Therin è un nome di fantasia ma la storia che qui si riporta è una storia vera. Trattandosi di un minore non se ne indicano le vere generalità né qualsiasi altro elemento che ne permetta l`identificazione.

Therin oggi è ospitato in un centro di accoglienza in quanto giunto come profugo sulla costa italiana due anni fa. Anche se è poco più di un bambino, ha affrontato su un barcone un lungo viaggio; uno dei tanti viaggi che sappiamo avvengono nel nostro Mediterraneo e che le immagini della televisione ci hanno mostrato e fatto conoscere. Immagini a cui ci siamo assuefatti forse troppo presto, diventando quasi una abitudine che talvolta ci allontana da questa drammatica realtà. Poi un giorno, entri in una classe: l’insegnante ti consegna un tema e tu tocchi con mano quanto sta accadendo.

Il titolo del tema prevede che ognuno dei ragazzi racconti la propria storia. Therin aiutato dalla sua educatrice, racconta l’orrore di quanto ha vissuto. Therin piange nel ricordare e nel trascrivere quanto ha visto: i suoi 14 anni sono ancora troppo pochi per sopportare un peso simile. Tutto questo accade in Sardegna, in questo anno scolastico. Il teologo tedesco Dietrich Bonhoeffer scrisse che “Il senso morale di una società si misura su ciò che fa per i suoi bambini”. C’è da sperare che la nostra vecchia Europa, che affonda le sue radici culturali nel Cristianesimo e si dichiara moderna e civile, non rimanga sorda e cieca davanti a tanta tragedia, ma riesca a lenire l’angoscia di tanti bambini che come Therin affrontano il mare sperando in un avvenire migliore.

Ognuno di noi ha una storia da raccontare, la mia forse è un po’ più lunga e complicata di quella di qualche altro adolescente. Inizierò a raccontare della mia famiglia che si trova in Nigeria. Faccio parte di una famiglia “allargata”, mio padre e mia madre hanno avuto due figlie femmine e tre maschi poi mio padre è morto e mia madre si è accompagnata con un altro uomo con cui ha avuto una femminuccia e un maschietto, per cui ora siamo in dieci. Prima che mio padre morisse i miei genitori già non stavano più insieme, diversi erano i motivi di contrasto tra di loro, in primo luogo mio padre era ateo, per cui non voleva che noi frequentassimo la chiesa e praticassimo il cristianesimo. Un giorno, di rientro dalla celebrazione eucaristica, trovammo i nostri effetti personali fuori dalla porta di casa: mio padre aveva deciso che non potevamo più stare lì.

Abbiamo vissuto quindi a casa di mia nonna per tre lunghi anni, insieme a noi vivevano i miei cugini. La loro madre mandava dei soldi per cui la loro vita era più agiata della nostra. Mia zia però un giorno disse a mia nonna che non avrebbe mandato più soldi per il mantenimento dei suoi figli e neanche per lei se non avesse cacciato noi via di casa, e così ce ne dovemmo andare.

Nel frattempo mia madre aveva conosciuto il suo attuale compagno che però ha rifiutato di offrirci un tetto sotto cui stare, voleva che solo mia madre vivesse con lui. Successivamente mia madre e mio fratello hanno aperto una enoteca e noi passavamo lì tutto il nostro tempo, poi andavamo a scuola e tornavamo a casa solo per dormire. Un giorno una persona a cui mia madre aveva prestato aiuto nel momento del bisogno, venne da noi e disse che voleva sdebitarsi e per questo le propose di prendermi con sé e di farmi vivere una vita migliore. Io non volevo andare via dal mio paese e allontanarmi dalla mia famiglia, ma mia madre sognava per me una bella vita, voleva che io studiassi e diventassi una persona importante e per renderla felice accettai. Fu preparata per me una grande valigia con dentro del cibo, dei vestiti nuovi e tutto il necessario per il viaggio. L´ultima volta che vidi mia madre fu allora, quando quest’ uomo venne a prendermi ed io e lei ci salutammo in lacrime, non sapevamo se mai ci saremmo rivisti. Nella primavera del 2016 iniziò il mio viaggio ma non sapevo che la meta era l´ Italia.

Siamo partiti dalla Nigeria in autobus poi abbiamo attraversato il Niger, ci abbiamo messo una settimana; il traffico di esseri umani è illegale anche da noi quindi viaggiavamo di notte e di giorno riposavamo. Il fatto di dover viaggiare di notte non mi aiutava a capire dove fossimo, sentivo le persone accanto a me parlare di Europa ma non avevo idea di dove saremmo stati condotti, tutto mi era estraneo, rumori, odori, non ero mai stato lontano da casa e non avevo punti di riferimento. Una notte un uomo chiamò per nome me e il mio accompagnatore e dovemmo cambiare mezzo di trasporto, salimmo su un fuoristrada, fu dato a ciascuno di noi un bastone a cui reggersi durante il viaggio nel deserto, e chi cadeva era perduto: l´autista non fermava il suo mezzo per nessuna ragione.

Durante l’attraversata del deserto c’erano però dei posti di blocco della polizia in cui venivamo privati dei nostri soldi, telefoni e di qualunque oggetto di valore avessimo. Ho trascorso il mio dodicesimo compleanno in quel cassone del fuoristrada in mezzo al deserto insieme ad altre ventinove persone. L’esperienza del deserto mi ha segnato, fu lunga due settimane, di giorno c´era un caldo soffocante mentre la notte con l´escursione termica notturna le temperature calavano moltissimo e si gelava dal freddo.

Durante il tragitto succedeva di tutto, gli arabi prendevano le donne, abusavano di loro e poi le lasciavano andare, si potevano vedere anche degli scheletri di uomini con delle parti semiscoperte e una croce sopra, lo spettacolo non era dei migliori, diciamo che non avrei mai immaginato di passare così il mio compleanno.

Il nostro viaggio è proseguito e alla fine siamo arrivati al confine con la Libia. Il perimetro libico era controllato da centinaia di militari, tutti i fuori strada carichi di gente si fermavano nello stesso punto e facevano scendere i passeggeri. Una volta scesi dalla macchina la polizia ci ha chiesto se avessimo ancora con noi qualcosa di valore e chi non aveva niente da dare veniva picchiato e percosso violentemente. Talvolta accadeva che chi non aveva con se soldi o oggetti di valore fosse fatto scalzare e una volta scalze poi le persone venivano costrette ad attraversare la sabbia rovente per arrivare in Libia, qualcuno di loro urlava dal dolore altri piangevano, altri ancora non riuscivano ad arrivare dall’altra parte.

Io ero un bambino quindi sono riuscito ad entrare senza problemi ma l´uomo che mi accompagnava è stato picchiato a sangue. Arrivati in territorio libico ci condussero dentro un enorme capannone nella città di Gatron in cui siamo stati per tre giorni e per poterci lavare facevamo delle file lunghissime. Io sono riuscito a nascondere dei soldi in un buco del giro vita dei miei pantaloni e con quelli ho potuto comprare qualcosa da mangiare.

Poi siamo partiti di nuovo alla volta di Saba; arrivati lì l’autista ha venduto tutte le persone che c´erano nella sua macchina agli arabi. Questi lavoravano insieme ad un uomo ghanese e ad uno nigeriano, ci hanno portato in un altro capannone dove c’erano anche tante altre persone, venivamo trattati come bestie, sono stato lì per sette giorni. Dieci persone si dovevano dividere un piccolissimo piatto al pomodoro, le condizioni di vita erano disumane. Il primo giorno, dopo averci dato da mangiare ci hanno dato le comunicazioni importanti: per andare via dalla Libia si doveva pagare e chi non poteva pagare sarebbe stato picchiato tutti i giorni. Sono riuscito a parlare con mia madre e lei ha mandato un uomo che ha pagato perché io e il mio accompagnatore venissimo liberati; prima però anche lui è stato percosso. In quei sette giorni sono stato picchiato anche io. Quando sono uscito da lì stavo malissimo e sono rimasto a letto per due settimane. Poi siamo arrivati a Tripoli. Lì un amico di mia madre è venuto a prendermi e sono stato con lui una settimana. Lui mi disse che era dispiaciuto per me poiché il viaggio per l’Italia era bruttissimo, e poi mi ha accompagnato in un altro capannone vicino al mare. Da lì non potevo vedere il mare ne sentivo solo il rumore, sentivo l´odore e provavo ad immaginarlo, un po’ mi spaventava ma niente sarebbe potuto essere peggio dell´ incubo che avevo vissuto fino ad allora. Rimasi chiuso in quella struttura per 3 – 4 mesi, c’era un uomo a cui si potevano consegnare dei soldi per poter avere sapone e cibo. Una notte mentre dormivamo degli uomini ci hanno svegliato di soprassalto, ci hanno fatto salire su un camion e ci hanno condotto sulla spiaggia. Era notte fonda, le cose avevano contorni sfumati, le persone non avevano volti familiari, c´era tanta gente, tanti costruivano barche poco stabili che accoglievano molte più persone rispetto alla loro capienza normale e una volta terminate le mettevano in acqua.

Ho avuto molta paura vedevo solo acqua scura come la notte e alcuni delfini che sguazzavano a filo d`acqua. Da mezzanotte fino alle undici del mattino il trafficante di uomini ha guidato la barca finché finalmente siamo arrivati al porto di Cagliari. Ero arrivato in Italia, un posto sconosciuto di cui non sapevo niente e nel quale non sapevo nemmeno di dover andare. sono rimasto a Cagliari solo poche ore e poi sono stato trasferito in un centro di accoglienza. Qui ho conosciuto ragazzi del Bangladesh e di vari stati dell´Africa.

In autunno ho iniziato a frequentare la scuola, all´inizio ero molto entusiasta perché vedevo che tutti erano gentili e simpatici con me, ora non la penso più così. Oggi sto ancora frequentando e sto per finire, mi sforzo di studiare perché non mi piace moltissimo e la lingua non e´ facile però ci provo perché voglio rendere mia madre felice e orgogliosa di me, faccio tutto ciò che posso solo per lei.

Volevo avere nuovi amici e nuove amiche ma fare amicizia qui per me non è facile e allora con la mente penso a quando ero in Nigeria e agli amici che avevo lì e mi viene la tristezza.

Spero che tutto possa andare per il meglio e che le cose della mia vita futura siano costellate da eventi migliori.

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