Nella foto: Matilde Tortora. Foto archivio personale

Tra pagine e pellicole e il legame tra letteratura e cinema

Gli italiani, si sa, sono individualisti. E tuttavia non disdegnano le occasioni di incontro. Che si tratti di un tavolo fisso di conversazione, di un gruppo di preghiera o di un torneo di Burraco, il collante che li tiene insieme è la condivisione di interessi e di valori. È lì che emerge l’umanità di tutti e di ciascuno. A Monaco abbiamo incontrato Matilde Tortora, persona ricca di umanità, simpatica ed empatica come poche. Scrittrice, storica del cinema e saggista, con un’intensa attività di ricerca anche in campo internazionale, nel 2000 ha ricevuto il Premio della Cultura della Presidenza del Consiglio dei Ministri.

Dott.ssa Tortora, Lei è autrice di molti libri di narrativa e poesia, ma anche di saggi sulla storia del cinema. Qual è il rapporto tra letteratura e cinema?

Sono, sia l’una sia l’altro, scrittura, cambia solo il mezzo cui si affidano per farlo. Il cinema è fatto di luce e di ombra. Però ogni film prende avvio da un soggetto che può essere originale o derivato da un testo preesistente. Fin da subito il cinema trasse i suoi soggetti dalla letteratura. Il cinema era nato solo da pochi anni e già furono realizzati film che, seppure brevi, traevano il soggetto dal Don Chisciotte, da I Miserabili e lo stesso “Viaggio sulla luna” di Méliès, che nel 1902 diede avvio al cinema fantastico, era ispirato dalle opere di Jules Verne. Uno studio recente ha rilevato che tuttora il settanta per cento dei film, comprese le serie televisive, sono trasposizioni di opere letterarie.

Nel 2004 ha rinvenuto lo scambio di lettere che ebbe luogo per diversi anni tra Matilde Serao ed Eleonora Duse, due italiane, la prima scrittrice, la seconda attrice. Cosa emerge dal loro rapporto epistolare?

Quelle da me ritrovate sono le lettere che Matilde Serao inviò a Eleonora Duse nel corso della loro lunga amicizia e che durò tutta la vita. Sono lettere che ho pubblicato in un libro di Graus Editore, con diverse foto, anche esse inedite, che le ritraggono assieme in vari luoghi, da sole o con amici. Si conobbero quando Matilde aveva 25 anni ed Eleonora, che di anni ne aveva 23, fu a recitare a Napoli al Teatro dei Fiorentini. Da allora condivisero momenti lieti ma anche i molti momenti tristi della loro vita. Eleonora fu anche il nome che la Serao diede a sua figlia. Dalle lettere che Matilde inviò a Eleonora emerge una costante sollecitudine che ebbero l’una per l’altra, un affetto profondo.

Nel 2006 ha rinvenuto una memoria cinematografica autografa, di complessive sedici pagine, di Roberto Bracco databile nel 1911. Erano gli albori del cinema, non solo italiano…

Sì, avevo ritrovato uno scritto autografo e firmato di Roberto Bracco che è stato uno scrittore e drammaturgo importante, con anche diverse correzioni da lui apposte e cancellature, sedici pagine in tutto. Sulla prima pagina era scritto il titolo “Il primo raggio di luna”, nel rigo successivo “Azione Cinematografica” e nel rigo sottostante “Inedito”. Si era ancora al tempo in cui, sia in Italia che altrove, il termine sceneggiatura era di là da venire per indicare ciò che uno scrittore avrebbe scritto per il cinema, sicché ho ritenuto che questo scritto di Bracco fosse tra i primi appositamente scritto per il cinema, quindi databile nel 1911. Questa sua “Azione Cinematografica” l’ho poi inserita in un libro pubblicato nel 2006 dal Centro Sperimentale di Cinematografia con Graus Editore.

Nel 2010 ha rinvenuto delle lettere inedite di Anna Maria Ortese che ha poi donato all’Archivio di Stato di Napoli. Chi era Anna Maria Ortese?

La Ortese è stata una grande scrittrice, una delle maggiori scrittrici del Novecento. Cominciò a scrivere a seguito di un grande dolore, la morte avvenuta a causa di un incidente su un’imbarcazione, nel gennaio del 1933, del fratello Emanuele che era marinaio. La Ortese non ebbe una vita facile, ebbe vari impieghi, fu sempre alla ricerca di un’occupazione che le desse da vivere, cambiò città, dopo aver lasciato Napoli, fu a Venezia, a Milano, a Roma fino a stabilirsi a Rapallo, dove visse poi assieme alla sorella. Fece persino la comparsa per il film “I Miserabili” nel 1947, trovandosi allora a Roma, ma fu anche dattilografa, giornalista e inviata. Per soli due mesi scrisse anche di critica teatrale sulla rivista Le Ore. Le sue lettere inedite che ritrovai le ho poi donate all’Archivio di Stato di Napoli che già conserva l’intero suo Fondo. Esse riguardano il primo impiego della sua vita che la Ortese ebbe, a Venezia, nel 1939 alla Mostra del Cinema come addetta alla sala stampa. Anni dopo la Ortese dirà infatti di quell’esperienza in un racconto “Cinema e Vita” che sarà pubblicato sulla rivista “Film” nel gennaio del 1945. Le lettere da me ritrovate sono appunto quelle in cui la Ortese propone a Mino Doletti, direttore della rivista Film, questo suo racconto “Cinema e vita” e in seguito il racconto “I Fratelli di Alja”, che sarà pubblicato nel marzo successivo.

Parliamo del Suo ultimo libro “Il Cenacolo delle donne” edito da Graus. Cosa L’ha ispirata a scriverlo?

Mi sono chiesta che cosa direbbero le donne del Manzoni se potessero farlo oggi e ho consentito loro di farlo, facendole incontrare oggi in una villa ottocentesca dove già tante volte si riunirono, or sono duecento e più anni fa. Ci sono tutte le donne della famiglia Manzoni e con loro ci sono tutte le donne de “I Promessi Sposi”, a dire di sé, pensieri, fatti poco noti o addirittura insospettati. Nel libro ci sono dei nessi con la condizione delle donne di oggi che mostrano quanto la violenza, di cui fu vittima Lucia lungo tutto il romanzo, subita persino da parte di un’altra donna, la Monaca di Monza che la consegnò inerme ai suoi predatori, abbia molto a che fare con quello che tuttora non cessa a danno delle donne, vittime di reiterate ed efferate violenze quasi quotidianamente. “Oggi so che, a farmi più paura, era che Voi avreste fatto della mia storia una leccornìa. Una caramella da tenere a lungo in bocca. E mi dava sgomento scorgervi quell’acquolina nella bocca socchiusa. Avrei voluto non avervi mai conosciuta.”. Questo è uno stralcio dal capitolo relativo a Lucia che qui svela i propri pensieri alla Monaca da Monza. Ritrovarsi in questo romanzo oggi le consente di poterlo fare. All’approssimarsi, nel 2023, del 150° anniversario della morte del Manzoni, le donne manzoniane mi sono apparse nella mente ed è nato così il “Cenacolo delle Donne”, poiché un libro nasce da una qualche immagine che ti appare in mente e che si mette a stare lì finché non le dai corpo, finché non scrivi il libro.

La violenza di genere è sempre esistita in ogni angolo di mondo o è fenomeno dei nostri tempi?

Che la violenza di genere sia sempre esistita lo attestano anche i documenti scritti, basti pensare agli atti del processo per stupro di cui nel Seicento fu oggetto la pittrice Artemisia Gentileschi che aveva denunciato il suo violentatore, ma che fecero di lei una doppia vittima perché la fecero figurare quale istigatrice. Anche la letteratura ne ha sempre raccontato come, per esempio, l’ultima novella del Decameron che si intitola Griseide e che narra di una donna cui viene inferto ogni tipo di sopruso dal marito. Anche nell’Inferno dantesco non mancano donne che furono vittime di violenze, Francesca da Rimini, Pia dè Tolomei, Piccarda Donati.

Cosa l’ha portata a Monaco di Baviera? Cosa significa, per Lei, vivere in Germania?

L’amore. Ho desiderato venire per essere vicina ai miei nipotini, io e mio marito ci siamo trasferiti qui a fine dicembre 2019, di lì a poco, e chi mai avrebbe potuto immaginarlo, non potemmo per mesi più frequentarli, dovemmo tutti stare rintanati a causa del Covid. Che paradosso! Indotto dalla moderna, inaspettata pandemia. “Il paradosso” fu questo il titolo che diedi ad un racconto nel marzo 2020 e che subito fu pubblicato dalla storica rivista “Noi Donne” alla quale collaboro. Ebbene, questo mio racconto è stato il primo di una scrittrice italiana sul tema della pandemia, come è stato da più parti rilevato. Paradosso aggiunto a paradosso, il primo sulla pandemia scritto da una scrittrice italiana che però vive all’estero! Incontri, tanto altro scrivere, ritengo un dono il vivere in questa città così ricca culturalmente e così tanto bella.

Dott.ssa Tortora, la cultura e, in particolare, la letteratura e il cinema salveranno il mondo?

Si scrive perché si ha interesse per gli altri, perché essi ci stanno a cuore, scrivere è una relazione con il sé stesso più profondo e, allo stesso tempo, con gli altri. Agli scrittori compete di alzare il velo che copre la realtà, il poeta Premio Nobel Brodskij scrisse che occorre strappare i lembi che coprono il mondo, scorgere la ferita, scrivere è scrutare il male e mostrare che tuttavia c’è il bene e assumersi la responsabilità di sé e di esistere stando assieme agli altri. Scrivere è ascoltare quei personaggi che, come diceva Manzoni, ogni mattina lo aspettavano alla scrivania che lui si mettesse al lavoro, che desse loro vita. Anche i film possono sollevare il velo che copre il mondo e svelarci tante cose. Sicché, certo che la cultura, la letteratura, il cinema, le arti tutte salveranno il mondo; d’altronde lo hanno sempre fatto e continueranno a farlo e ci renderanno sempre salvi, consapevoli, più responsabili, immortali.