Sono passati 40 anni dalla fondazione delle case rifugio per le donne che subiscono violenza, le cosiddette “Autonome Frauenhäuser”. La prima fu fondata a Berlino nell’ottobre del 1976, la seconda appena un mese dopo a Colonia. Erano gli anni del movimento femminista, della presa di coscienza delle donne dei loro diritti… e dell’amara scoperta che tante di loro subivano passivamente violenze fisiche e psichiche, spesso nell’ambito della propria famiglia. Era il momento di opporsi e di diventare attive – molte lo fecero e uno dei prodotti del movimento furono appunto le “Frauenhäuser”, a disposizione di quelle donne che trovavano il coraggio di ribellarsi alla loro sorte. Cos’è cambiato in questi 40 anni? Sono ancora attuali le case rifugio?
Ne abbiamo parlato con Lie Selter, una delle fondatrici della prima Frauenhaus di Colonia e con Antonella Giurano, vicepresidente dell’Integrationsrat della Città di Colonia e presidente del Centro Internazionale MondoAperto/OffeneWelt.
Signora Selter, lei faceva parte del gruppo di donne che nel 1976 fondò la prima Frauenhaus di Colonia, era ancora molto giovane, come mai questo impegno che a quei tempi doveva essere enorme?
Erano i tempi delle discussioni sul paragrafo 218 (legge di riforma dell’aborto, ndr), del movimento femminista, eravamo tutte molto politicizzate, c’erano dimostrazioni in piazza, dibattiti… inoltre c’era una fantastica docente alla facoltà di Politiche Sociali, dove studiavo anch’io, la professoressa Maria Mies, che ci fece scoprire le problematiche delle donne. Eravamo molto motivate e creammo dei gruppi dove ci incontravamo per discutere dei nostri problemi. Quando arrivò in Germania da Londra il libro di Erin Pizzey, che trattava della violenza domestica e dell’esperienza che aveva fatto con l’apertura del primo rifugio per donne del Regno Unito (1971, ndr), allora decidemmo che era venuto il momento di agire e non solo di parlare e lamentarsi. Così passammo all’azione, facemmo riunioni dove vennero tantissime donne, raccogliemmo firme e molte donne iniziarono a rivolgersi a noi, a chiedere aiuto… ma le istanze comunali non erano interessate alla fondazione di una Frauenhaus, dicevano che il problema non esisteva veramente… così occupammo uno stabile e fondammo la prima Frauenhaus. Che già dal primo giorno si riempì di donne e bambini! Finalmente la città di Colonia si decise a reagire e ci mise a disposizione un edificio in un altro quartiere, perché era importante mantenere l’anonimità per poter difendere la pace delle donne che vi si erano rifugiate.
E così nacque la prima vera e propria “Autonomes Frauenhaus” di Colonia. Ma perché autonoma, che significa questo aggettivo?
Durante il nostro lavoro ci eravamo rese conto che volevamo una struttura non gerarchica, che non si dovesse rapportare a altre istituzioni, come per esempio quelle ecclesiali. Comunque più tardi ci siamo inserite nel circuito del Paritätischer Wohlfahrtsverband, che organizza appunto gli enti gestori autonomi. L’ente gestore della Frauenhaus era ed è tutt’oggi l’associazione „Frauen helfen Frauen“, che avevamo fondato ancora prima di occupare la prima casa. L’associazione era riconosciuta come “gemeinnützig” (associazione no profit, ndr), quindi ci permetteva anche di ricevere dei finanziamenti pubblici per il nostro lavoro. In breve tempo l’idea delle Frauenhäuser si allargò su tutto il territorio della Germania Federale e dopo un po’ potemmo aprire a Colonia anche la seconda casa rifugio.
Il lavoro dell’associazione spronò le donne di Colonia a organizzarsi, così nacquero diverse iniziative tipo associazioni per il lavoro delle donne, il famoso Frauenbuchladen e tante altre. E infine la città di Colonia fondò all’inizio degli anni ‘80 il Frauenamt, il primo ufficio comunale per le donne dell’intera RFT e Lei ne divenne la direttrice. Ma, tornando alle Frauenhäuser, sicuramente gli inizi non furono semplici, quali furono i problemi più grandi da affrontare?
Sicuramente quello del finanziamento. Ci si può immaginare che mantenere una struttura di questo genere non costa poco. La nostra idea era quella di poter ricevere dei finanziamenti finalizzati al numero delle donne e dei bambini presenti, insomma un supporto finanziario che permettesse alle donne di essere indipendenti e di poter ricostruire la loro vita senza pressioni economiche. Purtroppo questa è ancora oggi una battaglia aperta. Inoltre, un grande problema è il poco personale che le Frauenhäuser si possono permettere. Chi vi lavora deve occuparsi di tutto e chiaramente l’assistenza alle donne che vivono lì è prioritaria, quindi rimane ben poco tempo per fare il lavoro politico, quello di sensibilizzare la società a questo tipo di problematica. E se si lavora in silenzio molti finiscono per pensare che il problema non esiste, ma non è così!
Le donne che chiedono di essere accolte vengono indirizzate nelle Frauenhäuser che hanno posti liberi, ma in ogni caso sempre in località distanti da quella dalla quale provengono. È un modo per difendere la loro privacy. Ma quanto tempo rimangono le donne in una Frauenhaus?
Lo scopo delle Frauenhäuser è quello di aiutare le donne a trovare una loro dimensione e quindi il coraggio di iniziare una nuova vita. Devono stabilizzarsi psicologicamente, ritrovare un equilibrio. Quindi il tempo necessario è relativo alla situazione della singola donna. Importante è anche che al momento giusto esse possano avere una casa per conto proprio e questo, data la situazione del mercato immobiliare, non è facile – e per donne sole, in più con bambini…
Dal 1976 sono passati 40 anni, ma ancora oggi – secondo le statistiche – su ogni quattro donne che vivono in Germania, una ha subito violenza dal partner attuale o da uno del passato. Non ci sarebbe bisogno di più Frauenhäuser? La domanda la giriamo a Antonella Giurano, presidente del centro internazionale MondoAperto/OffeneWelt e vicepresidente dell’Integrationsrat della città di Colonia.
Certo, a Colonia ci sono solo due case e una lista infinita di richieste. Questo succede anche perché le donne hanno acquistato più senso politico e sono diventate più sicure di se stesse, per questo sono anche più disposte a lasciare la famiglia quando è necessario. Ma comunque va anche detto che non tutte devono per forza andare in una Frauenhaus. Negli ultimi 40 anni le donne hanno fatto enormi passi avanti, è diminuito per esempio quel senso di vergogna che impediva loro di lasciare il marito violento che le picchiava. Le giovani donne, poi, appartengono oggi a una generazione molto più sicura di sé. E tutto ciò ha favorito la nascita di molte istituzioni, associazioni e centri di consulenza che si occupano di questi problemi. Secondo me le Frauenhäuser sono ancora oggi importantissime per le donne in cerca di aiuto, ma dovrebbero rappresentare veramente l’ultima tappa dell’iter – per così dire l’ultima ratio, quando non ci sono altri modi per aiutarle.
Cosa dovrebbe fare, quindi, una donna che subisce violenza per esempio nell’ambito famigliare?
La prima cosa è cercare l’appoggio e il consiglio della polizia. Lì troveranno anche la giusta comprensione della situazione e verranno indirizzate nelle istituzioni che possono aiutarle. Comprese le Frauenhäuser. Ma la polizia è importante, perché un marito violento non commette un reato di poco conto quando picchia la moglie o i figli. È un delitto grave, che va denunciato e punito.
Polizia e centri di consulenza, certo, ma la lingua per le donne straniere è forse un deterrente.
La lingua è sicuramente un problema, ma nel frattempo quasi tutti gli enti offrono dei servizi di interpretariato – certo, alcuni potrebbero essere meglio attrezzati… Comunque ci sono anche molte associazioni come la nostra, per esempio, dove ci si può rivolgere e spiegare il problema nella propria lingua. In tal senso devo dire che tra le donne italiane c’è una grandissima solidarietà, si aiutano molto tra loro e anche qui si vede che sono molto maturate rispetto a 40 anni fa. E se si tratta di reagire a delle violenze non ci pensano più due volte.
Foto da sx verso dx: Walla Blümcke, Lie Selter, Mirja Fehm, Antonella Giurano, Elfie Scho-Antwerpes e una giovane collaboratrice della Frauenhäuser di Colonia