A conferma dei sondaggi, in Scozia ha vinto, sia pure per poco, il no al quesito referendario tendente a farne un Paese indipendente dopo 307 anni di unione con l’Inghilterra. Un evento importante, il referendum, concesso da Londra in nome della “autonomia degli Stati” e della loro sovranità, quindi della “democrazia”.
Quella che dà ai cittadini la possibilità di scegliere i Parlamentari, il Premier e, a volte, il Capo di Stato, quindi i politici ai quali riconoscere il diritto di emanare le leggi che ritengono più opportune. Significativo, perciò, che il Ministro inglese, David Cameron, abbia accettato la sfida, ritenendola totalmente democratica, e promesso al Parlamento scozzese, qualunque fosse il risultato, una maggiore autonomia fiscale, l’equa condivisione delle risorse, nonché la possibilità di decidere su tutto, compresi i finanziamenti dell’Nhs, il servizio sanitario nazionale, tranne in materia di difesa nazionale ed affari esteri.
D’altra parte è inevitabile che molte popolazioni europee chiedano, per motivi storici, linguistici o puramente economici, di potersi separare dallo Stato cui appartengono e di potersi scegliere il proprio futuro. Una petizione che è diffusa in diversi Paesi del nostro Continente, cominciando dal Regno Unito, dove le istanze separatiste permangono in Cornovaglia, nel Gallese e nell’Irlanda del Nord.
In Spagna chiedono l’autonomia statale la Catalogna, la Galizia e l’Andalusia, terra, quest’ultima, che vanta una cultura cosmopolita derivante dalla sua storia che rimanda ai Romani, agli Arabi e ai Cartaginesi; in Belgio la vorrebbero i Fiamminghi; in Francia (che, secondo Troadec, leader dei Berretti rossi bretoni, è un “Paese ipercentralizzato che non riconosce i diritti alle sue minoranze”), la desiderano sia la Corsica che la Bretagna.
Non va meglio nella Germania del Sud dove è diffuso il sogno di una Baviera autonoma, bramata da una popolazione di oltre 12 milioni di abitanti aventi particolari usi e costumi. L’Alsazia e la Lorena poi sono da sempre terre di scontri culturali con i Francesi.
In Serbia è ancora aperta la ferita del Kosovo, indipendente dal 2008, ma non riconosciuto da tutti i paesi dell’Unione europea; e sono recenti le battaglie relative al referendum, svoltosi in Crimea per staccarsi dall’Ucraina e vinto con oltre il 97% di consenso dei votanti), la cui legittimità è respinta dall’Unione europea e dagli Stati Uniti d’America, mentre è riconosciuta dalla Russia. E c’è anche chi teme che la Polonia possa rivendicare di nuovo Leopoli e la Galizia, in caso di smantellamento dell’Ucraina.
Movimenti d’indipendenza non sempre dettati dal desiderio di creare un nuovo Stato, piuttosto di spostare su un “Arco Latino” (anello debole del Vecchio Continente a dispetto dei legami storici e culturali che avvicinano Spagna, Grecia, Italia e Francia) il peso dell’UE oggi incentrato su Berlino. Anche nella Penisola italiana scalpitano la Lombardia, il Veneto, la Savoia, la Sardegna e la Sicilia, Regioni ed isole i cui cittadini contestano ancora i risultati del Risorgimento nazionale e dell’Unità nata nell’Ottocento, compresi i Siciliani che, alla caduta della Monarchia, seppero conquistarsi l’autonomia sancita dalla Costituzione, ma che in realtà dipendono economicamente dalle Regioni settentrionali.
Fatto che non ha proibito loro di organizzare, nel giorno del referendum scozzese, il seminario”, tenutosi a Palermo, dal titolo “Sicilia, Scozia, Catalogna alla prova dell’autodeterminazione”. In Sardegna, invece, sta nascendo un indipendentismo liberale, che associa autogoverno e libero scambio, dal risultato tuttora incerto. Ovvio, le spinte maggiori alla disgregazione si registrino al Nord. Specialmente nel Veneto che, sul piano storico e culturale, può vantarsi di avere avuto 10 secoli di storia indipendente e di una prosperosa economia, cresciuta negli ultimi trent’anni e tanto significativa da obbligarla a dare all’Italia molto più di quanto non riceva dallo Stato, il che spinge i Veneti a sognare una rinascita del Leone di Venezia, e stimola il Consiglio regionale ad approvare due leggi che mettono al centro il tema dell’autodeterminazione.
Se questa Regione è pronta allo scontro con Roma, il sogno della “Padania libera” non è mai tramontato nei cuori dei leghisti e rimane uno dei punti programmatici della Lega di Matteo Salvini. Indipendenze e desideri di secessionismi che hanno spinto il Governo britannico e la regina ad applaudire il risultato del referendum scozzese, ma che hanno fatto diffondere in Europa un senso di sollievo. La vittoria del sì infatti avrebbe potuto innescare effetti imitativi, galvanizzando gli estimatori delle “piccole patrie” sparsi nel Continente.
Anche perché politici e sociologi ritengono che il desiderio d’indipendentismo sia figlio della crisi economica che sta attanagliando il Continente e che l’autonomia sia l’unica strada percorribile per fare rifiorire le economie locali, grazie a politiche specifiche incentrate sui singoli territori. Convinzioni discutibili, ma non sempre   sostenibili.