo per adattarlo alla circolazione moderna, due volte più densa e molto più veloce rispetto all’epoca della sua costruzione? Quanti di noi sarebbero disposti ad andare a lavoro tutti i giorni a bordo di un simile ferrovecchio? Un Maggiolino degli anni settanta non va bene nemmeno per la passeggiata domenicale: non è abbastanza vecchio e originale.
Naturalmente una centrale nucleare non è un’automobile. È molto più complessa, e dopo quarant’anni di vita sarà stata rinnovata periodicamente per quanto possibile e rispettando i criteri di sicurezza. Eppure le centrali progettate negli anni sessanta e collegate alla rete negli anni settanta – come è il caso dei reattori di prima generazione in Europa – in qualche modo somigliano al Maggiolino: il costo delle modifiche necessarie per renderle conformi alle norme attuali non è giustificato. I vecchi Maggiolini sono finiti da tempo dallo sfasciacarrozze. Ora è arrivato il momento di fare lo stesso con le vecchie centrali.
La Commissione europea, però, ha scelto una strategia diversa, e non sembra avere intenzione di chiudere le centrali, ma di modernizzarle per conservare l’attuale parco nucleare dell’Unione. La sorprendente conclusione tratta dal commissario europeo all’energia Günther Oettinger dai test di resistenza sulle centrali (voluti dopo l’incidente di Fukushima) è la seguente: il livello di sicurezza degli impianti è “complessivamente elevato”, e un’investimento tra i 30 e i 200 milioni di euro per reattore dovrebbe rimediare alle mancanze rilevate.
La posizione di Oettinger segue la tipica linea dell’Ue, che fin dalla sua creazione ha sostenuto l’atomo e non ha mai fatto marcia indietro, nemmeno dopo le catastrofi (scongiurate o meno) di Harrisburg, Černobyl’ e Fukushima.
Forse la tradizionale posizione di Bruxelles sul nucleare può spiegare la lettura di Oettinger del risultato degli stress test sui 132 reattori europei, ma di sicuro non la giustifica. Nella quasi totalità degli impianti sono state rilevate lacune in materia di sicurezza, e tra l’altro gli esperti non hanno tenuto conto delle nuove minacce come gli attentati o i cyber-attacchi. Inoltre alcuni stati dell’Ue hanno palesemente ostacolato l’accesso degli scienziati ai reattori e all’archivio dati. In sostanza sono stati test di resistenza molto “light”, ma sono emerse comunque evidenti lacune.
I test mostrano che la cultura della sicurezza sbandierata da chi sfrutta l’energia nucleare non è così profonda vogliono far credere. Gli esperti hanno denunciato con toni insolitamente decisi il fatto che in alcuni paesi (Germania compresa) le linee guida fissate dopo Harrisburg nel 1979 e Černobyl nel 1986 non sono state applicate integralmente.
È evidente che numerose compagnie elettriche ritardano il più possibile i lavori di ammodernamento, soprattutto per via dei costi esorbitanti. Secondo gli esperti di Bruxelles gli investimenti necessari potrebbero raggiungere complessivamente i 25 miliardi di euro. Non è un caso se il loro rapporto sottolinea che 11 reattori su 132 sono situati in agglomerati dove vivono più di centomila persone nel raggio di 30 chilometri.
La Germania ha imparato la lezione di Fukushima e ha scelto di non modernizzare le vecchie centrali. Le ha semplicemente fermate, e ha preparato un calendario per chiudere anche quelle più recenti. La decisione di Berlino non è affatto legata all’angoscia dei tedeschi. È una semplice precauzione.
Nel panorama europeo di oggi la Germania non è un’eccezione. Belgio e Svizzera vogliono uscire dal nucleare entro il 2025, gli italiani hanno detto no al ritorno all’energia atomica, il programma nucleare del governo polacco incontra forti resistenze e persino in Francia cresce lo scetticismo verso l’atomo. In Finlandia e Francia la costruzione di due nuovi reattori incontra una difficoltà dietro l’altra, e i costi sono ormai doppi rispetto alle previsioni. L’annunciata rinascita del nucleare, insomma, tarda ad arrivare.
Certo, Bruxelles non ha l’autorità per imporre agli stati l’abbandono del nucleare. Sull’atomo decidono ancora i singoli governi. Ma forse un commissario europeo dovrebbe almeno avere il coraggio di esprimersi in favore della chiusura delle centrali. Stabilire la responsabilità civile delle compagnie elettriche in caso di incidente nucleare è una buona cosa. Ridurre drasticamente il rischio che questi incidenti si verifichino sarebbe molto meglio.