I terremoti di per sé non uccidono. L’83% delle morti avvenute negli ultimi 30 anni a causa di un terremoto è da attribuire al crollo dei palazzi. Per un Paese, quindi, puntare sulle buone costruzioni equivale a scongiurare la tragedia. Eppure, noi, in Italia, abbiamo i migliori sismologi ed ingegneri al mondo; abbiamo i migliori geologi e le migliori menti nelle varie discipline. Ci sappiamo distinguere per la creatività nel trovare soluzioni, ma non sappiamo gestire i nostri rifiuti.
I nostri palazzi crollano alle scosse di terremoto e le nostre case franano con un po’ di pioggia. Colpa della corruzione, sostengono i due professori Nicholas Ambraseys dell’Imperial College of London e Roger Bilham dell’università del Colorado, autori di una scoperta, pubblicata sulla rivista scientifica Nature, che mostra per la prima volta una relazione diretta tra corruzione e vittime delle catastrofi.
È ovvio, infatti, che le morti sono tanto numerose quanto più il Paese è povero, ma tasso di povertà e ignoranza non riescono da soli a spiegare la casistica. A parità di reddito, allora, è il grado di corruzione a fare la differenza. Nel 2010, ad esempio, la Nuova Zelanda ha subito un terremoto di magnitudo 6.8 della scala Richter. I morti sono stati solo 4.
Il terremoto che ha colpito L’Aquila nel 2009 era di più bassa intensità, magnitudo 6.3, eppure i morti sono stati ben 312 e le conseguenze si scontano ancora oggi. I due Paesi presentano più o meno lo stesso livello di reddito e di competenze ingegneristiche. Uno, però, le mette in pratica, l’altro invece le lascia sulla carta. Perché? Andando a guardare la statistica, i due Paesi non sono del tutto uguali: il grado di corruzione dell’Italia è molto più alto di quello della Nuova Zelanda.
L’indicatore preso in considerazione è il Cpi, il Corruption perception index, quello utilizzato dall’illustre organizzazione mondiale, la Transparency international, per stilare la sua annuale classifica. Premettendo che in cima alla lista ci sono i più virtuosi, nel 2010, noi ci posizionavamo al 67mo posto, in discesa rispetto all’anno precedente, addirittura dopo Ruanda e Samoa e solo subito prima di Georgia, Brasile e Cuba. Proprio la Nuova Zelanda, invece, insieme alla Danimarca, è il Paese meno corrotto al mondo; mentre in fondo alla classifica ci sono Iraq, Afghanistan, Birmania (da ottobre Myanmar) e Somalia, tutti Paesi devastati dalla guerra o ostaggio di un governo militare.
E a che punto è Haiti? Il Paese ha un reddito nazionale lordo pro capite superiore a molti altri. Il terremoto di magnitudo 7.0 che l’ha colpita nel gennaio 2010 ha provocato però ben 212.000 morti, un numero quasi senza precedenti. Come è senza precedenti il suo grado di corruzione, visto che Haiti si trova al 146mo posto su 178. Se è vero, però, che non tutti i Paesi con lo stesso reddito hanno lo stesso grado di corruzione, è vero anche che i Paesi poveri sono generalmente più corrotti di quelli ricchi. La povertà, infatti, è terreno fertile per le pratiche illegali, così come quest’ultime ne sono la causa, un po’ come in quel noto meccanismo del “cane che si morde la coda”.
Il reddito dei Paesi, infatti, è il risultato di numerose forze controtendenti. In Italia, ad esempio, ne abbiamo una che gioca fortemente in positivo: è l’eccellenza di molti personaggi, che ci tirano su lì dove i corrotti ci tirano giù. Resistiamo, quindi, perché abbiamo qualcosa in più degli altri, ma non sfondiamo come dovremmo, perché l’altro volto dell’Italia ci trattiene in basso come una zavorra. E il settore edile è quello che più pesa in negativo. Il giro di affari si aggira sui 7,5 trilioni di dollari l’anno, quanto basta per attivare le antenne del mondo criminale.
Diventando corrotto, un sistema però non funziona più con la concorrenza e questo determina un abbassamento della qualità generale. Il ragionamento è infatti questo: visto che è già deciso che sarò io ad aggiudicarmi quel lavoro, perché spendere di più per realizzare un prodotto migliore? Largo quindi a “materiali scadenti, metodi assemblaggio poveri, disposizioni dei palazzi inappropriati e non adesione ai codici di costruzione”, dice lo studio. E il meccanismo si autoalimenta. Un tale contesto, infatti, mi permette addirittura di aumentare ulteriormente i miei vantaggi, affidando i lavori a chi potrà ricambiarmi il favore, e non in base al suo grado di competenza.
Gli esperti si mettono quindi da parte e, con loro, anche la prevenzione, la messa in sicurezza dei palazzi antichi e la solidità di quelli moderni. Ecco quello che c’è dietro il terremoto de L’Aquila. Quello che ci permette di capire perché, nonostante avessimo tutte le competenze del caso, non si è provveduto a verificare, prima di farci andare a vivere degli studenti, se quelle case erano ben costruite o se sarebbero crollate ad una scossa di terremoto. E perché, ancora oggi, casi del genere continuano a succedere senza che i responsabili vengano identificati. Il problema italiano della corruzione, infatti, ha la grande aggravante di risiedere ben a monte e soprattutto di poter contare su un sistema giudiziario tra i peggiori al mondo.