La signora M.G. di Aachen, che segue questa rubrica dal 2000. Ci chiede quali siano le caratteristiche in Italia per essere considerato lavoratore ”precoce”.

È considerato “lavoratore precoce” che ha contributi previdenziali chi può far valere almeno un anno di contributi previdenziali prima del compimento dei diciannove anni.

Il signor P.D. di Gasteig ha, in Patria, un nipote con quattro anni di contributi come dipendente e quindici come lavoratore autonomo. Il lettore ci chiede quando il nipote maturerà il diritto alla pensione.

Non conoscendo l’età dell’interessato, possiamo ipotizzare che, unificati tutti i versamenti previdenziali, non si raggiungono i 20 anni di contribuzione. L’interessato dovrà versare un anno di contributi per raggiungere i vent’anni di contribuzione. Il diritto al trattamento “minimo” maturerà al compimento dei 67 anni.

Il signor D.L. di Paderborn ha, in italia, un fratello (classe 1957) che può contare su 24 anni di contributi. Il lettore ci chiede se suo fratello potrà andare in pensione entro il prossimo anno.

Da quanto abbiamo rilevato il diritto, maturerà (pensione di vecchiaia) non prima del 2025. Nel caso prospettato, non si rilevano agevolazioni previdenziali.

La signora E.D.H. di Neumarkt ha, in Patria un cugino (classe 1966) che dovrebbe maturare il diritto alla pensione nel 2031. La lettrice ci chiede se, in caso di chiusura dell’attività lavorativa, il cugino potrà proseguire i versamenti previdenziali volontari.

La pratica è possibile. Bisogna chiedere l’autorizzazione all’INPS. L’importo dei versamenti volontari è di calcolo complesso. Meglio prendere contatto con un Patronato.

La signora M.G. di Bonn ha, in Patria, un nipote (classe 1964) che ha lavorato, come dipendente, dal 1985 al 1995. Ora svolge attività “autonoma”. La lettrice ci chiede se sia possibile ottenere dall’INPS l’autorizzazione per una contribuzione previdenziale volontaria.

L’operazione è possibile. Ma, data l’attività “autonoma”, c’è da verificare se conviene. L’importo da versare sarebbe pari al 33% della retribuzione lorda percepita nell’ultimo anno lavorato come dipendente.

Il signor P.O. di Lebach ha, in Italia, un nipote, (classe 1965) laureato, che ha iniziato a lavorare nel 1993. Il lettore ci chiede se sia vantaggioso “riscattare”, ai fini previdenziali, gli anni universitari.

Il riscatto previdenziale degli anni d’università implica due vantaggi: anticipare la data del pensionamento e avere una pensione più elevata. Gli anni riscattati sarebbero conteggiati col metodo retributivo.

La signora M.O.H. di Wirges ha, in Patria, un cugino (classe 1963) che ha iniziato a lavorare nel 1985. La lettrice ci chiede quando il cugino potrà andare in pensione.

A conti fatti, non prima del 2026. Dopo aver raggiunto i 42 anni di versamenti previdenziali.

La signora L.P. di Mannheim ha, in Italia, una nipote di 61 anni e con 40 anni di lavoro come pubblica dipendente. La lettrice ci chiede se, avendone i requisiti, sia vantaggioso andare in pensione col meccanismo di “Quota Cento”.

Vantaggioso, da punto di vista economico, non lo è. Data l’anzianità di servizio, la pensione “ordinaria” sarà più elevata continuando a lavorare.

La signora F.S. di Hannover ha, in Patria, un fratello (classe 1965) che è impiegato in un istituto di credito dal marzo1990. Lo stesso è laureato in Economia e Commercio. La lettrice ci chiede se sia conveniente riscattare, ai fini previdenziali, gli anni del corso di laurea.

Il riscatto in questione permette d’andare prima in pensione e d’avere un trattamento previdenziale più elevato. Il “riscatto”, ovviamente, ha un suo prezzo. Ora basta chiedere il suo importo mensile per il riscatto per verificarne l’effettiva convenienza.

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