La determinazione del ministro tedesco delle Finanze Schäuble di non fare più debiti perché a pagarli saranno poi le future generazioni è solo a prima vista plausibile. Quel che Schäuble non ha forse ancora capito bene è che la realizzazione del progetto europeo è di tale vitale e decisiva importanza da non poter rischiare di fallire a causa di una puntigliosità contabile. Se qualcosa prossimamente non cambierà c’è il rischio di ritornare all’Europa degli Stati nazionali.

I continui e sistematici attacchi del ministro tedesco delle Finanze Wolfgang Schäuble contro la politica dei bassi tassi d’interesse della Banca Centrale Europea (Bce), hanno l’effetto di divulgare un certo sentimento di anti europeismo nell’opinione pubblica tedesca. L´uomo della strada in Germania è da sempre molto attento a tutto ciò che riguarda la gestione del denaro e del risparmio.

Tra le molte accuse che il ministro Schäuble rivolge al presidente della Bce, Mario Draghi, c´è anche quella di aver dato un contributo all’avanzata del partito populista “Alternativa per la Germania” (AfD), secondo il quale l’euro sarebbe il responsabile del disagio dei piccoli risparmiatori ai quali fino a qualche anno fa le banche pagano ottimi interessi sul denaro loro affidato.

L’iniziale idillio tra Mario Draghi e il governo della cancelliera Angela Merkel incomincia a vacillare nell’estate del 2012 quando, sotto gli attacchi della speculazione finanziaria che scommette sul fallimento dell´euro, alcuni paesi dell’Europa mediterranea minacciano di soccombere sotto il peso del loro debito pubblico. È di quell’anno il discorso durante il quale Draghi pronuncia la famosa frase “Whatever it takes”, di fare cioè, costi quello che costi, tutto ciò che sarà necessario per salvare l’esistenza della moneta comune euro e per rimettere in moto l’economia dell’Europa.

Il progetto di Draghi, se da un lato qualche apprezzabile risultato lo dà, dall’altro si ripercuote negativamente sugli utili dei risparmiatori e delle banche, finendo per alimentare l’accusa secondo cui la Bce con lo strumento del Quantitative Easing (Qe, una non convenzionale forma di politica monetaria che stimola la crescita economica) cercherebbe di trasferire sulla Germania il debito pubblico dei paesi dell´Europa meridionale.

L’aspetto più negativo, come la stampa economico-finanziaria tedesca non smette mai di sottolineare, è il fatto che la politica della Banca Centrale Europa è ormai percepita come un assalto alla “ricca e laboriosa” Germania, la quale si vedrebbe costretta a difendere il suo successo economico da una Eurolandia che non riesce a trovare la strada della crescita economica e che continua ad accusare livelli di disoccupazione e quote di indebitamento non sostenibili.

Nello stesso tempo però i tedeschi dimenticano che soltanto grazie all’euro la Germania è oggi in grado di esibire da quattro anni a questa parte un bilancio a debito zero, divenuto ormai il pallino fisso del ministro Schäuble, e una quota di disoccupazione minima che è la più bassa degli ultimi vent’anni.

Ingrati “saggi” tedeschi

Al coro delle critiche si è unito da buon ultimo anche il Consiglio tedesco dei Cinque Saggi dell’Economia il quale nel rapporto recentemente consegnato alla cancelliera Merkel invita Mario Draghi a rinunciare quanto prima possibile alla politica monetaria del Qe, assolutamente inusitata da un punto di vista tedesco, e a smettere di acquistare titoli pubblici per finanziare così i grandi gruppi impedendo ai tassi d’interesse di aumentare ritornando alle tradizionali e ormai vecchie regole e discipline. Nessun altro banchiere centrale ha mai suscitato in Germania tante perplessità come l’italiano Mario Draghi, anche se parte dell´opinione pubblica tedesca gli riconosce il merito di aver troncato nel 2012 con una sola frase ogni speculazione su una ormai prossima fine dell’euro.

“Senza il suo Wathever it takes, il sogno di una Europa con una sua comune moneta si sarebbe già infranto”. Così scrive la Süddeutsche Zeitung (SZ) in un articolo intitolato “Mario Draghi è un salvatore, non un demolitore” e nel quale sostiene che non sarebbe molto corretto accusare Draghi per tutte le cose che i governi nazionali europei non sono stati in grado di fare.

I Paesi dell’euro, scrive la SZ, avrebbero dovuto realizzare molte riforme strutturali e programmi necessari per lo sviluppo dell’Unione Europea e soprattutto avrebbero dovuto decidere se trasformare l’Unione Monetaria in una vera Unione fiscale e sociale per dare poi vita agli Stati Uniti d’Europa. Oppure , in alternativa, decidere di ritornare a una piccola unione monetaria e a una Europa degli Stati nazionali. Tutto ciò non è stato fatto, sostiene il quotidiano di Monaco di Baviera, e così Draghi si è visto costretto a prendere una misura dopo l’altra al fine di evitare lo sfacelo della zona dell’euro.

La prossimità di referendum e di elezioni politiche in Europa fa sì che Mario Draghi non possa contare su molti appoggi politici. Tanto più è augurabile che egli non si lasci confondere dalle critiche e che continui imperturbabile la sua politica dei bassi tassi d’interesse fino a quando la situazione sul mercato finanziario non si sarà stabilizzata. Importante sarà anche che il presidente della Bce abbia l’opportunità di convincere i governi europei ad agire affinché la zona dell´euro diventi sufficientemente stabile, la qualcosa sarà possibile soltanto quanto gli europei avranno deciso come dovrà essere il loro futuro. Sarebbe anche augurabile, così conclude la SZ, che Draghi abbia modo di preparare una sua ideale successione nel 2019 cercando di evitare un braccio di ferro tra Germania e Francia che non farebbe bene all’immagine dell’Unione Europea.

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