Il Fondaco dei Tedeschi; foto di Von Didier Descouens - Eigenes Werk, CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org

Il Fondaco

Viene dal mondo arabo la parola “fondaco” (alfondoq) per indicare uno stabile adibito a deposito merci ed insieme ad albergo per mercanti di passaggio. Ce n’erano in molte città commerciali del Levante ed anche Venezia ne possedeva alcuni. Erano indispensabili per organizzare i traffici e costituire una rete commerciale, dotati com’erano di un’amministrazione interna autonoma e di una serie di privilegi.

Nel 1222 il Gran Consiglio della Serenissima decise di acquistare un terreno per costruire un Fondaco per i mercanti “todeschi” proprio sul Canal Grande, ai piedi del Ponte di Rialto, nel cuore della città, a conferma dell’importanza assunta dai rapporti commerciali tedesco-veneziani. Anche se venivano classificati come “alemanni” o “Todeschi” non solo quanti provenivano dal Nordeuropa, ma anche i Trentini, i Friulani d’Isonzo ed i Lombardi delle valli.

Dalla metà del XII secolo i rapporti tra Venezia ed il Sacro Romano Impero si erano sempre più intensificati e la presenza in città di imprenditori e mercanti tedeschi si era fatta sentire. Lo stesso imperatore Barbarossa, per finanziare nel 1189 la terza Crociata, si rivolse ai banchieri di Rialto e in particolare ad un certo Bernardus hospes imperiale, di Monaco, mercante di rame e di argento a S. Bartolomeo di Rialto e finanziatore anche della Serenissima per 15.000 libbre di argento.

Il Fondaco cosiddetto dei Tedeschi fu costruito in tre anni: facciata con torrette laterali, tre logge, magazzini al pian terreno, mense e sala del Capitolo al primo piano, uffici, archivi e camere ai piani superiori, soffitte dove si salava il pesce e c’era l’osteria. La vita era movimentata, frenetica, in un continuo chiacchiericcio e via-vai di mercanti provenienti da differenti città e nazioni. Tutte le merci in entrata ed in uscita dovevano essere registrate, la gran parte venivano scaricate su una vasta banchina sul Canal Grande e provenivano da Mestre.

Le direttrici dei traffici

Le vie più battute erano quella Ampezzana che passava per Belluno e Feltre, quella della Val d’Adige attraverso Trento e Primolano, quella dell’Alemagna, da In-nsbruck per Brunico, Dobbiaco, Ospitale, Serravalle, Conegliano e quella di Tarvisio per Aquileia e Palmanova. Si doveva passare per la dogana di Treviso, dichiarare le merci e trasbordare i carichi dai carri e dagli animali da soma alle chiatte ed ai barconi che li avrebbero portati in laguna.

I prodotti scambiati erano: oro, argento, ferro, rame, piombo, zinco dall’Austria; manifatture, stoffe di cotone, lana e tela dalla Germania; pellicce, cuoio, oggetti di corna dal Nordeuropa. A Venezia si compravano spezie (cannella, pepe, rabarbaro, zafferano, zenzero) e profumi, alimentari (mandorle, fichi, uva passa, carrube, zucchero, olio, pesce salato, vino), tessuti (sete, lane, fustagni, lini, broccati, velluti), cera, sapone, salnitro, perle, oreficerie e vetri di Murano, armi, pelli conciate e moneta contante.

Interno del Fondaco; foto di Von Didier Descouens – Eigenes Werk, CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org

Lo sviluppo del Fondaco dei Tedeschi

Il porto di Venezia costituiva lo snodo principale di tutta la merce proveniente dal Nordeuropa e diretta verso l’area mediterranea e l’Oriente. I commercianti “Todeschi” erano i più attivi e formavano gruppi molto numerosi. Tra i più ricchi e potenti si distinguevano i Fugger di Augusta ed i Viatis e Peller di Norimberga. Tutti, compresi quelli di Polonia, Ungheria e Boemia erano obbligati a daziare le proprie merci al Fondaco, garantendo così alla Repubblica entrate crescenti.

Per sorvegliare e controllare il grosso giro d’affari, la Serenissima istituì la Magistratura dei Visdomini del Fondaco dei Tedeschi, con compiti finanziari (dazi), amministrativi e di controllo sulle merci. Il Fondaco era popolato di lavoranti, i legadori, che imballavano merci, i pesadori, i bolladori, che imprimevano il bollo sui colli, i cuochi, il taverniere, servi ed aiutanti. Ma chi abitava nel Fondaco era soggetto ad obblighi ed orari di apertura e di chiusura.

Si cercava di incentivare la presenza permanente e lo sviluppo in città di comunità straniere, offrendo condizioni di vita privilegiate, case e locande riservate, ma obbligando ad assumere la cittadinanza, a recare doni alla Chiesa di Stato, per poter contrarre matrimoni misti, essere membri di una Confraternita, svolgere i propri traffici nella capitale.

La presenza diffusa dei Todeschi in città

Scarpa Caligheri, foto di Par Didier Descouens — Travail personnel, CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org

Il Fondaco dei Tedeschi era solo l’epicentro di una realtà nazionale “alemanna” ben più ampia e diffusa nelle Contrade. Folta in particolare era la colonia dei calzolai (caleghèri) e dei conciapelle, insediati attorno al Convento degli Agostiniani di S. Stefano, decisi a conservare con una Schola appositamente istituita, le loro usanze e tradizioni, a farsi concedere un altare per celebrare le loro funzioni, un pezzo di terra per seppellire i morti ed un Ospizietto per i confratelli invalidi. Erano molto apprezzati dai Veneziani, che permisero loro di “marchiare” il territorio delle loro botteghe con il “Logo dei Caleghèri”, una scarpa d’epoca sugli stipiti e sui pilastri della loro Calle, ora Calle delle Botteghe.

Lungo l’attuale Strada Nuova fino ai SS. Apostoli ed a S. Marcuola c’erano le zone delle telerie, dei telai e dei luoghi di concia dei “Todeschi”, con magazzini e la-boratori, in particolare a Cannaregio, dove venivano utilizzate le Chiovère per stendere e asciugare lane e tessuti lavorati e colorati.

I Pistori o Prestinai “Todeschi” si erano insediati verso San Marco e verso Castello, in Contrada sant’Antonin, depositari di una ricetta segreta per cuocere il “panbiscotto” riservato alle milizie e ai marinai delle galee veneziane.

Le Contrade dei Peltrèri e Stagnèri “Todeschi” (scodelle, vassoi, calici, pentole da riparare, posate da lucidare) erano quelle di S. Bartolomeo e S. Salvador lungo le Mercerie, mentre quelle dei Tessitori di fustagno e dei Testori dell’Alemagna erano la Contrada di S. Margherita a Dorsoduro e quella di S. Simeon Picolo nel sestiere di S. Croce. Nella Contrada di S. Lio si era affermata la Schola d’Arte e Mestiere dei Battioro Alemanni (stagnole da colori e foglie d’oro x decorare mobili, cornici, opere d’arte), che si distinguevano per i metodi ed il tipo di lavorazione.

Girolamo Priuli annotava nei suoi Diari: “I Tedeschi che vivono qui sono tutti sposati con figli e sono destinati a morire a Venezia. Essi amano la città più della propria terra natìa”.

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