Se chiedessimo a dei ragazzi tedeschi di vent’anni, studenti universitari di oggi, nati dopo la caduta del Muro di Berlino, quali sono le parole che associano di primo acchito all’Italia, quali pensate che sarebbero le risposte? Non sarà per caso ancora la tradizionale e obsoleta catena lessicale composta da “pizza-mafia-mandolino-spaghetti-mare-sole” a incorniciare la concezione del Belpaese nell’immaginario delle giovani generazioni? Sono passati gli anni, anzi i decenni e quei cliché ce li siamo lasciati alle spalle da un pezzo, verrebbe da pensare. Ebbene, non è così. Alcuni ricercatori delle università di Erlangen, Saarbrücken e Osnabrück hanno svolto una ricerca distribuendo questionari a centinaia di studenti universitari tedeschi e chiedendo loro di indicare in forma anonima i dieci termini che associano all’Italia. Il risultato dell’indagine “10 parole per l’italiano” lasciano sgomenti. Solo il mandolino non compare nella lista risultando evidentemente uno strumento musicale obsoleto. Ma per il resto le parole più gettonate sono quelle di sempre, quelle dei più triti stereotipi, quelle stesse che avrebbero indicato i loro genitori e i loro nonni: pizza, mare, pasta, amore, sole etc. C’è poco da fare: ancora nel 2016, anche per la generazione del dopo Muro, l’Italia continua ad essere percepita come un paese delle vacanze, dove si mangia bene e ci si diverte. I luoghi comuni sono duri a morire, si sa, e l’immagine dell’Italia in Germania proprio non riesce a rinnovarsi.
Ma cosa c’entra tutto questo con il tema della diffusione e promozione della lingua italiana? C’entra eccome, anzi è forse questo il cuore del problema. Se n’è parlato diffusamente lo scorso 8 aprile a Monaco, in un’affollata aula della Ludwig-Maximilians-Universität che ha ospitato gli Stati Generali della Lingua Italiana in Germania. La manifestazione è stata promossa e organizzata dall’Associazione dei Docenti d’Italiano (Adi) in collaborazione con altri enti (Consolato Generale di Monaco, Istituto italiano di cultura di Monaco, Istituto di Italianistica della Lmu) e con il patrocinio dell’Ambasciata d’Italia che era presente nella persona del consigliere Fausto Panebianco.
Tutti gli interventi hanno messo in luce un dato di fondo, un elemento che potremmo considerare il minimo comun denominatore e che potremmo riassumere in questo modo: la lingua italiana in Germania è una presenza forte, ben radicata e richiesta, ancora capace di suscitare simpatia e attrazione, ma il suo stato di salute complessivo è tutt’altro che ottimale. Ci sono segni di debolezza, difficoltà a reggere la concorrenza nell’ambito del cosiddetto “mercato globale delle lingue”. L’immagine dell’Italia è statica e stereotipata, come si diceva, e pochi in Germania percepiscono l’utilità di imparare la lingua italiana per esigenze che non siano strettamente correlate al mondo dell’arte e della musica.
Certo, l’italiano è tuttora diffusamente studiato in molte istituzioni: nelle scuole pubbliche, nelle Volkshochschulen, nei corsi offerti dalla Società Dante Alighieri, dagli Istituti italiani di cultura, negli istituti universitaria di filologia romanza, e nei centri linguisti interfacoltà di molti atenei. I numeri di quanti s’interessano all’italiano sono in linea generale ancora abbastanza buoni, ma quello che preoccupa sono le linee di tendenza. A livello scolastico, per esempio, si registra da anni una costante diminuzione degli iscritti (al momento sono circa 50mila), dovuta a vari fattori, tra cui il generale calo demografico, la sciagurata decisione di alcuni Länder di sospendere i corsi di lingua e cultura italiana, ed anche la scarsa capacità di pressione della comunità italiana in Germania.
A livello universitario, come illustrato analiticamente dal prof. Thomas Krefeld, la situazione è ambivalente: in quasi tutte le università tedesche è possibile studiare italianistica, ma il numero degli studenti crolla vistosamente nei corsi di laurea di livello magistrale e dottorale. Rispetto al passato sono sempre meno quelli che si laureano in letteratura o in linguistica italiana, mentre attraggono di più i centri linguistici interfacoltà (ne ha parlato Paola Cesaroni dell’ateneo di Erlangen), dove confluiscono studenti universitari di varie discipline accademiche.
Che fare dunque per favorire una ripresa dell’italiano in Germania? Come far passare il messaggio che la lingua italiana non è solo lingua di cultura utile per l’arte e la musica, ma anche lingua di comunicazione globale? È il caso o non è il caso, per esempio, di mettere in campo accurate strategie di marketing che servano a “vendere” meglio il prodotto lingua italiana sul mercato tedesco magari individuando uno o più slogan di sicuro effetto, come suggerito provocatoriamente dal prof. Reitani (direttore dell’IIC di Berlino)? Vale la pena puntare su un video in cui importanti personaggi della società tedesca spiegano l’importanza dell’italiano per la loro carriera professionale, come proposto dal consigliere d’ambasciata Panebianco? Sono tutte ottime idee, ma a monte c’è pur sempre la necessità di reperire le risorse economiche per sostenere e potenziare la diffusione dell’italiano. Dove trovare queste risorse in una fase storica in cui si tende a risparmiare in ogni campo e soprattutto in quello linguistico-culturale? Sono domande lanciate dalla tribuna di Monaco, ma per lo più rimaste senza risposta. Insomma, la situazione dell’italiano in Germania non è gravissima, ma sarebbe un errore macroscopico sottovalutare le attuali difficoltà e proceder come se tutto andasse a gonfie vele. Nel tirare le fila del convegno il prof. Paolo Balboni dell’università Ca’ Foscari di Venezia ha centrato il punto cruciale. A suo modo di vedere se si vuole affrontare immediatamente e concretamente la questione, sarebbe necessario innanzi tutto un maggior coordinamento tra le parti interessate: tra il governo italiano e le istituzioni federali tedesche, tra le istituzioni italiane che operano in Germania, tra istituti scolastici e universitari, tra le rappresentanze della comunità italo-tedesca, una grande risorsa potenziale finora non adeguatamente coinvolta. Affinché l’appello del professor Balboni non cada nel vuoto, sarebbe opportuno, per esempio, organizzare con regolare scadenza periodica incontri ufficiali sullo stato di salute dell’italiano così da monitorarne costantemente le linee di tendenza ed essere pronti ad intervenire per garantirne e potenziarne la diffusione. Se questo avverrà, se le parti coinvolte manterranno la promessa di impegnarsi in tal senso, allora potremo dire che gli Stati Generali della Lingua Italiana di Monaco sono stati il punto d’inizio di una nuova stagione.
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