Nella classifica di Fortune – rivista di finanza della Cnn – delle top 500 companies del mondo, le società italiane ricoprono ben 11 posizioni. Certo, non siamo ai livelli di Stati Uniti e Giappone, che in classifica hanno rispettivamente 139 e 71 società, una gran parte in cima, ma ci piazziamo comunque al nono posto nel mondo e al sesto in Europa. A livello europeo, è la Francia la prima in classifica, con ben 39 società in lista, tra cui primeggia l’ambiziosa Axa assicurazioni, al nono posto per entrate nel mondo.
Segue la Germania, con 37 top aziende ed una Volkswagen che si attesta in 16ma posizione. Poi Inghilterra (29), Svizzera (15) e Netherlands (13); e subito dopo ci siamo noi, che scavalchiamo a sorpresa quei Paesi che solitamente ci precedono, come Danimarca, Finlandia e Svezia. Anche la Spagna ci segue, con 10 compagnie, mentre Portogallo e Grecia non rientrano neanche nella classifica. Tra le aziende nostrane che vanno meglio c’è Assicurazioni generali, la società triestina guidata dal napoletano Claudio Pedersoli.
Con un’entrata di circa 126 milioni di dollari, la compagnia si trova al 19mo posto della classifica mondiale e all’ottavo di quella europea. La seguono i colossi dell’energia Eni ed Enel, al 24mo e 60mo posto, e poi Fiat, all’85mo, in discesa rispetto al 71mo del 2008. Seguono e salgono invece i gruppi bancari UniCredit Group ed Intesa Sanpaolo, Telecom Italia, Poste italiane, l’azienda di armamenti e sistemi di difesa e sicurezza Finmeccanica, Premafin Finanziaria e Gruppo Mediolanum, il colosso bancario e assicurativo legato alla famiglia Berlusconi.
Ed è proprio a quest’ultimo che va il primato per la migliore performance: nel 2008 non rientrava neanche in classifica, oggi si trova al 472mo posto e si appresta a salire rapidamente, aggiudicandosi la quarta posizione nel mondo tra quelle che sono più cresciute in questi ultimi due anni. A confermare le buone performance delle nostre imprese c’è anche l’Istat, che ha recentemente parlato di una presenza di multinazionali italiane all’estero “diffusa e geograficamente rilevante”: nel 2008, erano quasi 21 mila unità, con 1,5 milioni di addetti, un fatturato di 386 miliardi e un’operatività in oltre 150 Paesi. Dopo la crisi del 2009, hanno segnalato pure una ripresa dell’attività, soprattutto all’estero (quasi il 40% delle imprese), ma anche in Paese (oltre il 20%).
Le multinazionali di estrazione di minerali e di servizi finanziari sono quelle che più hanno optato per l’oltreconfine. Poi c’è la fabbricazione di articoli in gomma e materie plastiche e di mezzi di trasporto. Le attività industriali sono principalmente diffuse in Romania (116 mila addetti), Brasile (75 mila) e Cina (66 mila), mentre i servizi si concentrano negli Stati Uniti (106 mila) e in Germania (66 mila addetti). In generale, è sempre la Romania il Paese al primo posto per numero di imprese italiane: ce ne sono 3.777 e realizzano un fatturato di quasi 6,9 miliardi di euro.
Sono sempre di più, poi, quelle che oggi si espandono anche ai mercati asiatici e del Medio Oriente. La ragione che spinge sempre più manager italiani a optare per l’internazionalizzazione – dice sempre l’Istat – è che questa manovra permette, alle imprese manifatturiere, di poter usufruire di un più basso costo del lavoro e di gestire meglio la logistica e la distribuzione; e a quelle dei servizi, di massimizzare le operazioni di marketing e di entrare in nuovi mercati mediante un accesso diretto. Mentre le aziende crescono, però, peggiorano le condizioni lavorative dei dipendenti degli Stati d’origine dell’azienda, costretti ad adeguarsi agli standard contrattuali dei nuovi Paesi.