Sappiamo cucinare bene la pasta, i maccheroni e la pizza. Viviamo nella patria dell’arte e sappiamo suonare il mandolino. Se siamo uomini, adoriamo la mamma e ci piacciono il calcio, la moda e le donne. Vestiamo griffati, abbiamo tanto gel nei capelli e portiamo grandi occhiali da sole. Quando parliamo, gesticoliamo molto; urliamo al ristorante e, probabilmente, siamo anche mafiosi e truffaldini. In una parola, siamo italiani, e questa è l’immagine che gli stranieri hanno di noi. Visioni positive e negative, in cui alcuni si potranno riconoscere di meno, altri di più, altri per niente. Se ne fanno film e serie tv, che offendono alcuni e fanno ridere altri.
Fatto sta che, come tutti, anche noi soffriamo di stereotipi estetici e culturali, che cambiano a seconda che ci troviamo in America o in Francia, che si riferiscano all’immigrato o al turista, che affondano le radici nel passato o che siano frutto della nostra immagine nel presente. Nel 2009, il designer di Sofia e residente a Londra Yanko Tsvetkov è stato l’autore di alcune fortunate e divertenti mappe che mostrano come i cittadini di un paese europeo vedono i loro vicini di casa. Se c’è una cosa comune a tutti è la curiosità di sapere come si viene visti dagli altri e questa è la ragione per cui le “Mapping stereotypes” hanno subito riscosso un grande successo.
Stando alle simpatiche vignette, i francesi ci vedrebbero come “i cugini chiassosi e amichevoli”, mentre i tedeschi come gli abitanti della “terra della pizza e dei musei” e i bulgari della “patria degli spaghetti”. L’Inghilterra, invece, ci associa al resto del continente, definendoci “l’Impero federale e diabolico d’Europa”. Al di là di questo originale tentativo, però, basta viaggiare un po’ per rendersi conto dell’idea che gli altri hanno di noi e noi degli altri.
Molto spesso si tratta di stereotipi puramente estetici, che permettono di identificare la nazionalità di qualcuno dai tratti somatici o da come è vestito. Quante volte vi sarà capitato di trovarvi per le strade di una città straniera e di essere subito riconosciuti come italiani, anche quando non pensavate di esserlo poi così tanto? Ebbene, non è preveggenza. Benché se ne voglia, abbiamo tutti qualcosa in comune. Se è vero, infatti, che non tutti gli italiani portano grandi occhiali da sole e sono abbronzatissimi, altrettanto vero è che tutti quelli che vanno in giro così sono italiani e che, se non lo fanno, o non viaggiano o sono semplicemente l’eccezione che conferma la regola.
E d’altronde è lo stesso principio che noi italiani applichiamo agli altri. Riconosciamo i tedeschi per le magliette dentro i calzoncini corti anche in autunno, per i sandali aperti con i calzini sotto, lo zaino in spalla e la birra anche a pranzo. Distinguiamo i giapponesi dai cinesi per la loro inseparabile macchina fotografica e il loro shopping di lusso, così come riconosciamo le donne francesi per la loro affascinante chiccheria e il loro cappellino da pittrice.
E, poi, ci sono gli spagnoli, che ci somigliano molto ma sono distinguibili perché indossano abiti più semplici. Sono tutti stereotipi estetici: pregiudizi fastidiosi, sì, ma innocui, facili a formarsi ma anche facili a distruggersi. Ben più radicati nel tempo sono, invece, gli stereotipi culturali, frutto di costruzioni di anni e spesso cattivo effetto di un contatto molto vicino tra due culture.
Tra questi, ci sono quelli positivi, magari legati alla storia artistica o alle tradizioni gastronomiche di un Paese, che fanno associare la Germania alla birra, ai crauti e al wurst; la Francia al vino, alle baguette, crêpe e ai croissant; e la Spagna alla sangria e alla paella.
Ci sono poi quelli negativi, come quello degli americani tutti guerrafondai o degli islamici tutti terroristi, o quelli dell’immigrato che, spesso povero e fuggiasco, da particolare categoria finisce per identificarsi con un’intera nazionalità. E così, per gli italiani, i romeni sono tutti ladri e gli africani tutti clandestini, mentre, per gli americani, noi italiani siamo tutti padrini o scagnozzi della mafia. E proprio quello dell’italiano criminale di bassoborgo forse è lo stereotipo più antico che ci abbiano mai affibbiato. Ormai è patrimonio dell’immaginario collettivo e affonda le sue radici nelle emigrazioni in massa di siciliani negli Stati Uniti dei primi anni del ‘900. Nonostante di tempo ne sia passato ormai un bel po’, non riusciamo a scrollarcelo di dosso e serie televisive e film continuano a rappresentarci in questo modo. Adesso, però, e non c’è da esser fieri anche in questo caso, sempre in America, incomincia a prendere piede un altro stereotipo dell’italoamericano, che da padrino o criminale si è trasformato in un palestrato senza cervello, ossessionato dal sesso e dalle macchine, e che ha per fidanzata una volgare e siliconata italoamericana. Sono i cosiddetti “Guido” e “Guidettes”, cioè il corrispettivo di “tamarro” in italiano, ed è l’ultimo epiteto dispregiativo usato negli USA quando si parla di italoamericani. L’immagine è stata anche in questo caso portata sugli schermi con “Jersey Shore”, uno pseudo reality show al limite del trash che da qualche mese viene trasmesso negli Stati Uniti sul canale musicale MTV. Riprende la vita di otto ragazzi e ragazze italo-americani, alcuni più alcuni meno, la cui immagine sembra alla fine uscirne massacrata. Il programma ha attirato oltre quattro milioni di telespettatori e già si pensa al sequel, mentre la National Italian American Foundation protesta per aver diffuso un’immagine dell’italiano così rozza e volgare. Quella dell’italiano tamarro e fashion victim, fastidioso latin lover senza cervello per gli uomini ma comunque latin lover per le donne, è lo stereotipo che sembra adesso andar per la maggiore. Anche in Spagna veniamo rappresentati in questo modo, probabilmente a causa di quella particolare categoria di viaggiatore italiano che predilige quelle mete per la propria vacanza estiva. L’anno scorso, circolava sull’emittenti spagnole nazionali uno spot della nota catena di supermercati Carrefour. La pubblicità aveva come protagonisti un gruppo di ragazzi alla moda, palestrati e abbronzatissimi, che, dopo esser scesi da un uno yacht si scaraventano su un gruppo di ragazze spagnole per conquistarle. Di sottofondo, la sigla “A.T.I.V.T.V.I.I.G.C.C. E.R.H.P.-N.R.C.S.D.P”, che letta dallo stesso speaker suonava: “L’associazione di turisti italiani che verranno in estate per invadere Ibiza e Gandia per conquistare le ragazze dicendogli la solita scusa che sappiamo fare la pizza come nessuno la pizza, ma in realtà di cucina sappiamo solo dire peperoni”.