Abbiamo preso in prestito Cartesio, trasformando il suo “Cogito ergo sum”, penso dunque sono, in “Voto” ergo sum per condensare in una sola frase l’importanza della partecipazione al voto. Il filosofo affermava che la facoltà di mettere in dubbio le cose della vita fa dell’uomo un soggetto veramente pensante. Ai tempi di Cartesio non c’era certamente il voto per posta per gli italiani all’estero. Tutti i dubbi umani però (e la facoltà di esprimerli con il pensiero critico e, pertanto, con il proprio voto, la propria scelta) sono ancora esistenti.

Gli italiani votano dall’estero dal 2003, e dal 2006 partecipano alle elezioni per il rinnovo di Camera e Senato. Sono quindici anni di consolidata pratica elettorale, quindici anni di voto per corrispondenza. Eppure, sembra proprio che non ci siamo ancora abituati a questo esercizio di democrazia.

Il voto per corrispondenza dall’estero resta un elemento esotico del sistema elettorale italiano che costringe i partiti politici a particolari strategie.

A questo punto è utile ricordarci che l’espressione dell’italianità all’estero è costituita dai consolati, dai Comites, dalle Missioni Cattoliche Italiane, dalle associazioni e dai patronati. Tutti, per legge o per etica si sottraggono al gioco dei partiti ad eccezione dei patronati, che per storia e tradizione con i partiti politici hanno sempre avuto un legame ideologico. Se da un lato il voto all’estero costringe a malavoglia i partiti a strategie particolari, dall’altro lato suonano i campanelli d’allarme visto come in passato qualche eletto all’estero abbia scosso i precari equilibri degli schieramenti nei due rami del Parlamento.

Lo ricorda bene Silvio Berlusconi, quando il quotidiano “La Repubblica” nel 2006 annunciava: I risultati del voto all’estero ribaltano pertanto la situazione al Senato, che nella notte si era chiusa con l’attribuzione di 155 senatori alla Casa delle Libertà e 154 all’Unione. Infatti, adesso l’Unione ha 158 senatori (159 con Pallaro) contro i 156 della Casa delle Libertà.

Che cosa significa questo?

Significa innanzitutto che il voto all’estero non è uno scherzo. Anche i partiti politici italiani sono obbligati a prenderlo sul serio. Devono per forza occuparsi degli italiani all’estero, proprio perché sono italiani elettori. E i partiti, si sa, vincono e perdono con i propri elettori, ogni voto conta. Visto dalla prospettiva dei cittadini italiani che sbarcano il lunario fuori dall’Italia, il voto è pertanto uno strumento formidabile per attirare sui propri bisogni l’attenzione di una classe politica da sempre tortuosa, distratta, spesso egocentrica.

La formula è “Voto ergo sum”. Se non voto, non sono nessuno.

E qui cominciano però le contraddizioni.
Passata la bufera delle elezioni, spesso è capitato che i partiti italiani, talvolta al governo proprio grazie ai voti raccattati all’estero, si siano completamente dimenticati di ricompensare questi loro simpatizzanti. Esempio evidente è la tassa sulla prima casa. Gli italiani all’estero continuano a essere gli unici italiani che pagano l‘imposta sulla loro prima, e spesso unica, abitazione sul territorio nazionale. La casa tenuta vuota, solo per le vacanze, ereditata, acquistata o costruita per il ritorno in Italia dopo la pensione, è tassata proprio perché il proprietario vive all’estero. Dalle parti nostre si direbbe: cornuto e bastonato! Non solo il tuo Paese ti ha costretto a uscire perché non ti ha potuto dare garanzie di lavoro e di vita dignitosa, ma ti “punisce” sulla tua proprietà, giacché vivi all’estero. I governanti del tuo Paese nulla se ne importano del fatto che tu quella casa l’hai costruita spendendo il tuo denaro in Patria. Hai comprato mattoni e cemento italiani, hai pagato muratori, idraulici e piastrellisti italiani. Hai creato, da emigrato, lavoro in Italia.

La ricompensa? Non sei residente e pagami la tassa. La contraddizione? Non è così che si curano gli interessi del proprio elettorato. Altra contraddizione? La rete consolare. Il cittadino italiano va all’estero perché la classe dirigente politica non gli garantisce condizioni di vita vivibili e, pur essendo all’estero, ha bisogno dei servizi di base dello Stato. Passaporto, carte d’identità, i documenti per sposarsi, assistenza consolare. A chi li chiede? Al consolato.

I partiti al governo, che sono stati eletti anche dagli italiani all’estero, che fanno?

Questi consolati li chiudono, assottigliano il numero degli impiegati al servizio dei loro elettori e li ringraziano così.
Insomma, il voto all’estero è veramente bizzarro per quanto riguarda il rapporto tra eletti ed elettori. Ha assunto poi i connotati della stramberia quando gli stessi partiti politici – sempre eletti anche dagli italiani all’estero- con nonchalance hanno deciso che per candidarsi non è più obbligatoria la residenza all’estero, pretendendo la facoltà di gestire il gioco delle candidature a proprio completo piacimento.

Insomma, il voto all’estero resta colmo di contraddizioni, che solo una piena presa di coscienza del proprio peso elettorale può dissipare una volta e per tutte. Cominciamo a trattare questa scheda elettorale, che tra poco ci arriva a casa, col dovuto rispetto. Non è la pubblicità del supermercato. È lo strumento di partecipazione alla gestione politica di un Paese cui siamo legati a doppio filo sotto l’aspetto sentimentale, morale e materiale. Se non diamo al voto all’estero l’importanza che merita, con una buona partecipazione, nessuno mai ci prenderà in considerazione. Con la scheda elettorale non si fanno piaceri a nessuno. Cominciamo a chiedere ai candidati cosa sono disposti a fare per i loro elettori. Cominciamo a fare il bilancio con quelli che già abbiamo eletto in passato, chiedendo il resoconto del loro mandato. Usciamo soprattutto dalla nomea di cittadini italiani all’estero privi di senso civico e denunciamo chiunque ci avvicini chiedendo la nostra scheda in bianco. Chiediamo anche che l’amministrazione stessa affronti il voto all’estero con la dovuta serietà e la dovuta vigilanza. Basta con le schede elettorali inviate a indirizzi sballati. Si vota all’estero da quindici anni e, almeno in Germania, nessuno (Ambasciata, consolati, Comites, CGIE e tutti quelli che ci rappresentano) è riuscito ad ottenere dalle anagrafi tedesche la trasmissione automatica degli indirizzi degli italiani.

Per salvaguardare la legge tedesca sulla privacy “Datenschutzgesetz” basterebbe mettere una crocetta con la dicitura “ desidero che il mio nuovo indirizzo sia trasmesso al mio Consolato” e tutti sarebbero felici di risparmiarsi la procedura di aggiornamento dell’AIRE.

Al momento, l’unica crocetta che ci spetta è quella sulla scheda elettorale.
È un’opportunità. Prendiamola sul serio se volgiamo, a nostra volta, essere presi sul serio.

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