Ma la pizza oltre che essere buona e anche salutare ? A questo interrogativo ha cercato di dare una risposta una recente trasmissione di Report andata in onda in ottobre su Rai3 sollevando, com’era facilmente prevedibile, interesse ma anche molte polemiche in considerazione degli enormi interessi economici legati a questo settore alimentare.
Chi ha seguito Report Pizza ha avuto un ulteriore conferma dei suoi sospetti e cioè che, come in tutte le cose di questo mondo, c’è pizza e pizza, buona e cattiva. C’è quella fatta con i suoi giusti ingredienti di qualità – la farina, il passato di pomodoro, la mozzarella e l’olio d’oliva – e preparata con le giuste tecniche di impasto, di lievitazione e di cottura (in forno a legna a 300-350 gradi) con il risultato di una pizza morbida, flagrante e profumata, una vera delizia per il palato.
Dall’altra parte, invece, c’è la pizza fatta con prodotti di base scadenti, magari con pomodoro importato dalla Cina, con un impasto preparato da mani non esperte e non sufficientemente lievitato e cotto poi a temperature eccessive e quindi bruciato. Una pizza così è destinata a restare imperdonabilmente sugli stomaci dei malcapitati clienti e sul lungo andare è nociva per la salute, come hanno affermato gli esperti interpellati da Report nel corso della trasmissione. A sentir parlare di “pizza cancerogena” a più di qualche telespettatore dev’essere venuta meno la voglia di tornare prossimamente in pizzeria. In effetti il pericolo non si può escludere se gli addetti alla preparazione della pizza non puliscono con la dovuta frequenza il forno, con la conseguenza che le pizze sono cotte in presenza dei fumi della farina carbonizzata che si deposita sul forno. Lo stesso vale per quelle pizze che a causa dell’eccesso di temperatura escono dal forno con orli bruciacchiati.
Per chiarirmi le idee sono andato a trovare un ristoratore di Colonia che fa anche la pizza e che conosco da lungo tempo e stimo per la sua serietà e preparazione. Paolo Faragi ha incominciato da ragazzo a impastare pizze e attualmente gestisce con successo la “Trattoria da Paolo” nel quartiere di Marienburg di Colonia, dopo aver esordito un paio di decenni fa con una pizzeria in un quartiere frequentato prevalentemente da studenti. È l’unico ristorante che frequento quando desidero mangiare una pizza Margherita fatta come si deve. “Per fare una vera pizza ci vuole amore e sapienza” esordisce Paolo con tipica cadenza siciliana mentre accanto al forno a legna seguo in tutti i particolari la preparazione della mia pizza. Alla fine quando Paolo estrae con la spatola la Margherita dal forno senza ombra di quel fumo nero che avevo visto nella trasmissione di Report. Anche la parte inferiore della pizza ha una superficie assolutamente pulita.
Paolo mi indica una spazzola di paglia (nota bene: di paglia e non di plastica come alcuni pizzaioli usano!) legata a un lungo bastone che egli usa per ripulire dalla farina anche i punti più lontani del forno a legna. Un attrezzo sempre a portata di mano con il quale riesce facile ripulire la superficie del forno dai resti della farina usata per confezionare il disco della pizza. Che sono poi quei resti che restando nel fondo si carbonizzano causando il dannoso fumo nero. A questo punto si potrebbe dire che il segreto di una buona e salutare pizza è tutto qui, nell’utilizzo dei giusti materiali e nella pulizia del forno. Sarebbe un’imperdonabile torto “alla sapienza e all’amore” che Paolo Faragi dedica alla pizza. Nonostante il successo che ha coronato la sua come ristoratore in uno dei più eleganti quartieri di Colonia, la pizza gli è rimasta nel cuore di Paolo che ancor oggi è sempre pronto ad accorrere in aiuto al personale che sotto la sua attenta regia ha la responsabilità di preparare le pizze.
Report ha fatto bene a realizzare una critica trasmissione sulla pizza. Peccato solo che pochi abbiano avuto modo di seguirla. Ne sarebbe falsa la pena perché con grande probabilità questo famoso prodotto del “made in Italy” dopo essere già stato riconosciuto dalla Ue come “Specialità Tradizionale Garantita” (Stg) ha ora buone probabilità di entrare prossimamente nella lista dei “beni immateriali” dell’Unesco che elenca attualmente 90 voci, di cui cinque sono italiane: la dieta mediterranea, l’arte del violino, il canto a tenore, l’opera dei pupi e le macchine a spalla nelle feste religiose. Fino a un paio di settimane fa si pensava che la pizza napoletana, già candidata a ottenere il prestigioso marchio culturale dell’Unesco avrebbe potuto divenire la sesta voce italiana. Invece, se tutto andrà bene, potrà essere soltanto la settima perché in modo del tutto inaspettato alla conferenza dell’Unesco svoltasi in novembre a Parigi la sesta voce italiana è divenuta la vite dello Zibibbo che si coltiva nell’isola di Pantelleria.
Una grande soddisfazione per il “made in Italy” perché mai prima dell’Italia nessun Paese era mai riuscito a iscrivere nella celebre lista culturale dell’Unesco una pratica agricola. Se tutto andrà bene, così si spera, la pizza napoletana sarà la settima voce italiana a entrare tra le voci del prestigioso marchio dell’Unesco.
Foto: Paolo Faragi, Trattoria da Paolo Köln