A sentire il semplice uomo italiano della strada, i tedeschi e il governo di Berlino non nutrirebbero particolari entusiasmi nei confronti dell’Europa – così importante dopo il secondo conflitto mondiale per politici come Alcide De Gasperi, Konrad Adenauer e Charles De Gaulle – mentre per il resto lo scetticismo sarebbe prevalente.
Dopo essere riusciti a ottenere la riunificazione della Germania, i tedeschi vedrebbero nell’Unione Europea soltanto il vantaggio di forti attivi di export. È questa una delle conclusioni cui è pervenuto un sondaggio condotto quest’estate dalla Fondazione Friederich Ebert – l’importante istituzione culturale molto vicina al partito socialdemocratico tedesco (Spd) – che ha interrogato un campione di 1200 italiani e di 1000 tedeschi chiedendo loro un parere sull’attuale situazione dei rapporti tra i loro due Paesi.
La lettura delle anticipazioni pubblicate dal quotidiano Süddeutsche Zeitung è un invito a ritornare sulla politica dei bassi d’interesse della Banca Centrale Europea (Bce), un tema che il sondaggio non ha comunque affrontato e che in Germania è ormai il prediletto delle critiche di banche, dei risparmiatori e del governo tedesco. Sul banco degli accusati c’è il Quantitative Easing (Qe), uno strumento per assicurare la permanenza dell’inflazione al di sopra di un certo valore-obiettivo. L’operazione è stata lanciata da Mario Draghi, presidente della Bce, nel marzo del 2015 con l’intento di riportare il tasso d’inflazione nell’aerea dell’euro, in questo periodo oscillante attorno allo zero, a un livello attorno al due per cento.
Facilitazione quantitativa
Il termine Qe (facilitazione quantitativa) indica la creazione di moneta da parte di una banca centrale tramite l’acquisto prevalentemente di titoli del debito pubblico e privato con lo scopo di iniettarla nel sistema finanziario ed economico dei Paesi dell’Unione Monetaria Europea, per stimolare così crescita e occupazione. È uno strumento che ovviamente ha i suoi limiti temporanei ma che generalmente si è dimostrato efficace per contrastare e risolvere le crisi economiche. Per quanto riguarda l’iniziativa della Bce, il Qe ha sì contribuito nei Paesi dell’euro a garantire una certa stabilità finanziaria ma nel frattempo è divenuto evidente che i risultati sperati non sono stati ancora raggiunti: l’inflazione è ferma attorno allo zero, i prestiti alle imprese sono in calo, almeno per quanto riguarda l’Italia e gli altri paesi del meridione europeo e la crescita economica fatica a trovare lo slancio desiderato.
La Germania, invece, è in una fase di sostenuta crescita, di crescente occupazione e di forti attivi di esportazione. Tutti i tedeschi sarebbero felici e contenti, se a piangere non fossero i risparmiatori, le banche e i politici i quali sparano a zero sulla Bce accusandola di aver adottato lo strumento dei bassi tassi d’interesse soltanto per arricchire i Paesi più deboli e indebitati dell’Europa meridionale, fra cui anche l’Italia, a tutto danno dei Paesi forti e con un alto tasso di risparmio, come ha tradizionalmente la Germania. Il più accanito tra i ministri del governo della cancelliera Angela Merkel è Wolfgang Schaüble, il ministro delle Finanze, il quale non perde occasione per criticare la politica dei bassi tassi di Mario Draghi.
Critiche che non è facile spiegare perché, dati ufficiali in mano, Bund e Länder grazie ai bassi tassi hanno risparmiato soltanto nel 2015 qualcosa come ventiquattro miliardi di euro in meno per i loro debiti. In difficoltà semmai sono i risparmiatori che dal 2009 al 2015 hanno perso un terzo dei loro introiti sotto forma d’interessi (da 13,8 a 4,4 miliardi di euro). Anche le banche hanno perso, ma per loro vale soprattutto un’altra ragione: un numero di filiali divenuto eccessivo e ora sta progressivamente chiudendo. La politica di Draghi, così almeno lamentano gli imprenditori tedeschi, se da un lato garantisce favorevoli condizioni di finanziamento a chi vuole ampliare la sua attività (o a chi vuole comprare una casa), dall’altro mette in serie difficoltà tutte quelle imprese che si sono impegnate a pagare ai loro dipendenti una pensione aziendale, calcolata con tassi d’interesse piuttosto alti e con i tassi attuali, di fatto inesistenti.
I bassi tassi della BCE
La politica dei bassi tassi della Bce non poteva evidentemente tenerle conto e così c’è chi sostiene, come fa la Camera tedesca di Commercio e Industria (DIHK), che il volume degli accantonamenti degli importi della pensione che le aziende hanno pattuito con i loro dipendenti potrebbe minare la solidità finanziaria di molte ditte. L’accusa in generale è che la Bce con la politica dei tassi zero priva i risparmiatori tedeschi degli utili che sinora ottenevano dal loro denaro, anche semplicemente depositandolo nelle banche, molte delle quali hanno già provveduto ad aumentare i costi dei conti correnti. Uno delle più ricorrenti accuse tedesche contro la politica della Bce è che essa avrebbe arricchito i Paesi deboli e più indebitati dell’Europa meridionale a spese da Germania.
Tornando alle perdite accusate dai piccoli risparmiatori tedeschi, esse, ammesso che esse siano reali, sono state, comunque, molto esigue, perché i bassi tassi d’interesse sono andati un po’ a braccetto con un tasso molto d’inflazione molto esiguo vicino allo zero. In sostanza, i risparmiatori da un lato accusano perdita di tassi d’interesse, dall’altro, però hanno il vantaggio di prezzi non più inflazionati.
Il prossimo anno le cose cambieranno come risultato di un tasso d’inflazione che dovrebbe aumentare fino al due per cento, che è poi l’obiettivo della politica del Qe di Mario Draghi. La Germania insiste su una prossima fine dell’acquisto di titoli ma Draghi non intende prendere impegni prima di conoscere in dicembre le nuove stime della crescita economica dell’Ue fino al 2019. Sinora, dopo oltre un anno e mezzo dall’avvio dei massicci acquisti di titoli da parte della Bce, il bilancio dei miliardi raccolti con il Qe è piuttosto deludente: l’inflazione nell’Eurozona rimane ferma attorno allo zero, i prestiti alle imprese sono notevolmente in calo, in modo particolare in Italia.
La crescita economica è piuttosto deludente e comunque ben lontana da quello slancio che avrebbe dovuto avere se parallelamente al Qe i Paesi europei, la Germania per prima, avessero dato il via finalmente alle riforme strutturali di cui da tanto si parla ma che hanno continuato a restare ovunque nei cassetti delle cancellerie politiche europee. Certo l’Italia e gli altri Paesi dell’Europa meridionale hanno una parte di colpa nella deludente situazione dello sviluppo politico ed economico dell’Europa. Accanto alla Francia, uno dei pilastri su cui poggia l’Ue, anche la Germania, sempre molto inebriata dal proprio efficientismo industriale, non è quella che avevamo vissuto ai tempi del cancelliere Helmut Kohl, che fu sempre animato da un autentico, sincero e convinto spirito europeistico.
Questo non pare essere il caso di Angela Merkel, la quale dà l’impressione di voler giocarsi quelle carte di cui la Germania dispone come Paese più forte e più autorevole dell’Ue e che, se ben giocate, potrebbero consentirgli di aspirare a una leadership europea.