Merlo (Maeci): In Germania c’è una migrazione ancora attuale. Se si deve criticare l’Europa, lo si deve fare non per distruggerla ma per rafforzarla
Vignali (Maeci – Dgit): Vi è complementarietà fra i caratteri italiano e tedesco. Una comprensione che è in una linea di continuità dai primi migranti fino ai giovani che ancora oggi si recano in Germania

Una canzone in sottofondo ha accompagnato i preparativi per la presentazione del volume del libro e web documentary “Italiani di Germania”, svoltasi alla Farnesina nella Sala Aldo Moro: è la canzone “Zwei Kleine Italiener” che tradotto vuol dire “Due piccoli italiani”. La canzone fu portata all’Eurovision Song Contest nel 1962 da Conny Froboess: un’edizione che vide, per la prima volta, la Germania presentarsi in un contesto musicale internazionale parlando della comunità italiana. Come ha evidenziato durante la presentazione il direttore generale per gli Italiani all’Estero e le Politiche Migratorie del Maeci, Luigi Maria Vignali, questa canzone cadeva in un momento storico in cui il popolo tedesco riscopriva gli italiani. “Erano trascorsi appena diciassette anni dalla fine del secondo conflitto mondiale eppure già si cominciava a capire il contributo dato dagli italiani alla ricostruzione della Germania. Era importante in quegli anni ricostruire non soltanto una comune coscienza europea, ma anche fisicamente il Paese tedesco: gli italiani non fecero mancare il proprio prezioso contributo. Lo spirito di molti, tra coloro che andavano lì, era dunque quello di sentirsi partecipi di una comunità e i tedeschi capirono che gli italiani non stavano dando solo un contributo in quantità ma anche e soprattutto in qualità”, ha spiegato Vignali.

“Italiani di Germania” è un volume edito da Peliti Associati, con testi di Lorenzo Colantoni e fotografie di Riccardo Venturi; è nato da un progetto di Akronos, con il supporto istituzionale del Maeci e quello del National Geographic in veste di media partner. “La comunità italiana in Germania non è una comunità qualsiasi: è una collettività estremamente numerosa e importante, che ha una grande storia alle spalle, che ha contribuito in modo significativo a fare della Germania il Paese che è oggi”, commenta nell’incipit della prefazione al volume l’Ambasciatore Pietro Benassi. Come si legge anche nell’introduzione, “parlare degli italiani in Germania va oltre il racconto dell’emigrazione in sé, in quanto si tratta di un rapporto continuo e complesso come pochi ne sono esistiti tra gli italiani e i popoli di altri Paesi europei e del mondo”. E’ un rapporto che è stato spesso figlio del luogo comune e della reciproca attrazione, tra l’efficienza tedesca e la creatività italiana; tuttavia, per dirla con le parole dell’italo-tedesco Giovanni Di Lorenzo, direttore del settimanale Die Zeit, “negli italiani c’è un pragmatismo ineguagliabile e nei tedeschi quell’idealismo che ha fatto nascere il Romanticismo”. Insomma è un rapporto quasi di comprensione-incomprensione dettato da differenze ed affinità. Un fiume in piena di storie che va oltre i dati numerici, secondo i quali gli italiani residenti in Germania sarebbero compresi tra i settecentomila, stando ai dati dell’Ufficio statistico tedesco, e il milione, secondo le stime dell’Ambasciata.

Durante la presentazione alla Farnesina ha preso la parola Viktor Elbling, Ambasciatore della Repubblica Federale di Germania.  “Non mi è per nulla estraneo avere due culture nel mio cuore anche perché ho avuto il privilegio di far parte fin dall’inizio di entrambe le culture, a differenza di chi è emigrato o dei cosiddetti Gastarbeiter (lavoratori ospiti) come venivano appunto chiamati gli italiani delle migrazioni degli anni ’60 e ‘70. In quegli anni la Germania non era ancora pronta ad essere accogliente: aveva più una necessità di tipo industriale che una capacità di vedere nei migranti una risorsa umana. Grazie a quegli italiani, emigrati della prima ora, il volto della Germania è cambiato tanto: questo perché la migrazione cambia anche chi accoglie. Oggi – ha aggiunto Elbling  – la Germania non sarebbe pensabile senza i tanti migranti e soprattutto senza italiani. Gli italiani hanno portato idee e capacità nuove, con una sorta d’italianizzazione della Germania in vari settori: dalla gastronomia alle start-up innovative, dalle accademie all’arte e alla moda. Abbiamo dunque accettato di divenire un Paese d’immigrazione: soltanto gli italiani, che ogni anno arrivano in Germania, sono circa venticinquemila”.

È poi nuovamente intervenuto il direttore generale Vignali: “Grazie all’Ambasciatore per queste sue parole che dimostrano come italiani e tedeschi, Italia e Germania, in tutti questi anni abbiano continuato ad avvicinarsi, a conoscersi e comprendersi. Da un lato gli italiani hanno capito che bisogna impegnarsi per ottenere un risultato, e certo si sono molto impegnati, dall’altro i tedeschi hanno capito che gli italiani non danno solo un contributo di quantità , ma, come ha ricordato l’ambasciatore,  potevano far bene”.  E’ stata poi la volta di Lorenzo Colantoni, autore dei testi del volume, che ha sottolineato come questo sia soltanto un tassello di un progetto più ampio che riguarda gli italiani d’Europa e ha annunciato la lavorazione di un prossimo capitolo riguardante l’Europa dell’Est: ciò dopo aver affrontato appunto l’emigrazione italiana nel Regno Unito, nel Belgio e in Germania. “Bisogna parlare d’Europa con il contributo di chi ha vissuto all’estero in prima persona. Nei nostri lavori ragioniamo all’interno di un arco temporale che va dai primi del ‘900 ai giorni nostri, con un taglio abbastanza ampio sulle migrazioni di massa degli anni ’50. Dal 2014 il numero degli italiani emigrati è superiore a quello degli immigrati che invece arrivano in Italia. La domanda che ci ha portato a realizzare questo lavoro si riferisce a chi siano gli italiani in Germania, nonché a quale sia la loro anima. Oggi in Germania vive quasi un milione d’italiani e ci sono realtà, come la città di Wolfsburg, dove l’italiano è presente ovunque”, ha aggiunto Colantoni.

L’autore delle fotografie contenute nell’opera, Riccardo Venturi, ha spiegato il suo approccio artistico al volume. “Ho viaggiato molto nel mondo facendo il fotoreporter di guerra per anni. Quindi, quando mi è stato proposto questo lavoro, mi sono interrogato su quanto realmente c’entrasse la mia precedente esperienza. Con le mie foto intendo far parlare i luoghi; ma anche rendere omaggio alla memoria degli italiani emigrati, nei quali si percepiscono sempre una nostalgia e un sogno di tornare in Italia; infine mi interesso di fornire dei ritratti su chi siano realmente questi italiani, ricostruendone il passato. Alla fine – ha continuato Venturi – vedo l’uomo come una commistione, come il frutto di una contaminazione costante e continua che è salutare: ne sono un perfetto esempio proprio gli italo-tedeschi con i caratteri fusi delle due culture, che sono complementari.

Dal canto suo il direttore generale Vignali ha rilevato come la riscoperta della memoria attraverso le immagini presenti una constante : “quella della complementarietà dei caratteri italiano e tedesco. Una comprensione che è in una linea di continuità dai primi migranti fino ai giovani che ancora oggi si recano in Germania. Come dicono i tedeschi – ha proseguito Vignali – ‘la mela non cade lontano dall’albero’, quindi fondamentalmente nonni e nipoti italiani e tedeschi si ritrovano in questa complementarietà”.

Marco Cattaneo, direttore di National Geographic Italia, ha sottolineato come “più che vedere gli italiani in Germania, in questo documentario si veda l’immagine di uno scambio reciproco”, ricordando la storia di successo del suo amico Jacob Staude della Haus der Astronomie di Heidelberg, quale esempio straordinario d’incontro tra i due Paesi in questione.

Infine Ricardo Merlo, sottosegretario agli Esteri, ha ricordato di essere figlio di un’emigrazione simile e allo stesso tempo diversa da quella degli italiani in Germania. “Simile – ha spiegato Merlo – perché la motivazione alla base dell’emigrazione è sempre quella della necessità, che non è mai una scelta; diversa invece per la distanza perché, quando si parla di emigrazione negli Usa o in Sudamerica, vengono sempre in mente giorni interi in nave. Emigrare in Sudamerica appare comunque più facile, rispetto alla Germania, per una maggiore familiarità con la lingua spagnola o con quella portoghese da parte del cittadino italiano. In America Latina ci sono più oriundi, circa cinquanta milioni, che nuovi italiani: ci sono figli, nipoti e pronipoti che spesso parlano poco l’italiano, mentre in Germania c’è una migrazione ancora attuale che è la seconda più numerosa al mondo. Ciò determina un lavoro di un certo impegno anche per i servizi consolari. Vorrei infine volgere – ha concluso il sottosegretario – una grande riflessione sulla necessità dell’Europa unita: se si deve criticare l’Europa, lo si deve fare non per distruggerla ma per rafforzarla”.

L’incontro è stato concluso dal direttore generale Vignali:  “Grazie sottosegretario per averci ricordato che Germania e Italia  sono dall’inizio al centro del progetto europeo, lo sono loro e i loro popoli, e quindi credo che sia opportuno concludere con una citazione tratta dal libro . ‘Sono in tanti quelli che credono al progetti al europeo e sono disposti a portalo avanti sulle proprie spalle, lo fanno promuovendo una visione che non è più delimitata dai confini nazionali e cercano di anteporre l’europeità all’essere italiani, francesi e tedeschi, ecco questo per me è il modo migliore per poter mettere un giorno un volto sotto la bandiera europea e questo volto, lo vedremo allo specchio, sarebbe quello di tutti noi’”.

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