Penso che Carrilho abbia colto nel segno: è stata descritta meglio la situazione del cane dell’infermiera spagnola di quella delle 82 vittime del distretto di Bombali, nel nord della Sierra Leone. Attraverso notizie montate ad arte l’emergenza Ebola si è spostata dal suo epicentro (principalmente nell’Africa dell’Ovest) direttamente nelle nostre case, grazie anche a politici fanfaroni che ritengono possibile che un infettato dal virus possa arrivare sulle coste Italiane trasportato dai barconi della morte che attraversano quasi quotidianamente il mediterraneo.
Forse questi signori non sanno che il tempo di vita del virus è di tre giorni, quello di incubazione ventuno. Dubito che qualsiasi migrante sia capace di attraversare il deserto e il mediterraneo in questo breve periodo di tempo. Riprova ne è che tutti i casi di contagio negli USA e in Europa sono persone che sono state infettate in Africa e sono tornate a casa in aereo. Come ha amaramente commentato Gino Strada: “L’Ebola arriverà da voi se non lo fermiamo subito qui in Africa.
E non arriverà attraverso i barconi, ma attraverso i voli in business class”. Non voglio polemizzare, ma ho paura che questo intervento mediatico ponga in secondo piano la catastrofe che il popolo della Sierra Leone sta vivendo a causa del virus Ebola. Dico Sierra Leone perché ho personalmente vissuto in questo paese nel 2012, nella città di Makeni (che oggi è purtroppo il terzo maggior epicentro di Ebola nel paese) dove ho insegnato Antropologia Culturale all’Università Cattolica fondata dalla Diocesi. Molti dei nostri amici, direttamente e indirettamente, sono stati affetti da questo virus. Vorrei quindi presentare questo dramma da un altro punto di vista, dal punto di vista di queste persone, di cui alcuni sono purtroppo morti, altri hanno perso il lavoro e sono (ri)piombati nella miseria. L’economia di Makeni, infatti, era basata sulle compagnie minerarie straniere che lavoravano nel paese e avevano la loro base a Makeni. Con l’arrivo del virus queste hanno lasciato il paese, eliminando in questo modo la maggior fonte di sostentamento per la gente di Makeni.
È anche da notare che uno stipendio riusciva a mantenere un numero indefinito di persone. In Sierra Leone le famiglie sono allargate e chi ha possibilità economica non rifiuta di sfamare o aiutare chi si trova nel bisogno. A quanto riferitomi dai missionari che ancora sono sul posto, uno dei problemi maggiori è legato al fatto che molta gente non crede che il virus esista, ma che la gente si ammali e muoia a causa della magia nera. Questo fa si che non vengano prese le precauzioni (basterebbe lavarsi le mani, indossare guanti di gomma, ecc.) necessarie per combattere questa epidemia. Solo adesso sembra che la popolazione cominci a rendersi conto, dopo 2657 casi e 853 morti accertate a causa del virus, che Ebola è un virus mortale ed è estremamente pericoloso (Fonti del ministero della Salute della Sierra Leone 10/10/2014). Oltre alle morti accertate, vi è un altro grave problema principalmente legato al fatto che la gente che abita nella casa dove è stato riscontrato un caso di Ebola, viene messa in quarantena per 21 giorni. Durante questo periodo sono sorvegliati dai soldati e dalla polizia.
Non è loro permesso di uscire dal cortile che circonda la casa. Ogni volta che qualcuno di questa famiglia è affetto da ebola e muore, la quarantena ricomincia da capo. Una famiglia di un villaggio dove i missionari Saveriani lavorano è in quarantena da agosto! Questo è un grosso problema perché di solito le famiglie non hanno risparmi e nemmeno scorte di cibo in casa. Alla mattina si recano al mercato a vendere, oppure nel bosco a raccogliere della legna e con quello che guadagnano, nel pomeriggio, comperano gli ingredienti di cui hanno bisogno per cucinare il cibo necessario per quella giornata.
Il governo ha deciso di aiutare queste persone dando un sacco di riso ed altri ingredienti per ogni casa in quarantena, ma il problema è che il governo non riesce a provvedere per queste persone e queste molto spesso muoiono di fame. Questo è dovuto al fatto che molti non vogliono avvicinarsi alle casa per paura del contagio, ma anche per timore di ritorsioni da parte della persona che, secondo loro, ha eseguito la magia nera. Bisogna tenere conto che nella maggior parte delle case non c’è acqua e neppure elettricità. Il governo ha vietato alle persone di spostarsi da un distretto del paese all’altro, ma questa decisione, che chiaramente vuole impedire il propagarsi del virus attraverso il paese, ha causato il blocco delle merci e dei mercati. Nei piccoli villaggi le persone si trovano ad affrontare la mancanza di cibo e solo il capo del villaggio può uscire a procurarsi il riso e le provviste necessarie per la propria gente.
E come purtroppo succede in tutte le situazioni di disordine causate da epidemie e guerre, il prezzo degli alimenti è cresciuto indiscriminatamente. Il problema quindi, non è solo l’Ebola in se stesso, ma il fatto che il virus ha in pratica bloccato un’intera società, un intero paese portandolo all’improvviso indietro di più di dieci anni, al tempo della cruenta guerra civile che bloccò il paese per quasi dieci anni. Dopo questa doverosa introduzione, vorrei presentare alcune esperienze, proprio per conoscere (come auspicato da André Carrilho) delle situazioni concrete di persone che vivono e offrono il loro servizio in Sierra Leone. Ho personalmente conosciuto molti dei missionari che prestavano il loro servizio in Sierra Leone, e qua sotto trascrivo alcuni passi delle e-mail che ci stiamo scambiando in questi giorni.
Questa è una lettera che ho ricevuto da Padre Natalio, missionario Saveriano che è anche stato nominato amministratore apostolico della diocesi di Makeni. Ho conosciuto personalmente Padre Natalio, una persona generosa e infaticabile:
“Cari Amici, purtroppo le notizie sono ancora molto negative: l’Ebola sta avanzando e guadagnando terreno; proprio ieri il parroco di Yele, una delle parrocchie della Diocesi, mi ha chiamato per telefono dicendomi che il piccolo ospedale del paese è stato messo sotto quarantena perché alcune persone sono morte e il risultato dei test di laboratorio hanno dato esito positivo al virus Ebola. I due medici stranieri, membri di una ONG olandese, che dirigevano l’ospedale, torneranno nel loro paese domani. I numeri di persone contagiate e morte a causa del virus Ebola che voi leggete sui giornali sono molto bassi. Le persone morte ieri a Yele non saranno sicuramente conteggiate e neppure le 14 persone morte sabato scorso in due villaggi di Binkolo, parrocchia vicina a Makeni. Perché l’epidemia dilaga? Perché molta gente non crede ancora alla presenza del virus e molti, ma davvero molti, continuano a pensare che sia una questione di “stregoneria”. Ieri in un villaggio vicino a Bumbuna è stato portato un uomo ammalato. L’infermiera, accortasi immediatamente che l’uomo aveva contratto il virus Ebola, ha avvisato la famiglia ed è andata a chiamare l’autorità competente. Quando l’ambulanza è arrivata al villaggio, i medici si sono accorti che quasi tutta la gente era scappata nella foresta e avevano portato via, caricato sulle spalle, anche l’ammalato. Quanti si saranno contagiati con questa azione? È questo che dobbiamo combattere, ma non è facile. Il blocco di tre giorni di tutte le attività programmato dal governo per il 19-21 settembre ha come uno degli obiettivi principali, a mio giudizio, quello di far capire alla gente che l’ebola è un virus mortale ed è qui tra noi. Quello che più sta stressando noi missionari è il fatto che non abbiamo informazioni sicure sulla situazione e ci rendiamo conto che possiamo fare ben poco per sconfiggere il virus. Nonostante ciò le azioni che stiamo organizzando sono: •Preparare persone che vadano nei villaggi a sensibilizzare la gente ed insegnare come prevenire il contagio, portando materiale per disinfettare le case e tenere disinfettate le mani. •Comperare vestiario appropriato per proteggere il personale che lavora negli ospedali e nelle cliniche. •Comperare medicine per assicurare assistenza ai pazienti trattenuti in ospedale in attesa che arrivino i risultati di laboratorio (ci sono, per il momento, solamente tre laboratori specializzati in Ebola, nel paese). •Portare alimenti alle famiglie messe in quarantena (quello che offre in governo non è sufficiente). •Aiutare le famiglie che hanno perso i loro cari, soprattutto quelle che hanno perso chi portava a casa il necessario per il sostegno della famiglia, a ricominciare (oltre a rimanere senza soldi devono anche cambiare i letti, i vestiti, etc…. per evitare ulteriori problemi). •Aiutare le strutture governative ad organizzare i centri per l’accoglienza dei casi sospetti: ieri ci hanno chiesto dei materassi e un gruppo elettrogeno perché il nuovo centro che vogliono aprire non ha energia elettrica. Questo è quello di cui abbiamo bisogno, se ci potete dare una mano, ve ne sarò grato. Da parte mia vi assicuro la mia preghiera e che quanto voi ci manderete sarà bene amministrato e speso tutto per combattere questo flagello. Pregate per noi, questo è l’aiuto più importante in questo momento ed è molto economico, anzi, gratuito. Un saluto, Padre Natale”.
Sono in contatto sia con i missionari che con altre persone che ho conosciuto durante il 2012, ragazzi di una generosità e purezza d’animo impressionante. Qui sotto traduco alcune delle lettere che ho personalmente ricevuto e sto ricevendo in questi giorni: La prima è di John, un giovane che ci e` stato molto vicino durante il nostro soggiorno in Makeni.
"Ciao Marco, sono venuto ieri da Mongo [il suo villaggio natale]. Ora sono a Makeni. L’ultima notizia è che il distretto di Koinadugu (Kabala) è libero dall‘ Ebola, ma anche cosi si sono scatenate un sacco di paure nella gente. Le autorità hanno bloccato i punti di ingresso a Koinadugu. I prezzi dei beni sono aumentati indiscriminatamente. Le persone soffrono perché non hanno cibo, soprattutto nei villaggi. Tre giorni fa non c’era riso in Mongo e nessun mercato pubblico è consentito in tutto il paese. A livello nazionale, secondo i rapporti, i casi sospetti e confermati continuano ad aumentare. Makeni e Portloko sono zone pericolose in questi giorni. Molte case sono state messe in quarantena. Il governo sta cercando di fare, ma la situazione è terribile. Il paese è in uno stato di emergenza. Io rimango nella mia casa, leggo, scrivo e prego. Stiamo cercando di essere prudenti, di prendere precauzioni. Rimaniamo uniti nella preghiera."
Dopo pochi giorni ci ha riscritto questo:
"Ciao Marco, i casi d’infezione da Ebola continuano a crescere. Sembra che tutte le misure adottate finora non abbiano potuto fermare il contagio. Si tratta di una situazione preoccupante perché la gente intorno a noi continua a infettarsi. Due persone intorno mia zona (Ropolon) sono stati portati in Kenema ieri e questa mattina abbiamo avuto notizia che uno di loro è morto e l’altro è sotto trattamento. Le case dove sono stati raccolti sono state messe in quarantena per 21 giorni. Molte case a Makeni sono stati messe in quarantena. La gente nelle case in quarantena soffre la mancanza di cibo e di altri servizi di base. Alcune persone in queste case non muoiono a causa di ebola ma a causa della mancanza di cibo. Il governo aiuta, ma non è davvero sufficiente. Due settimane fa i padri Saveriani hanno fatto il giro di queste case per offrire cibo, carbone e altri beni primari. Il governo ha ordinato una tre giorni di blocco di tutto il paese, dal 19 al 21 settembre. A nessuno è permesso di uscire, nemmeno per andare a pregare. È come essere in prigione! Vi ringraziamo per le vostre preghiere e l‘ unità e ci auguriamo che questo disastro ci lascerà presto."
Infine un’altra email, speditami ancora da Padre Natalio:
“Caro Marco, Un saluto da Makeni a te e famiglia. Ti ringrazio di cuore per la tua/vostra vicinanza in questo momento difficile. La diocesi si sta impegnando in diversi fronti, sensibilizzazione della gente per prevenire il contagio, aiuto alle famiglie che sono in quarantena, aiuto alle famiglie che hanno perso dei cari, sostegno alle nostre strutture sanitarie, ospedali e cliniche, che stanno soffrendo per mancanza di risorse, abbiamo aiutato a sistemare l’impianto elettrico e idraulico di due centri di isolamento, etc…. Un gruppo molto attivo è quello dell’Università, guidato da P. Joe e P. Benjamin. Ti assicuro che quanto ci manderai sarà speso bene, ti manderemo un resoconto di come saranno utilizzati i soldi. Ecco gli estremi del conto in euro della Diocesi: ROKEL COMMERCIAL BANK (SL) LTD 25/27 Siaka Stevens Street Freetown, Sierra Leone BIC : RCBKSLFR BBAN: 002012017177172142 Beneficiary: Catholic Diocese of Makeni account nº: 12-1771721 Grazie di cuore e un caro saluto. Ricordiamoci nella preghiera. Ciao!
Solo per dare una idea, un Euro e` all’incirca 5000 Leones (moneta della Sierra Leone). Con un Euro si possono comprare: riso per almeno quattro persone (1000 leones), un filone di pane (1000 leones), verdura per accompagnare il riso (1000 leones) e pesce secco (2000 leones).La comunità Cattolica Italiana di Ludwigshafen ha risposto in maniera concreta alla richiesta di aiuto di Padre Natalio, mandando in Sierra Leone le generose offerte dei fedeli che hanno contribuito, con la consueta generosità, ad alleviare le sofferenze di questo povero popolo.
Concludo con la speranza di aver portato alla luce il dramma di questo popolo che, come ho già scritto, non è solo l’Ebola in se stesso, ma il fatto che questo virus ha in pratica bloccato un intero paese.