Le sparatorie in America sono parte dell’identità del Paese

59 morti e 546 feriti fanno della strage di Las Vegas quella con più vittime della storia americana. All’indomani del tragico evento Donald Trump ha liquidato la notizia dicendo che è stato “un atto di malvagità” – bella scoperta – e ha dichiarato di non volersi occupare subito della questione della libera circolazione delle armi. Se si fosse trattato di un atto di terrorismo la sua reazione sarebbe stata diversa. Se il bagno di sangue fosse stato compiuto da un nero, anche. Ma a compierlo è stato un bianco, un pensionato sessantaquattrenne benestante col solo vizio del gioco del poker, cosa che, peraltro, in Nevada non rappresenta un’anomalia. Si chiamava Stephen Paddock e viveva in una cittadina di 18.000 anime, a 120 km da Las Vegas. L’ultimo colpo l’ha sparato contro se stesso. Nella stanza al 32esimo piano dell’albergo da cui ha fatto fuoco la polizia ha trovato ventitré tra pistole e fucili automatici. Ventitré.

Una persona squilibrata può in certe circostanze rappresentare un pericolo per la collettività, ma se possiede un arsenale il rischio che un suo gesto insano si trasformi in una carneficina diventa certezza. Il punto è tuttavia un altro. Il punto è la facilità dell’acquisto e della detenzione di armi da fuoco negli Stati Uniti d’America. Se uno va a comprare una pistola o un fucile non deve esibire alcun certificato medico di idoneità psicofisica. Neanche un attestato dell’esame della vista gli chiedono. In America il diritto di armarsi è difeso a spada tratta – meglio sarebbe dire “a pistola puntata” – da parte della lobby industriale delle armi che si è fatta paladina di una vergognosa quanto ipocrita campagna a sostegno della sicurezza. Ben dodici dei fucili ritrovati nella stanza d’albergo di Paddock erano dotati di un dispositivo che consente di sparare centinaia di colpi al minuto, proprio come una mitragliatrice. Anche l’acquisto di questo dispositivo è legale negli Stati Uniti.

Numeri a parte, la strage di Las Vegas non ha nulla di diverso dalle altre compiute in passato. Ciò che la rende del tutto simile alle centinaia di altre stragi che puntualmente riempiono le cronache interne e internazionali è l’angosciosa certezza che esse continueranno anche in futuro. L’America non è in grado di fermarle. Le case degli americani sono piene di armi e nessuno è disposto a sbarazzarsene. Risultato: ogni anno oltre trentamila persone muoiono ammazzate da un’arma da fuoco. Ben due terzi di questo numero è rappresentato dai suicidi. Se uno vuole ammazzarsi non deve escogitare niente di speciale. Per farla finita basta che apra il cassetto della scrivania. O che raggiunga la più vicina rivendita di armi. Chiaramente la facilità di disporre di un’arma da fuoco incide drammaticamente sul numero di vittime complessivo.

Sicurezza e salute dovrebbero essere valori inalienabili in una democrazia. Paradossalmente in America il diritto alla salute non è tutelato dalla costituzione, quello di possedere un arma sì. A stabilirlo è il secondo emendamento della Dichiarazione dei Diritti approvata nel lontano 1789. Da allora nulla è cambiato. Per due volte Barack Obama ha provato a modificare la legge senza riuscirci. L’attuale presidente, a quanto pare, si è messo d’impegno per peggiorare le cose. Mentre da una parte difende il diritto di possedere armi, dall’altra sta tentando in ogni modo di abrogare l’Obama Care, legge con cui il suo predecessore ha riformato il sistema sanitario nazionale facilitandone l’accesso alle classi sociali più deboli. Questa legge ha salvato la vita di molti cittadini che prima non potevano permettersi di curare le malattie di cui soffrivano.

Negli Stati Uniti le armi fanno più vittime di talune gravi patologie. Ogni giorno c’è un cittadino che decide di premere il grilletto e spesso lo fa scegliendo le sue vittime a caso. Solo alcuni giorni fa in una zona di uffici di una cittadina a cinquanta chilometri da Baltimora l’ennesima sparatoria ha causato tre morti e cinque feriti. E’ successo il 18 ottobre. Una settimana dopo è stata la volta di un Campus della Louisiana dove hanno perso la vita due studenti universitari di 23 anni. Oltre ai morti, il gran numero di omicidi contribuisce a rendere la popolazione carceraria americana la più numerosa al mondo, con più di due milioni di detenuti. E’ evidente che, al di là di improbabili remore di natura morale, finire in carcere non rappresenta un valido deterrente contro l’uso, arbitrario e facile, delle armi da fuoco. Quello che lascia sgomenti è il fatto che spesso gli autori dei massacri sono persone perfettamente normali.

Le sparatorie in America continueranno. Esse sono una parte dell’identità del Paese più sviluppato e potente del pianeta. Un Paese che, tuttavia, ha perduto la sua egemonia politica e culturale. Le sparatorie americane sono l’eredità di un far west mai sdoganato e forse rimpianto, l’assurdo male di una società dove, nonostante il benessere, l’odio alimenta l’odio, le stragi alimentano nuove stragi. Sono il male assurdo di una società opulenta e ricca, e tuttavia povera di valori, primo tra tutti quello del rispetto della vita umana.

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