Foto al centro: Suor Giuliana Bosini davanti all’urna di Scalabrini a Piacenza

Canonizzazione del beato Giovanni Battista Scalabrini, l’attualità del suo impegno

Il 9 ottobre sarà la data della canonizzazione di Scalabrini che dedicò la sua missione a coloro che dovevano lasciare la propria patria in cerca di lavoro. Lo ha stabilito il Papa nel concistoro del 27 agosto.

Il beato Giovanni Battista Scalabrini, vescovo di Piacenza, è il fondatore della Congregazione dei Missionari di San Carlo e della Congregazione delle Suore Missionarie di San Carlo Borromeo e l’ispiratore delle Missionarie Secolari Scalabriniane.

Scalabrini, il vescovo che non si è mai stancato di andare incontro alle persone, raggiungendole nei luoghi più lontani della sua vasta diocesi a dorso di mulo o affrontando lunghi viaggi sui piroscafi per farsi prossimo ai connazionali emigrati dall’altra parte del mondo. Nato a Fino Mornasco, in provincia di Como, nel 1839, vescovo di Piacenza dal 1876 alla morte, avvenuta nel 1905 mentre si preparava alla sesta visita pastorale. È di straordinaria attualità il carisma del nostro fondatore, padre dei migranti e apostolo del catechismo. Nel 25° della beatificazione, siamo tutti particolarmente felici di veder finalmente realizzato il sogno della sua canonizzazione. La gente di Piacenza intorno alla teca che conserva i suoi resti in Duomo lo ha confermato in coro: “lo meritava!”

Lui, uomo di Dio e modello di pastore era attento ai problemi sociali del suo tempo e li sapeva leggere con l’intelligenza della fede.

Scalabrini non concepiva il cristiano chiuso in sagrestia. Una convinzione che gli veniva dalla sua profonda spiritualità dell’incarnazione: il Figlio di Dio si è fatto uomo ed è morto e risorto per tutti. Delle migrazioni aveva preso coscienza visitando le parrocchie dell’Appennino, ma l’illuminazione decisiva fu alla stazione di Milano, osservando una folla di ogni età ammassata sui binari. Com’era nel suo stile, volle entrare dentro il fenomeno per capirne le ragioni, i pericoli, i risvolti. Denunciò i «sensali di carne umana» che sfruttavano questa gente, creò missionari e missionarie per il servizio ai migranti. Si occupò delle mondariso e dei sordomuti. Si fece promotore della stampa cattolica. Quand’era parroco di San Bartolomeo a Como aveva scritto un catechismo per i bambini; a Piacenza, pioniere in Italia, ospitò il congresso catechistico.

Nella foto in alto: Giovanni Battista Scalabrini. Foto 9Wikipedia

«Fare patria dell’uomo il mondo», senza annullare le radici: la via tracciata da Scalabrini interpella ancora, la società come la Chiesa. Non c’è dubbio che la canonizzazione di Scalabrini ci ricordi come Dio abbia visitato la sua chiesa attraverso un pastore fatto secondo il suo cuore, una persona che ha amato con il cuore di Dio, che ha parlato la parola di Dio, che ha espresso la compassione di Dio per il suo popolo. Dio si manifesta nei segni umani e non c’è dubbio che Scalabrini sia un segno di questa presenza di Dio che ha visitato la sua chiesa ma con questa canonizzazione si può affermare che anche oggi il Signore la visita. Così è importante chiederci che cosa vuole il Signore? Che contenuto ha la visita che il Signore ci sta facendo? Ci sta visitando e non possiamo lasciare passare questa occasione senza cambiare qualche cosa nella nostra vita perché la visita del Signore ha questo scopo. Dobbiamo cercare di comprendere perché è un invito al primato della santità e del rapporto con Lui. Questa è la gioia più grande per la nostra comunità essere dei chiamati alla santità attraverso Scalabrini. È stato l’uomo che si è impegnato a vivere il suo stemma episcopale, una sorta di scala di Giacobbe. Nel testo di Genesi si legge che mentre Giacobbe sostava per la notte in un luogo isolato fece un sogno una scala poggiava sulla terra mentre la sua cima raggiungeva il cielo ed ecco gli angeli di Dio salivano e scendevano su di essa. Video Dominum innixum scalae (vedo il Signore appoggiato alla scala) questa frase scelta come motto del suo stemma episcopale viene completata dalla frase di san Paolo “farsi tutto a tutti”. È un vescovo che ha amato il suo popolo affidatogli da Dio. Come il buon Pastore ama le sue pecore, soffre con loro nei momenti di calamità e il popolo a sua volta gli è riconoscente perché comprende quanto sia grande il suo affetto e la sua generosità. Amò il suo popolo e ne fu riamato perché gli umili si accorgono di quanto grande fosse il cuore di Scalabrini che non arretrava né si disanimava di fronte a gravi difficoltà ma confidando pienamente nel Signore riusciva a compiere prodigi straordinari.

Già nella sua prima lettera pastorale individuò nei poveri e negli emarginati i prediletti dal Signore proprio perché più indifesi in una società ben poco disposta ad aiutarli. Volle conoscere i problemi della sua diocesi direttamente, visitandola per ben cinque volte nonostante le difficoltà di raggiungere le numerose parrocchie di montagna: il suo obiettivo era guadagnare tutti a Cristo come suprema aspirazione della sua anima. Nel giorno della sua consacrazione episcopale Pio IX gli aveva donato un pastorale su cui erano incise le parole Charitatis Potestas (il potere della carta) e nel porgerlo gli aveva detto: “Sia questa la regola del vostro spirituale governo”. E la carità fu davvero più che la regola del suo ministero episcopale, la caratteristica principale sulle orme di san Carlo Borromeo. Aveva una grande fiducia nella Provvidenza che non mancò mai di soccorrerlo per far fronte alle necessità contingenti e per superare calamità straordinarie come la carestia dell’inverno del 1879-80 in cui arrivò a distribuire fino a 3.000 minestre al giorno.

Il dono più alto alla sua diocesi e al mondo delle migrazioni Scalabrini lo fa additando l’annuncio del regno e la cura pastorale all’emigrazione di massa. Nell’arco di un secolo (1861-1961) espatriarono 25 milioni di persone. Ma il momento più drammatico dell’emigrazione italiana, sia per la consistenza numerica sia per lo stato di assoluto abbandono, fu quello che coincise con il trentennio di episcopato di Giovanni Battista Scalabrini.

L’emigrazione per monsignor Scalabrini aveva dei punti positivi tra cui il diritto di muoversi liberamente sulla superficie terrestre e uscire dai confini di uno stato. Poteva anche accettare le opinioni di coloro che vedevano nell’immigrazione una valvola di sicurezza per l’Italia, un mezzo per incrementare i rapporti commerciali e culturali.

Era certo che: Dio Creatore e Signore dell’universo, attraverso il tumultuoso mescolarsi di popoli andava operando l’unificazione del genere umano in Cristo.

Ma tutto ciò che poteva essere considerato positivo nelle migrazioni non lo distoglieva dal cogliere tutta la drammaticità del fenomeno per le cause che lo provocavano e per il modo in cui avveniva era solito dire “libertà di emigrare ma non di fare migrare”. Ma assolutamente preminente per Scalabrini è l’interesse religioso che riguarda la possibilità di continuare a vivere la propria fede. Il vescovo Scalabrini additò dunque alla chiesa un nuovo fronte missionario. Cosa serve, si chiedeva, andare per il mondo alla conquista dei non credenti se poi nelle nostre nazioni si trascurano i fedeli. Pensava soprattutto ai migranti italiani negli Stati Uniti d’America. Lì vivevano 10 milioni di cattolici, mentre gli emigrati cattolici che vi erano affluiti, erano circa 48 milioni. L’assistenza adeguata degli emigrati era dunque per Scalabrini un’autentica attività missionaria. Un testimone racconta che egli passava lunghe ore nella notte prostrato in una tribuna dell’Episcopio che permetteva di vedere in cattedrale l’altare del Santissimo Sacramento. A Gesù confidava tutto e da Lui riceveva luce e consolazione. Il suo segretario Camillo Mangot affermava di aver compilato per lui un elenco delle famiglie piacentine più povere e alcune centinaia le raggiungeva ogni mese per un sostegno economico. La speranza del beato Scalabrini nella divina Provvidenza non escludeva che egli si desse da fare per trovare i mezzi finanziari per far fronte alle sue imprese. Ripeteva spesso: “io comincio un’opera e poi la metto nelle mani di Dio e Lui ci pensa”.


Scalabrini, padre per i migranti

Mons. Gian Carlo Perego – Presidente Fondazione Migrantes

La Fondazione Migrantes si unisce alla gioia degli Scalabriniani e delle Scalabriniane, delle Diocesi di Como e Piacenza-Bobbio e di tutta la Chiesa Italiana per la canonizzazione di Mons. Giovanni Battista Scalabrini, che sarà a Roma il 9 ottobre.

Il Vescovo Scalabrini, oltre che Pastore della propria Chiesa di Piacenza per oltre trent’anni, è stato un Pastore dei migranti nelle Americhe, che raggiungerà in due viaggi.

Insieme all’amico Vescovo di Cremona, Mons. Geremia Bonomelli, saranno i primi a considerare l’importanza del camminare della Chiesa con i migranti: Scalabrini realizzando una Congregazione di religiosi per le Americhe e un gruppo di sacerdoti diocesani e Bonomelli per l’Europa e l’Asia minore.

In una Conferenza al Convegno dell’Opera dei Congressi di Ferrara, nel 1899 il Vescovo Scalabrini affermava: “Emigrano i semi sulle ali dei venti, emigrano le piante da continente a continente portate dalle correnti delle acque, emigrano gli uccelli e gli animali, e, più di tutti emigra l’uomo, ora in forma collettiva, ora in forma isolata, ma sempre strumento

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