Noi, evidentemente, alla pensione ancora non ci pensiamo, anche se la crisi dell’editoria tradizionale e l’avvento dell’era digitale hanno fatto una vera strage di pubblicazioni cartacee, centuplicandole comunque nel mondo digitale.
Il Corriere d’Italia, nato nel lontano gennaio del 1951, con il nome “La Squilla”, come supplemento de “L’Operaio Cattolico” e “notiziario della Missione Cattolica Italiana in Germania”, è stato fondato da don Aldo Casadei, missionario italiano a Francoforte. “Per chi suona la Squilla” era il titolo del redazionale di presentazione. Il giornale si proponeva di essere – “come la campana” – un richiamo ai valori fondamentali della vita, “un mezzo di comunicazione per tutto ciò che può interessare i nostri lavoratori”, un “mezzo di collegamento tra tutti i nostri connazionali” in Germania.
La testata ha sempre tenuto fede a queste prospettive. Ha attraversato tante stagioni, legate alle sensibilità dei diversi direttori, alle condizioni economiche dell’editore, ai tempi della vita sociale e politica italo-tedesca. Ma è sempre rimasta fedele ai suoi lettori, gli italiani in Germania, cercando di raccontarne la vita, di dare loro una voce ed un peso pubblico, di aiutarli nel superamento dei problemi, come l’inserimento nelle realtà tedesche senza perdere il contatto con la terra di origine, lo sforzo per migliorare il successo scolastico e professionale dei figli, la realizzazione una presenza culturale vitale e qualificata.
L’accompagnamento delle prime generazioni, la vicinanza alle seconde e terze generazioni, la ripresa degli arrivi dall’italia di questi ultimi anni, e tante altre esigenze, ci fanno capire che non è ancora giunto il momento di chiudere i battenti.
Anzi, in tempi di rapide trasformazioni e di profondi cambiamenti, è più che mai urgente avere dei punti saldi di riferimento, le idee chiare sui valori da sostenere e portare avanti, gli obiettivi che devono restare fondamentali. In tempi in cui la mobilità umana, non sempre per lavoro ma spesso per i troppi conflitti in corso, ha acquistato una centralità unica nella politica e nell’opinione pubblica, sviluppando spesso xenophobia e rifiuto, è importante la voce di chi richiama ai diritti umani ed alla solidarietà. È appunto quello che vogliamo essere e fare.
I sogni delle origini continuano a restare gli ideali di oggi, sia pure in tempi completamente nuovi e diversi: la fedeltà ai valori umani ed a quelli cristiani.
Il CdI è sicuramente uno strumento di informazione.
Una informazione utile, non fine a se stessa. Ma vuole essere anche qualcosa di più: un luogo di formazione, a servizio dell’umanesimo prima ancora di una appartenenza confessionale. Dove c’è il pluralismo delle idee, visioni anche diversificate sui temi della vita, della politica, della società, ma con al centro sempre la persona, per la sua crescita morale e culturale, la sua dignità, la sua chiamata alla vita.
Come vogliamo festeggiare questa ricorrenza?
In attesa di qualche suggerimento dai lettori, siamo incerti tra una tavola rotonda (con annesso dibattito, come in occasione del 60° a Mainz) ed una vera festa con i lettori e con i collaboratori, con i soggetti attivi della nostra storia, con tutti gli italiani che ci vogliono incontrare e conoscere, tra musica e testimonianze, canzoni dell’oggi e ricordi del passato, perché la nostra odierna identità affonda le sue radici in un passato a servizio della mobilità umana, degli italiani in Germania, delle minoranze etniche, dell’integrazione europea, solidale con il mondo che cerca la pace.
Festeggeremo inoltre con due pubblicazioni.
La prima: la storia delle Missioni cattoliche italiane in Germania, a cura di mons. Ridolfi, grande testimone di questa presenza (missionario a Francoforte già dal settembre del 1955, direttore del CdI dal 1960 al 1968, Delegato Nazionale delle Mci dal 1965 al 1971, poi Direttore dell’Ucei a Roma).
La seconda: il premio “Quando i miei vennero in Germania”, come continuazione del volume “Quando venni in Germania”, pubblicato in occasione del 40° dell’accordo italo Tedesco del 1955, che raccoglieva le testimonianze delle prime generazioni.
Ora la parola passa ai loro figli, alle generazioni dei giovani, a chi forse soffre di più.
Questo “rivangare” il passato non vuole essere certo una fuga dal presente. Anzi, è un modo per affrontarlo nel modo giusto, per evitare gli errori di allora. Come appunto fu la politica della rotazione degli anni 60/70, quando eravamo chiamati “Gastarbeiter”, “lavoratori ospiti”, perché dopo un certo periodo era previsto o scontato il rientro. La Germania non era considerata un Einwanderungsland, terra di immigrazione. Per cui mancava una politica di integrazione, quella che ora invece diventa centrale e obbligatoria per gli stessi rifugiati (oltre un milione lo scorso anno).
Il nostro “decano” Giorgio Brignola, che entra nel 40° anno di collaborazione gratuita, ha poi un desiderio: ricevere un altro rinoscimento OMRI (Onorificenza al merito della Repubblica Italiana). Se il sogno si potesse avverare, sarebbe una grande soddisfazione per tutti, una onorificenza che va al di là della persona, per abbracciare la storia di tutto un volontariato che da 65 anni rende possibile questo impegno giornalistico a servizio della grande comunità italiana in Germania.