Di origini perugine, il pianista jazz Giovanni Mirabassi, uno dei più importanti pianisti a livello europeo, è stato ospite del Festival Jazz di Saarbrücken che nel 2014 si è tenuto dall’8 al 25 Novembre ed ha tenuto un concerto nei locali del Saarländischer Rundfunk . Influenzato, in giovane età da Bud Powell, Art Tatum, Oscar Peterson, Bill Evans, Kenny Barron, Chick Corea e Keith Jarrett ha appena 17 anni quando gli viene offerta la possibilità di accompagnare Chet Baker durante uno spettacolo proprio a Perugia. Dal 1992 vive a Parigi e appena 4 anni ottiene il premio di miglior solista nel Festival Jazz di Avignon. Giovanni è un compositore, un solista, un leader e un arrangiatore: vive la musica in tutte le sue sfaccettature e riesce a presentare toni ricchi di elementi dinamici. Lo abbiamo incontrato, poco prima del concerto, in cui si è esibito con il batterista Gianluca Renzi e il batterista Lukmil Perez.

L’internazionalità: come è che fa parte di te?

Sono di origini italiane e vivo a Parigi. Parlo spagnolo con il mio batterista, italiano con il bassista, francese nella mia vita “quotidiana” e inglese quando sono in giro. Bisogna essere giocolieri.

Internazionale è anche il tuo pubblico. Hai notato delle differenze? Il pubblico tedesco, per esempio, come è per te?

Della Germania non ho una grande esperienza. Ho fatto qualche concerto in Germania (Monaco di Baviera, Amburgo e Berlino per citarne alcuni) ma non tantissimi. Ho notato che il pubblico tedesco è molto attento, preciso ed ha una certa profondità nella sua profondità di ascolto. Del resto non c’era da aspettarsi nulla di diverso: i tedeschi sono uno dei “Popoli della musica” con una storia musicale davvero importante. In tournee sono stato un po’ dappertutto in Europa: ho molta più esperienza, però, con il pubblico francese e quello giapponese. Il mio primo mercato è la Francia, mentre il secondo mercato è, in effetti, l’area costituita da Giappone, Corea del Sud e Cina.

Con una vasta esperienza di concerti alle spalle, quale concerto in qualità sia di protagonista che di settatore ti ha dato più emozioni?

Inizio con me come “attore perché non ci devo pensare su molto prima di rispondere: si tratta di un festival in Corea del Sud a cui ho partecipato. Ho suonato in uno stadio a 4 ore di auto da Seoul. Questo Festival era molto prestigioso: prima della mi esibizione c’era la Fanfara dell’Aereonautica Militare della Corea del Sud che suonava “Earth, Wind & Fire”, Kurt Halling e poi il mio trio. Le condizioni metereologiche, perché avevano previsto una gran pioggia. E la pioggia non si fece attendere: il campo divenne un ammasso di fango, tipo Woodstock. Anche il palco non era al massimo: La copertura era rotta e vi pioveva. Surrealismo puro. Dato che avevo alle spalle 10.000 km decisi di suonare, nonostante il tempo non fosse dalla nostra parte. Quello che mi colpì maggiormente in quell’occasione è che nessuna delle 8.000 persone del pubblico se ne andò: rimasero tutti sotto la pioggia, felici ed eccitati che il concerto si tenesse. Per quanto riguarda me come visitatore di concerti, la situazione è invece differente. Ero molto giovane. Avrò avuto 7-8 anni quando andai ad un concerto d’organo di Federica Panichi, ma non mi ricordo il programma. Ero troppo giovane, sicuramente, per apprezzare musica sacra in una cattedrale ghiacciata a gennaio. Qualche anno dopo, a 11 anni, avevo un professore di matematica che in realtà avrebbe voluto essere un tenore e che, quasi ogni domenica, mi portava ai concerti del Teatro Morlacchi. Questo tipo di concerti mi piacque di più sia perché c’erano molti più musicisti ma, soprattutto, perché riuscivo a vederli come suonavano. Da adolescente ho visto anche parecchi concerti di musicisti jazz, ormai scomparsi.

Il tuo gruppo è Giovanni Mirabassi Trio. Come è nato?

Il tutto nacque con la mia necessità di un bassista perché dovevo suonare con Flavio Boltro. Lui mi suggerì di andare a sentire un concerto di Rosario Giuliani perché c’era un bassista fantastico, Gianluca Renzi. Ci andai e Gianluca mi piacque. Subito dopo il concerto gli proposi di venire a suonare con me. Questo successe 8 anni fa e da allora suona sempre con me. Lui abita a New York e ci raggiunge sempre le tournee. Lukmil Perez invece arrivò, se così si può dire, tramite un Jacky Terrasson. Fui invitato ad esibirmi a una session e notai che nel gruppo di Jacky c’era questo batterista giovane e in gambissima. All’inizio pensavo che facesse parte del suo gruppo, ma, quando glielo chiesi, lui mi rispose che non sapere chi fosse il batterista. Così dopo la session, mi avvicinai a Lukmil chiedendogli chi fosse. Quando mi disse il suo nome mi si accese una lampadina: aveva già fatto un sacco di dischi con grandissimi musicisti cubani. E quattro anni fa poi Lukmil è diventato parte del mio trio. Il gruppo è in perfetta armonia, perché la cosa più importante è la musica.