Dopo la Fed americana anche la BCE medita sulla riduzione dell’espansione monetaria nell’Unione Europea. Non si può però ancora dare per scontato che Mario Draghi segua a ruota la decisione americana per andare incontro alle pressanti richieste dei risparmiatori tedeschi di aumento dei tassi d’interesse

Nella seconda metà di settembre la Fed, la banca centrale americana, ha finalmente dato l’atteso segnale dell’inizio di una nuova era nei mercati finanziari che dovrebbe avviare la graduale fine o, comunque, il ridimensionamento della grande ondata di liquidità che negli ultimi anni ha avuto l’effetto di portare i tassi d’interesse a un livello storico vicino allo zero. Con decorrenza dal mese di ottobre la Fed americana ha deciso una riduzione del bilancio, attualmente di 45mila miliardi di dollari, attraverso la contrazione degli acquisti di titoli pubblici che procederà al ritmo di dieci miliardi di dollari al mese fino a raggiungere nell’arco di un anno un volume di cinquanta miliardi al mese.

La Fed americana è la prima banca centrale ad attuare un programma di tale portata che, comunque, sul breve termine non potrà non essere seguito anche dalle banche centrali di Tokio e di Francoforte. Nei suoi commenti la stampa tedesca non ha mancato di osservare che la decisione della Fed in Europa interessa in particolare Mario Draghi, presidente della Banca Centrale Europea (Bce). Draghi da alcuni anni a questa parte è abitualmente sotto il tiro delle critiche da parte di un gruppo di economisti e di stampa tedesca per la sua ostinazione nell’acquistare titoli pubblici, 60 miliardi di euro al mese, nel quadro di programma di un quantitative easing (Qe), vale a dire l’acquisto di titoli e di obbligazioni in atto dal 2008 con l’obiettivo di immettere liquidità sui mercati finanziari e incentivare così gli investimenti produttivi che erano scesi a un tal punto da far temere una prossima disgregazione dell’Unione Europea.

Draghi nel memorabile discorso tenuto a Londra nel 2012 parlando del Qe che aveva deciso disse “Whatever it takes, credetemi, sarà abbastanza”, una frase passata ormai alla storia, e sta di fatto che il mercato finì per convincersi rendendo così possibile in molti Paesi dell’UE, Italia compresa, piccoli “miracoli” economici e soprattutto assicurando alla Germania una crescita di dimensioni ragguardevoli. Una crescita che viene proprio dalla grande liquidità monetaria voluta da Draghi e dai bassi tassi d’interesse che ai Paesi dell’euro hanno consentito di risparmiare oltre un billione di euro. Qualche centinaia di miliardi di euro soltanto al ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schäuble con il risultato la Germania non paga quasi più interessi sulle nuove obbligazioni statali. Una crescita anche, nota bene, che al singolo contribuente tedesco ha regalato di fatto in media qualcosa come 5.000 euro all’anno. Bene è andata anche agli azionisti, considerato che negli ultimi anni il valore dei titoli delle maggiori imprese tedesche è di fatto raddoppiato.

Continue critiche a Draghi

Il problema è che il forte calo dei tassi d’interesse, parallelamente all’aumento della moneta in circolazione nell’UE – uno sviluppo che ha sempre visto Mario Draghi tra i suoi più convinti sostenitori – viene contestato da alcune categorie di risparmiatori tedeschi, da alcune banche e in particolare dalle assicurazioni sulla vita che hanno difficoltà a pagare gli interessi pattuiti con le polizze. È soprattutto un problema per la grande massa dei piccoli risparmiatori tedeschi i quali a causa della politica dei bassi di tassi di interesse della BCE da alcuni anni percepiscono, se tutto va bene, soltanto un ridottissismo reddito del denaro depositato nei libretti di risparmio. Non è poi raro il caso di risparmiatori costretti a pagare addirittura interessi negativi per il loro depositato in banca. Lamenta il semplice uomo della strada che in Germania si è arrivati alla situazione che quasi quasi converrebbe tenere il denaro “sotto il materasso” come si usava una volta.

La delusione per il piccolo risparmiatore è comprensibile in un Paese in cui la mentalità del risparmio è stata sempre molto diffusa e in tutti i modi agevolata dai governi. Il libretto di risparmio in passato era anche un’istituzione in grado di compensare ai piccoli risparmiatori la mancanza di un’adeguata conoscenza dei complessi meccanismi della moderna finanza, dai quali conseguentemente essi si sono prudentemente sempre tenuti alla larga. C’è solo un aspetto criticabile, il fatto cioè che il piccolo risparmiatore tedesco nella sua delusione non tiene in debito conto i grandi vantaggi che la politica dei bassi di tassi d’interesse ha assicurato alla Germania investimenti e ordini e diffondendo ulteriore benessere tra i suoi cittadini e tra i suoi piccoli risparmiatori. La Bce di Draghi ha anche favorito la competitività delle macchine e delle auto tedesche esportate negli ultimi anni a un ritmo eccezionale, uno sviluppo che assicurerà alla Germania in questo e nel prossimo anno una crescita del prodotto interno lordo tedesco del 2% circa. In un certo senso la delusione del piccolo risparmiatore tedesco richiama alla mente il proverbio dell’impossibilità di avere la botte piena e nello stesso tempo anche la moglie ubriaca, vale a dire che non c’è paese al mondo con un sistema finanziario in grado di garantire bassi tassi d’interesse a chi vuole investire nella sua attività o acquistare a rate un’auto Mercedes e nello stesso tempo di garantire generosi interessi sui libretti di risparmio.

Priorità Sud-Europa

La politica della Bce di Mario Draghi, anche questo il tedesco medio fatica ad accettare, ha sempre tenuto presente le necessità dei Paesi meridionali europei, Francia compresa, un’aerea in cui si concentrano i maggiori problemi dell’Unione Europea, come l’indebitamento pubblico, la forte disoccupazione e la debole crescita economica. Un aumento dei tassi d’interesse non potrebbe non aggravare ulteriormente questi problemi ed è per questo che la Bce continua ad acquistare obbligazioni pubbliche. Quel che alcuni economisti tedeschi spesso dimenticano è anche che la Germania, volente o nolente, grazie proprio ai bassi d’interesse sta attraversando un’eccezionale fase economica, con una disoccupazione praticamente inesistente, con una crescita che è tra le più alte in Europa, con un’inflazione attorno allo zero e con un volume di patrimonio privato quasi raddoppiato rispetto al 1999. I vantaggi sono molteplici e tali da compensare ampliamente i problemi che alcune categorie hanno a causa della caduta dei tassi d’interesse. Va però anche aggiunto che i tedeschi non hanno tutti i torti quando sostengono che i Paesi dell’Europa meridionale non approffitano nel modo che sarebbe possibile e desiderabile dei vantaggi che l’attuale favorevole situazione economica e finanziaria offre ai fini di una sollecita attuazione di quelle riforme struttuali che sinora hanno sempre rinviato. Il problema riguarda anche un po’ anche la Germania alla vigilia dell’esordio del nuovo governo che sarà sempre guidato da Angela Merkel, non più insieme con la Spd bensì, tanto per cambiare, insieme con liberali e verdi. La Merkel nel corso del suo lungo cancellierato ha quasi distrutto due dei suoi alleati di coalizione, il partito liberale, prima, e ora il partito solciademocratico che appare quasi felice di non essere più insieme con la Merkel e di tornare sui banchi dell’opposizione per cercare di ritrovare il necessario rinnovamento.

Il successo del partito populista di destra “Alternativa per la Germania” (Afd), che ha ottenuto circa il 13% dei voti divenendo il terzo partito tedesco dopo Cdu-Csu e Spd, è dovuto in parte alla politica per i migranti della cancelliera Merkel che non mai ha incontrato molta comprensione in buona parte dell’opinione pubblica tedesca. La Afd sarà al Bundestag un osso molto duro per la Merkel che sinora ha sempre avuto a che fare con partiti forse troppo concilianti.

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