Agli Affari Esteri Di Maio un’incognita e Merlo una speranza?

Luigi Di Maio è Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. È giovane. Non ha esperienza. La prima reazione è stata la circolazione di barzellette, spesso di pessimo gusto, messe in giro per sottolineare che non parla lingue straniere e che sul palcoscenico internazionale è imbarazzato e, (ma solo per i suoi avversari politici) anche imbarazzante. Effettivamente, vedere un giovane uomo di appena trentatré anni alla guida del più attraente tra i dicasteri italiani fa un po’ effetto. Nella nostra fantasia, il capo della diplomazia italiana è una personalità ricca di esperienza che ha nel suo bagaglio una rete di contatti internazionali, sia istituzionali sia personali, e che si avvale d’informatori eccellenti, i quali lo preparano a ogni mossa con un congruo anticipo. Luigi Di Maio non ha queste carte sulla sua scrivania al MAECI. E questo potrebbe essere uno svantaggio che lo costringe a fidarsi delle valutazioni dei veri e propri padroni di casa alla Farnesina, che sono le volpi, vecchie e meno vecchie, della nostra diplomazia. Un altro segno negativo è l’epoca in cui il giovane ministro assume il mandato. Per lo meno all’interno dell’Unione Europea, il ruolo dei Ministri degli Affari Esteri è molto ridotto. La Diplomazia, quella con la “D” maiuscola in UE la fanno i capi di governo direttamente e spesso senza mediatori. Viviamo in un’epoca in cui il Presidente del consiglio Conte alza il telefono e parla con la Cancelliera Merkel e la stessa cosa fa la Cancelliera se ha qualcosa da discutere con il Presidente Macron. Insomma, il filo è diretto e i ministri degli affari esteri in Europa sembrano assumere un ruolo marginale. Ricordate gli anni ottanta e novanta? Tutti erano in grado di citare il nome e cognome del Ministro degli Affari Esteri russo, americano, francese o tedesco. Erano i loro volti, i veri volti della diplomazia internazionale. Kissinger, Gromyko, Genscher, Andreotti, De Michelis, chi se li dimentica più. Oggi, le poche dichiarazioni pubbliche e apparizioni televisive di Heiko Maas, ministro degli affari esteri tedesco, per esempio, ci fanno capire quanto sia ridotto il protagonismo attorno a questo ruolo. Che significa tutto questo? Luigi Di Maio condannato all’anonimato? Una pedina in mano alle vecchie feluche? Non necessariamente. Non dimentichiamo che Luigi Di Maio un importante dicastero l’ha già guidato e cioè quello del lavoro. Non dimentichiamo che Luigi Di Maio è il capo politico del più importante partito italiano (almeno secondo i risultati delle ultime elezioni) e non dimentichiamo che Luigi Di Maio è appena sopravvissuto vincente allo tsunami Matteo Salvini. Il tutto con ponderatezza, pacatezza e garbo. E poi la gioventù, che in questo caso sembra un handicap, potrebbe rivelarsi un vantaggio, una marcia in più. La rottura con le strutture incrostate, la parola “fine” ai vecchi sistemi di palazzo e di potere è tutta roba scritta nel DNA del Movimento 5 Stelle, di cui Di Maio è leader incontrastato. Luigi Di Maio potrebbe cominciare a fare il Ministro degli Affari Esteri con quello che ha finito di fare come Ministro del lavoro. Egli potrebbe cominciare a guardare alla rete consolare, dove regnano strutture e rapporti di lavoro vicini allo sfruttamento, gerarchie di stampo bizantino e rapporti d’impiego che sembrano dinastici. In altre parole, Luigi Di Maio i Rider li troverà anche nella rete consolare insieme con diplomatici godenti di trattamenti tradizionalmente privilegiati. Ecco la chance di Luigi Di Maio: un ministro del Lavoro all’interno della Farnesina che mette ordine in casa propria mentre sarà Conte Giuseppe a stabilire le linee della politica estera. Nel frattempo, l’attenzione del Ministro Di Maio, già Ministro del lavoro, potrebbe rivolgersi ai circa sei milioni d’italiani all’estero, in prevalenza lavoratori, che bussano alla porta dei suoi consolati per richiedere servizi che lo Stato, e solo lo Stato, può e deve garantire senza ostacoli e arroganza. L’ex Ministro del lavoro ricorderà benissimo che se queste persone non fossero emigrate, l’Italia, sotto l’aspetto della pressione sociale, sarebbe già scoppiata da un pezzo. Ora Di Maio Luigi ha la chance di dire: non ci siamo dimenticati di voi!

E Ricardo Merlo?

È di nuovo e ancora Sottosegretario alla Farnesina con delega per gli italiani all’Estero. La conferma di Ricardo Merlo significa continuità e questo è un elemento positivo. CGIE, Comites, Associazioni italiane all’estero e Patronati non dovranno cominciare da capo per spiegare le reali e pressanti richieste delle comunità italiane all’estero. Continuità non significa però che Ricardo Merlo continui con un occhio di riguardo verso l’America latina, che resta il serbatoio dei suoi voti. Continuità significa apertura del suo orizzonte e la presa di coscienza che è l’Europa ad accogliere la nuova emigrazione italiana. La Germania innanzitutto. E che ci sia perdonato di accendere un faro sulla Germania, dove questo giornale nasce.

La Germania, in cui vive la maggiore comunità italiana oltre i confini nazionali. La Germania che è stata falcidiata dalle chiusure consolari e in cui sussistono situazioni all’orlo del paradosso come quella di Saarbrücken, con un Console onorario che si ostina a tenere le porte chiuse del suo Consolato onorario nei locali gratuiti messi a disposizione dal governo regionale affinché restasse in vita quello sportello consolare scriteriatamente chiuso da un certo Sottosegretario agli Esteri Lapo Pistelli del PD nel lontano 2014. Lo stesso Console onorario che ha rifiutato la macchinetta per il prelievo delle impronte digitali, obbligando la sede centrale di Francoforte sul Meno a correre una volta al mese per portare soccorso e per evitare che chi vive nel Saarland debba sciropparsi quattrocento chilometri di strada per avere un semplice passaporto. Ricardo Merlo non può guardare e tacere. Se Ricardo Merlo vuole finalmente mettere piede anche in Europa, cominci proprio dal cuore dell’Europa, dando un chiaro segnale con la riapertura di una postazione consolare regolare a Saarbrücken. E poi la Brexit. Manchester, Londra con italiani che da oggi a domani rischiano di essere trattati da extracomunitari. Ecco, Ricardo Merlo ha finalmente il tempo di aggiustare il tiro e di dare chiari segnali con operazioni a costo zero. A Saarbrücken, infatti, non deve costruire o rimodernare, come ha fatto in America del sud, a caro prezzo. Per Saarbrücken basta una telefonata che ordina il distaccamento di personale da Francoforte a quella sede, sgravando subito di oltre trentacinquemila utenti un Consolato d’Italia a Francoforte già all’orlo del collasso. Strano che Merlo non abbia ancora capito che per fare bella figura e dare un segno tangibile della propria attenzione basta poco. Poco, oltre alla capacità di ascolto di quanto già reclamato dall’Intercomites Germania, dal Comites di Francoforte, dal Comites di Saarbrücken e, da chi gli è più vicino, cioè dai suoi stessi rappresentanti di partito. Ora il tempo di agire è sufficiente. Che sia sfruttato a favore della gente.

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