Quando nel dibattito sul prossimo passo da intraprendere per risolvere la crisi europea la Cancelliera tedesca assume una posizione che non coincide con quella francese, italiana, o di un altro Paese, in Francia, Italia e altrove si dice con sdegno che la Signora Merkel si è piegata al volere dei propri elettori, che vuole essere rieletta e che sacrifica l’unità europea a questo obiettivo. La situazione si è ripetuta anche prima dell’ultimo vertice del 18-19 ottobre a Bruxelles, in cui si è discusso dell’istituzione di uno strumento europeo di vigilanza bancaria.
Non è raro che negli Stati democratici i governanti tengano conto delle aspettative degli elettori. Tutti i capi di governo lo fanno, e perciò tutte le critiche in tal senso restano lettera morta. Tuttavia, queste accuse non contribuiscono a far comprendere i motivi che stanno dietro l’accoglimento o il rifiuto di una determinata posizione da parte dell’uno o dell’altro governo.
Nel caso della Cancelliera, per comprendere correttamente il suo atteggiamento nelle questioni di politica europea, occorre far riferimento sempre anche alla Corte costituzionale federale, la cui posizione pone regolarmente grandi ostacoli in caso di decisioni importanti sugli sviluppi dell’Unione europea, come avvenuto nel caso dei Trattati di Maastricht e Lisbona e come, recentemente, nel caso del Trattato sul patto di stabilità europeo.
In qualità di custode della Costituzione tedesca, e in particolare del vincolo alla democrazia sancito dalla Legge fondamentale tedesca, la Corte costituzionale federale parte dall’assunto che nel processo di unificazione europea i compiti fondamentali dello Stato debbano rimanere prerogativa della Repubblica federale, e conseguentemente del Parlamento nazionale. Oppure che con un atto costituzionale debba essere fondato uno Stato europeo costituito dal popolo europeo. In altre parole, secondo il principio della Corte costituzionale federale, l’Unione europea, nell’attuazione del processo di integrazione europea non può superare i confini dello Stato federale o di statualità, a meno che detto Stato federale europeo non si appoggi ad una nuova Costituzione, approvata dai cittadini dell’intera Unione, vincolata agli stessi valori e principi della Costituzione tedesca.
Ma dov’è il confine con lo Stato federale o con la statualità dell’Unione europea? Esso è stabilito sempre dalla stessa Corte costituzionale federale che, nel far ciò, segue considerazioni che non sono facilmente comprensibili per il loro elevato livello di astrazione. Tali considerazioni sono inoltre orientate – come nel caso della sentenza sul Trattato di Lisbona – alle categorie di Stati nazionali tramandate tradizionalmente che, nella realtà del XXI secolo, sono orami superate a causa dei processi di integrazione transnazionale e di globalizzazione.
Finché non sarà possibile costituire con un atto (rivoluzionario) uno Stato federale europeo, la politica europea della Germania continuerà a doversi muovere con queste difficoltà e con questa tensione, indipendentemente dal fatto che le direttive siano tracciate dalla Signora Merkel o da un suo successore.
E in effetti, da un punto di vista teorico, la cosa migliore – e anche oggettivamente sensata – sarebbe che gli Stati membri fossero disponibili ad approvare una Costituzione (federale e democratica) per rifondare l’Unione europea come nuovo Stato federale sovranazionale. Le richieste in tal senso vengono avanzate da decenni soprattutto dal Movimento federalista europeo. Ma la realtà politica non ha mai consentito un passo di questo genere. Le speranze in una svolta, legate nel 2002-2003 al lavoro della Convenzione europea, sono state disattese due volte: il risultato di questo lavoro è stato prima annacquato in gran parte dai rappresentanti dei governi e successivamente è stato respinto anche dai referendum in Francia e nei Paesi Bassi.
In queste circostanze, la politica di unificazione europea può progredire solo come in passato: passo dopo passo verso “un’unione sempre più stretta di popoli”, mentre attualmente i singoli passi sono dettati per lo più dalla necessità di superare la crisi.