Esiste ancora gente che si entusiasma per le gesta di un Giulio Cesare, di un Napoleone Bonaparte, di Stalin. Tutti pazzi sanguinari del passato ancora emulati da altrettanti pazzi dei giorni nostri. Capita però solo raramente di incontrare qualcuno che si atteggia e s’identifica con Torquemada.
Torquemada? E chi è mai costui? Tomàs de Torquemada è stato circa 500 anni fa l’ideatore dell’Inquisizione spagnola. Il Grande Inquisitore. Quello che faceva i processi sommari per mandare la gente al rogo. Bastavano un sospetto, una denuncia anonima e zac! Subito si accendevano i fiammiferi sotto le natiche di malcapitati, presunti indemoniati. Che cosa centra l’inquisizione spagnola con il nostro ministero degli Affari Esteri? A prima vista poco e niente. Quel poco però basta per capire che anche alla Farnesina il fiammifero per accendere il rogo fa parte dello strumentario disciplinare.
A farne le spese è un malcapitato impiegato a contratto presso l’Ambasciata d’Italia a Tunisi che è stato licenziato senza preavviso per presunte anomalie al reparto visti di quella sede diplomatica. Il licenziamento in tronco non è certo il rogo. Ma la prassi adottata dal Ministero contro un onesto lavoratore che ha sempre avuto la stima dei colleghi e dei superiori, ricorda inevitabilmente la brutale procedura inquisitoria del defunto Tomàs de Torquemda. L’accusa contro questo impiegato è semplicemente assurda sia sul piano formale, sia nella sostanza. In un momento storico di particolare caos che ha travolto tutto il Maghreb, l’impiegato è accusato di aver trattato quattro richieste di visti d’ingresso in Italia da parte di cittadini Tunisini, i quali non avrebbero fatto rientro in patria, soggiornando quindi illegalmente sul nostro territorio.
Quattro casi di mancato rientro a fronte di oltre trentamila tunisini arrivati in Italia senza nemmeno un rotolo di carta igienica, dove soggiornano indisturbatamente. I quattro che avrebbero richiesto il visto alla nostra Ambasciata a Tunisi costituiscono però, a quanto pare, un problema così grande da richiedere il più severo dei provvedimenti disciplinari: il licenziamento senza preavviso. Ora, perdere il lavoro in tronco in un paese come la Tunisia con la macchia del truffatore equivale effettivamente al rogo sociale. Licenziato e bollato. Cornuto e bastonato.
La prima storpiatura formale è che la Direzione del personale del Mae non ha reso nemmeno un cenno di riscontro alla difesa documentata e dettagliata dell’impiegato. Sembra addirittura, secondo quanto dichiarato a verbale dal personale della sezione visti della stessa Ambasciata, che sarebbero sparite anche quelle poche carte che attestano la correttezza del suo agire. Agli atti del fascicolo disciplinare mancherebbe poi una chiara testimonianza a suo favore. Fin qui la forma. Vediamo ora la sostanza.
L’impiegato licenziato non ha alcuna facoltà di firma ed è privo di qualsiasi potere decisionale. Lui è stato sbattuto fuori su due piedi, mentre i funzionari profumatamente pagati per controllare e vigilare sul suo comportamento, riscaldano ancora indisturbati le loro poltrone. La notizia del licenziamento dell’impiegato di Tunisi ha scosso tutta la categoria dei contrattisti del Mae. I contrattisti, è giusto ricordalo, sono gli impiegati assunti sul posto dai nostri ambasciatori e dai nostri consoli e costituiscono l’ossatura dei consolati e delle ambasciate. Sono essi i garanti della continuità e l’anello di congiunzione tra rappresentanza consolare/diplomatica e la realtà amministrativa del paese ospite. L’impiegato di Tunisi si difende come può.
A nulla è servito l’accorato appello in suo favore di un onesto diplomatico. Proprio come nel monastero de “Il Nome della Rosa”: nella mano destra il rosario, in quella sinistra il veleno. E si tratta di veleno mortale. L’inquisizione del Ministero degli Affari Esteri sembra funzionare cosi: io ti accuso, tocca a te ora dimostrami il contrario! Il fatto grave è che il contrattista è riuscito a dimostrare il contrario. Ha messo sul tavolo testimonianze a suo favore, fotocopie dei passaporti con il visto di rientro in Tunisia, messaggi di solidarietà espressi da altissimi funzionari. Gente che ricorda la correttezza di questo impiegato, quando ha sventato più di un tentativo di carpire visti richiesti in malafede, rischiando così addirittura una scassata di ossa da parte di chi si è visto rifiutare il permesso di entrare in Italia.
Quattrocento anni dopo la morte di Tomàs Torquemada furono date alle fiamme le sue ossa per rendere giustizia alle sue vittime. Tutto questo tempo per rendere giustizia a quest’onesto lavoratore, purtroppo, non c’è. La cosa più avvilente è che i fiammiferi di questa inquisizione sembrano servire solo per bruciare i più deboli. Pensando al caso di Tunisi è inevitabile ricordare che stramberie agli uffici visti delle ambasciate italiane si sono verificate più di una volta in paesi dell’Africa centrale, Russia e nelle repubbliche baltiche.
Nessun licenziamento. Tuttalpiù qualche rientro a Roma. Personale di ruolo in generale, e funzionari in particolare, lettere di licenziamento non le hanno mai viste. Per il contrattista di Tunisi allora fascine secche e legna da ardere, mentre per gli altri tutti pronti a fare pipì su roghi che non devono bruciare.