Il tuo rapporto con l’italianità?
Mia madre è tedesca e mio papà è originario di Treviso. Per confermare gli stereotipi, sono figlio di un gelataio ed ho avuto la fortuna di diventare grande in una gelateria. Un sogno per ogni bambino. Da bambino, quando avevo ancora i nonni, andavo a Treviso regolarmente. Ci torno ancora, ma non con la stessa frequenza di prima. L’Italia rappresenta, per me, passione, voglia di vivere e piacere. È un dato di fatto che la cucina italiana è deliziosa e una vera esperienza per il palato. Gli Italiani hanno un modo diverso di relazionarsi al cibo: lo adorano, lo curano e per qualsiasi cibo c’è anche una storia dietro. Mi ricordo il negozio di alimentari di mia zia in Italia: lei era in grado di raccontarmi una storia sull’origine e la preparazione di salumi, latticini e pasta. Nulla dell’arida esperienza di comprare alimentari in un supermercato o discounter.
Altro aspetto dell’italianità è lo stare assieme durante i pranzi e le cene. Il cibo è al centro, viene gustato, con tempo e in buona compagnia. Non c’è quel mordi e fuggi, tanto mangi per vivere. L’attenzione agli ingredienti e all’ambiente è una delle combinazioni che amo di più. Probabilmente è anche dovuto che la famiglia di mio padre si occupava di agricoltura: quando hai un rapporto con la terra, hai anche un rapporto diverso con il cibo e l’alimentazione. Quello che si vede ultimamente con il ritorno al biologico e alla produzione locale. Confesso che anche a me piacerebbe avere un piccolo orticello in cui coltivare le mie verdure.
Purtroppo, con i ritmi di vita che ho, non potrei dare la cura e l’attenzione necessaria, purtroppo. Anche se parlo italiano, si sente che sono nato e vissuto in Germania. Forse è anche un po’ colpa mia perché, da bambino, mi rifiutavo di parlare italiano. Mio padre insisteva a parlare con me in italiano ma io, già ai tempi dell’asilo, volevo integrarmi e non venire considerato lo straniero. Quasi ci fosse una paura a non fare parte del gruppo.
Come ti sei avvicinato alla musica?
Contrariamente a quello che si pensa, non è stato naturale per me seguire le orme di mio padre e prendere in gestione la gelateria. A dire il vero penso che si sentisse che la mia dimensione dovesse essere un’altra. Spesso si pensa che la vita di chi ha una gelateria sia una passeggiata: non lo è affatto. Hai giornate lunghe ed estenuanti per circa 9 mesi l’anno: solo in inverno puoi respirare. È una vita davvero sacrificata. Visto che mia madre adora cantare e mio padre ha una passione per l’opera, la musica a casa mia non è mai stata una straniera. La musica scorre nelle mia vene e non ho mai lasciato scappare un’occasione per cantare. I miei genitori mi hanno sempre spronato, sostenuto e stimolato ad andare per la mia strada. Questa è una cosa per cui non finirò mai di ringraziarli. All’età di 16 anni mi sono reso conto che ero bravo a cantare e che non era una semplice passione. Così, dopo la maturità, ho deciso di iscrivermi al conservatorio. Ho studiato canto lirico anche se non mi ero mai soffermato a pensare che tipo di cantante volessi diventare. L’importante per me era cantare e recitare. Forse un po’ ingenuo da parte mia, ma pensavo (e continuo a pensarlo) che divertirsi in quello che si fa è importante. Solo in un secondo momento mi sono reso conto che l’opera non è proprio quello che fa per me, perché non mi completava: ero come se mi mancasse qualcosa… Volevo anche recitare e interpretare: quasi naturale la decisione di passare poi al musical. In questo setting mi sento proprio a casa: intrattenere le persone, poter essere divertente, mettermi in gioco recitando cantando e a volte anche ballando.
Il tuo “battesimo di fuoco” e il tuo palco dei sogni?
Difficile da rispondere. In realtà, già durante gli studi mi sono esibito su diversi palchi, era parte del percorso di studio. Se dovessimo prendere in considerazione il mio primo lavoro “pagato” è stata la mia parte in “Die drei Musketiere” (= I tre moschettieri). Il ruolo che invece mi ha entusiasmato di più è il ruolo di Peter nel Musical di Harpe Kerkeling “Kein Pardon”. Se invece devo nominare un palcoscenico per tutti è quello di Kiel, senza dubbio. Esibirsi sul palco della propria città non ha prezzo. Da piccolo andavo a teatro e, datemi del nostalgico, ma essere in scena su quel palco è stato un sogno che è diventato realtà. Nel mio futuro voglio fare ancora tanto: direi che qualsiasi nuova esperienza, che rientri però nelle mie corde, sarà una sfida che ben accetterò.