Erano parecchi ad aspettare il battesimo di fuoco di Christian Wulff, neo eletto Presidente della Repubblica federale di Germania. È entrato in carica il 30 giugno di quest’anno, per volontà di Angela Merkel, e sembrava destinato a non dare nell’occhio con una presidenza morbida, accomodante e timida, dopo le clamorose dimissioni di Horst Köhler, già passato alla storia come il più spigoloso tra i presidenti della Repubblica Federale.
Invece, con il suo intervento del 19 ottobre davanti al parlamento di Ankara, Christian Wulff si è già assicurato un posto nella lista dei Presidenti coraggiosi alla pari di un Gustav Heinemann, di un Richard Von Weiszäcker o di un Hermann Herzog. Per la prima volta nella storia, un Presidente tedesco ha parlato davanti al parlamento turco e nessuno avrebbe mai pensato che proprio in quella sede Chritian Wulff si sarebbe meritato gli speroni d’oro. È accaduto proprio così.
Nel bel mezzo di un dibattito infuocato sull’integrazione dei musulmani in Germania, scatenato ed esasperato dalla pubblicazione di Thilo Sarrazin “Deutschland schafft sich ab” (La Germania si sopprime), il Presidente tedesco si è trovato di fronte al parlamento di un Paese al 99,9% musulmano. Un Paese che in Germania occupa un posto fisso sul banco degli imputati, per aver procurato con i suoi emigranti a questa società di accoglimento una spina nel fianco che fa un male da cani. Prima di recarsi ad Ankara, Wulff aveva anticipato una dichiarazione mai sentita da una così alta carica: “L’Islam è parte della Germania”.
Un bel botto sparato in pieno giorno in una data lontana da San Silvestro, mentre Angela Merkel dichiarava quasi contemporaneamente: “Fallito in Germania il modello di società multiculturale”. A questo punto il dilemma del presidente Wulff era evidente. Come si fa ad andare dai turchi e a non contraddire la Cancelliera, assumendo però una posizione che apre uno spiraglio su un modello di società integrante e, di conseguenza, multietnica e multiculturale?
Con una semplicità disarmante, il 19 ottobre, Wulff ci è riuscito. Innanzitutto ha abbassato i toni, rinfrescando la memoria di tutti su una serie di interessi comuni e di affinità, anche storiche e culturali, che legano la Germania alla Turchia. Poi, senza contraddire la Merkel, ha posto le condizioni per uscire dal fallimento della convivenza muticulturale, mettendo sul tavolo verde la carta del rispetto, del reciproco riconoscimento, della pari dignità.
Se il Presidente ha provocato i tedeschi, ricordando che l’Islam è parte di questa società, ha coraggiosamente provocato anche i turchi, ricordando che il cristianesimo deve essere parte della loro società. In fondo, Wulff ha raccontato ai turchi i principi dell’illuminismo kantiano, ma senza calcare la mano. Intelligentemente ha ricordato ai turchi anche i principi di uno di loro, Mustafa Kemal, passato alla storia come Atatürk, Padre della Turchia, che radiò la religione dall’ordinamento statale turco e che è ancora oggi il punto di riferimento di ogni Leader turco impegnato nell’emancipazione della sua gente. Se Thilo Sarrazin ha messo per iscritto le frustrazioni dei tedeschi nella loro vita quotidiana con gli immigrati musulmani e Angela Merkel ha ammesso il fallimento di un modello multiculturale, Wulff ha indicato una via d’uscita, stabilendo le regole del gioco. L’integrazione non è un processo a senso unico.
Integrazione è sinonimo di interazione. Gli uni devono rispettare le regole fondamentali per integrarsi: rispetto della società di accoglimento, volontà di conoscerne la lingua e di rispettarne i costumi. Gli altri devono rispettare le regole fondamentali per integrare: il rispetto della cultura d’origine, la volontà di apertura verso i costumi e le radici di chi deve essere integrato. Questi principi non sono sempre scontati e non dimentichiamo che per decenni la Germania ha negato di essere “Einwanderungsland”, paese di immigrazione.
Fu anche questa storpiatura della realtà a creare i problemi di cui oggi paghiamo le pene ( tedeschi e stranieri, tutti insieme). E noi italiani in Germania ne sappiamo qualcosa. Noi siamo cristiani, eppure sino agli anni settanta abbiamo vissuto in Germania nelle stesse baracche che poi abbiamo ceduto volentieri ai turchi. Fino agli anni settanta comprare in Germania una melanzana o due zucchine o 100 grammi di caffé espresso era un fatto esotico. La discriminazione dei nostri figli nelle scuole tedesche è stata una realtà e non una favola di Andersen. E poi, per cortesia, non dimentichiamoci che anche le nostre nonne portavano i fazzoletti in testa quando venivano a trovarci in Germania. Noi l’integrazione ce la siamo sudata.
Se la devono sudare anche gli altri. Però nessuno può raccontare agli italiani in Germania che la società multiculturale è fallita. Signore e signori la società multiculturale in Germania l’abbiamo già creata noi. C’è posto anche per gli altri e dovremmo essere tra i primi disposti ad indicare a tutti come si fa.