Nella foto: Lucia Ronchetti, foto di ©Vanessa Francia

Una compositrice di successo: Lucia Ronchetti

Non solo nel campo delle canzonette (vedi la nostra vittoria all’Eurovision Song) ma anche nel campo della „musica seria“ l’Italia vanta personalità d’eccezione.

Lucia Ronchetti è una compositrice italiana, romana di nascita, che ha lavorato con grande successo per un gran numero di istituzioni musicali italiane, come il Teatro dell’Opera di Roma o il Massimo di Palermo, ma soprattutto non italiane: dalla Kölner Philharmonie alla Staatsoper Unter den Linden di Berlino, dal Festival d’Automne a Parigi alla Semperoper di Dresda. Recentemente è stata nominata direttrice artistica della Biennale di Venezia per la Sezione Musica.

In occasione del centenario dantesco, l’Opera di Francoforte sta per mettere in scena, in prima mondiale assoluta, un’opera che, per ammissione della stessa compositrice, non avrebbe mai osato scrivere se non le fosse stata commissionata: „Inferno“.

Fra le altre sue opere in circolazione si segnalano „Le avventure di Pinocchio“ di cui in Germania è in circolazione pure una versione in tedesco: „Pinocchios Abenteuer“. Le abbiamo rivolto alcune domande.

Nella storia della musica s’ incontrano moltissime figure di grandi donne musiciste (cantanti, pianiste, ecc.) che non hanno nulla da invidiare ai loro colleghi maschi. Ma il settore della composizione è molto carente di compositrici. Qual è il motivo, secondo Lei?

Per dedicare la propria vita alla composizione servono una buona formazione che si acquisisce in lunghi anni di studio, ottime condizioni di lavoro e riconoscimento della propria figura professionale da parte delle istituzioni che possono commissionare ed eseguire progetti compositivi, quello che per vari ed evidenti motivi è stato possibile ottenere per le donne solo negli ultimi 50 anni. Da quando queste condizioni sono state rese possibili, anche se tra tante difficoltà e divergenze, un gruppo di compositrici attive ha dimostrato grande talento, originalità e capacità progettuale, riuscendo ad ottenere riconoscimenti importanti dalle istituzioni mondiali dedite al sostegno della creatività musicale, allo stesso livello dei compositori uomini. Le compositrici più attive e premiate nella scena musicale contemporanea sono Kaija Saariaho, Olga Neuwirth, Unsuk Chin, Rebecca Saunders e Chaya Czernowin, ma ce ne sono molte altre attive e riconosciute che lavorano e ricercano intensamente e hanno raggiunto un linguaggio musicale originale, tra le quali anche alcune compositrici italiane con formazione internazionale come Clara Iannotta, Francesca Verunelli e Marta Gentilucci.

Lei ha incontrato particolari difficoltà nella Sua carriera di compositrice?

La discriminazione nei miei confronti più grave e dolorosa è quella nata nell’ambito della mia stessa famiglia di origine dove i miei genitori non si sono mai fatti scrupoli nell’ esprimere la loro disperazione per avere solo figlie femmine e quando ho deciso di fare il compositore, hanno entrambi perso ogni speranza nei miei confronti, dato che avevo scelto di essere un “parassita” della società, invece di studiare legge o medicina e diventare un “professionista” responsabile. Questo ha influito anche sulla nuova generazione della famiglia, sia le mie quattro sorelle che i miei tanti cugini non sono mai venuti ad assistere ad una mia prima d’opera all’estero, gli è sempre apparso un gesto inutile, se non addirittura ridicolo. Naturalmente viaggiano per il loro lavoro e le loro vacanze, ma non hanno mai considerato una prima alla Staatsoper di Berlino o all’ Oper Frankfurt o alla Semperoper di Dresda, uno motivo abbastanza importante per viaggiare. Quando la stessa famiglia ragiona in questo modo, naturalmente influenzata e sostenuta in queste convinzioni dalla realtà politica e sociale italiana che la circonda e con cui si confronta, come può una donna compositrice non incontrare difficoltà?

Come è nata in Lei la vocazione per la musica?

Ho avuto un’infanzia molto triste e difficile in un quartiere periferico nel sud di Roma, ma ho avuto la fortuna di avere dei vicini di casa straordinari, una coppia di anziani musicisti che si erano ridotti in miseria e che mi hanno informalmente adottato, dandomi lezioni di musica da quando ero molto piccola. La casa era piena di strumenti rotti, partiture ingiallite, ricordi di una vita musicale attiva che a me non apparivano tristi ma straordinari e magici. Nella cucina appoggiato al muro in verticale c’era un vecchio clavicembalo con le corde tutte rotte, con il coperchio aperto. Era il mio rifugio segreto dove passavo ore a pizzicare le corde rimaste e giocare con i suoni percuotendo il legno e i tasti fatiscenti, un laboratorio sonoro alla John Cage dove i miei capelli si impigliavano nelle corde spezzate e diventavo una figura ovidiana in piena metamorfosi tra persona e strumento. Quando a 16 anni ho deciso di diventare compositore, mi sono resa conto che questa formazione così disordinata e spontanea, era stata molto importante e fertile per il mio futuro.

Quali sono i Suoi compositori preferiti e perché?

I riferimenti più importanti per il mio lavoro compositivo legato al teatro musicale sono Claudio Monteverdi, Francesco Cavalli, Luigi Dallapiccola, Salvatore Sciarrino e Georg Friedrich Haas. Quello che unisce straordinariamente questi compositori così diversi tra loro stilisticamente ed esistenzialmente, è il trattamento del testo, del libretto, il valore che hanno saputo dare al suono interno e alla dinamica formale insita nelle parole e nella comunicazione verbale, la loro capacità di trasformare le informazioni insite nel testo in partitura vocale.

Per quali motivi ha deciso per Dante come soggetto di un’opera?

In realtà questa idea mi è stata proposta dal sovrintendente dell’ Oper Frankfurt, Bernd Loebe. Da sola non avrei mai avuto l’ardire e il coraggio di mettere in musica l’Inferno di Dante. Questa richiesta ha generato in me una grande emozione e ho lavorato intensamente sul testo, ristudiando e riscoprendo uno dei testi fondamentali della letteratura di tutti i tempi, la nostra Bibbia linguistica e drammaturgica, un testo spettacolare che non smetterà mai di essere moderno e attuale. La realizzazione sarà in tedesco e in italiano, dato che volevo che il pubblico dell’Oper Frankfurt potesse capire il dettato dantesco, anche se mediato dalla traduzione. Alcuni dei personaggi sono però voci operistiche e cantano il testo italiano originale, Francesca, Ulisse e Lucifero. Per questi personaggi ho composto delle parti che si distaccano dall’opera come scene “stand-alone”, scene liriche autonome, dato che si tratta di tre personaggi trattati in modo molto speciale da Dante. Ulisse in particolare, al centro del lavoro, è interpretato come un grande auto-ritratto di Dante, il Dante che rischia di perdersi nel furore dello studio giovanile, che tende ad andare al di la del sapere acquisito, che si avvicina alle Colonne d’Ercole della speculazione filosofica, come Ulisse un “macchinatore di scelleratezze” ( scelerum inventor, secondo Virgilio). Il confronto tra Dante e Ulisse, argonauti del sapere e della scoperta, mossi dall’ardore della curiositas ed entrambi destinati a morire da soli, lontano dalla patria, esiliati a causa delle loro scelte e delle loro convinzioni, è la base drammaturgica di tutta l’opera.

Ci parli del Suo rapporto con la Germania.

Tutto è cominciato dal giorno in cui, piena di disperazione per l’impossibilità di realizzarmi come compositore in Italia, ho deciso di spedire una mia partitura ad Hans Werner Henze, il grandissimo compositore tedesco, che non conoscevo ma che sapevo che abitava a Marino, vicino a Roma. Mi ha subito telefonato, mi ha detto che secondo lui ero un compositore di valore e che voleva commissionarmi un progetto per la sua Munchener Biennale. Era il 1993, avevo già 30 anni, un bambino di 3 anni e un lavoro instabile. L’incontro con Henze alla sua villa La Leprara è stato un miracolo, grazie a lui sono potuta uscire da Roma e dall’inferno che vivevo e capire che in Germania il compositore è una persona rispettata dalla società, che può sbagliare, fallire, essere criticato aspramente, ma che ha comunque uno status sociale e un riconoscimento esistenziale. Da quel momento ho cercato sempre di fare proposte ad istituzioni tedesche perchè mi sentivo più sicura del fatto che le risposte, sia quelle positive che le tante negative, fossero basate su criteri di scelta professionali. Questo è fondamentale per un compositore, vivere e lavorare in un ambiente professionalmente sano, quello che purtroppo non succede in Italia, se non in alcune isole felici dell’organizzazione musicale.

Lascia una risposta

Please enter your comment!
Please enter your name here