Perversi noi? Ma perverso sarà lei, caro signor italiano, con le sue manovre per salvare i Paesi della Dolce Vita e i suoi giochi d’azzardo con le operazioni monetarie. Mario Draghi, che pure vive a Francoforte da un bel po’, non deve essersi reso conto che il proverbio secondo il quale non si deve svegliare il can che dorme vale anche in Germania (anzi, pare che venga proprio dal tedesco antico).
Altrimenti non avrebbe detto, nell’intervista allo Spiegel, che la paura dei tedeschi per l’inflazione che potrebbe essere provocata dalle scelte della Banca centrale europea è «perversa » perché in Europa e in Germania non c’è alcun rischio di deprezzamento della moneta e anzi c’è il rischio contrario della deflazione. E non avrebbe usato toni decisi a difesa della propria politica del sostegno ai titoli dei Paesi a debito forte.
La quale non ha fatto, finora, che bene. Le sue affermazioni sono una specie di dichiarazione di guerra al monetarismo ortodosso di Berlino e dintorni, quello che concepisce la Bce come una specie di versione europea della Bundesbank, che deve fare soltanto e bene il cane da guardia dell’inflazione, senza sentimentalismi per i guai dei poveracci e senza grilli per la testa. Fatto sta che su «l’italiano di Francoforte» tuonano i cannoni di tutta la destra economica della Repubblica federale: Draghi è colpevole di aver infranto la legge forzando le prerogative dell’istituto che presiede quando, nell’estate del 2012 proclamò che l’Eurotower era pronta «a fare di tutto per salvare l’euro».
L’uomo vuol cantare la ninna nanna ai paesi della Dolce Vita perché continuino a spendere e spandere senza fare i «compiti a casa». E si è montato la testa perché, secondo Manfred Johann Michael Neumann, professore dell’università di Bonn ed ex presidente del comitato scientifico del ministero dell’Economia, cui non debbono mancare rudimenti di psicologia, fa l’arrogante e si autoincensa per nascondere «il suo Ego insicuro» nel momento in cui gioca d’azzardo con i soldi dell’Ue.
Secondo Stefan Homburg, direttore dell’Istituto delle Finanze pubbliche dell’università di Hannover, la politica di salvataggio condotta con le Omt (Outright Monetary Transactions, le operazioni per calmierare i titoli pubblici dei Paesi a rischio) sono clamorosamente «illegali». In ogni caso la politica del capo della Bce è solo «sabbia buttata negli occhi», dice Kai Konrad, dell’Istituto per le finanze pubbliche di Monaco, perché «la convergenza dei tassi d’interesse» prima o poi si rivelerà un bluff e «non significa la fine della crisi». Si potrebbe continuare con le citazioni e gli insulti, ma quelli citati bastano a far capire che la polemica è pesantissima e per niente accademica.
Ma perché tanto livore? L’impressione è che Draghi abbia pizzicato una corda molto tesa criticando apertamente e in modo colorito le paure tedesche per l’inflazione. Intanto per una questione di sostanza: l’opinione tedesca è patologicamente sensibile al tema inflazione. Si ritiene generalmente che questa sensibilità vada fatta risalire alla memoria storica della Grande Inflazione del 1923, anche se resta un mistero (almeno per i non tedeschi) perché ci sia tanta sensibilità sul ricordo del ’23, quando si usavano le carriole per andare a comprare il pane e un dollaro valeva 4300 miliardi di marchi, e non ce ne sia altrettanta su quello del ’30-32, quando la brutale politica deflazionistica del cancelliere Heinrich Brüning provocò una catastrofica recessione, milioni di disoccupati e i disordini sociali che portarono alla fine della Repubblica di Weimar e all’ascesa del nazismo. Ma la colpa di Draghi non è solo quella di aver toccato il tabù inflazione. È, verosimilmente, di averlo fatto in un momento politico particolarmente delicato, mentre in Germania è in atto uno scontro molto duro, anche se non sempre percepibile, sui fondamenti delle politiche economiche e sugli orientamenti da adottare.
I professori che hanno preso a cannonate il capo della Bce rappresentano solo una parte degli economisti tedeschi. C’è un’altra parte che approva la politica degli Omt e che in generale ritiene che il pericolo vero, per l’Europa e per la Germania, non sia affatto l’inflazione, ma la recessione e l’approfondimento del gap di competitività tra i paesi dell’euro. La politica dell’austerity del precedente governo Merkel è stata coerente con le tesi economiche della destra, pur se va riconosciuto alla cancelliera di aver comunque appoggiato Draghi anche contro le resistenze e i boicottaggi della Bundesbank.
Ora che con la große Koalition l’asse si è spostato verso la sinistra si può sperare in una inversione di tendenza e qualche segnale lo si è percepito nel programma che è stato concordato tra i partiti democristiani e la Spd in materia di sollecitazione della domanda interna e di investimenti pubblici. Non è troppo malizioso il sospetto che la levata di scudi anti-Draghi sia stato un segnale politico, un tentativo di altolà al nuovo governo.