L’attesa dei cittadini italiani per raggiungere senza patemi una normalizzazione della vita pubblica stride con l’incongruenza dei temi elaborati, perché le proposte in risposta ad annose insofferenze sembrano essere di breve respiro, dei semplici e ovvi palliativi, mentre si fa strada un pericolo, sovversivo sentimento e un comun sentire per combattere alla radice il persistente declino: per uscire dall’attuale stato di eutanasia sarebbe necessario un forte scossone di natura morale ed etica, che produca interventi capaci di riaffermare quei valori civici scaturiti da regole elementari, condivise e tese a mettere in piedi quei capisaldi che tengono assieme la vita di un’intera comunità.
Nel caso dei saggi la fretta si è rivelata cattiva consigliera, in particolare sulle proposte di modifica della legge costituzionale sulla rappresentanza parlamentare. Nella proposta di riduzione del numero dei parlamentari in risposta agli sprechi, è stata associata la presenza dei parlamentari eletti all’estero ed è ritornata in auge l’abolizione della rappresentanza dei cittadini italiani che vivono all’estero, sacrificandola alla piazza che reclama più sobrietà e parsimonia nella gestione delle risorse pubbliche destinate alla politica.
E’ possibile che il male italiano sia da ricercare sempre e comunque all’estero, presso quei quattro milioni di cittadini che sono stati costretti a emigrare per trovare soluzioni alternative alle diffuse inadempienze e inefficienze del nostro paese, quando invece l’assalto alla Bastiglia muove da situazioni di diffuso disagio sociale e da una mancanza prospettica di un incerto futuro?
Ritornare a menar il can per l’aia adducendo squilibri e malversazioni nel processo elettivo della circoscrizione estero mette in luce invece una miopia conclamata di chi confonde la causa con l’effetto. E dalla prima elezione legislativa del 2006 che gli italiani all’estero chiedono ad alta voce maggiore trasparenza e un sistema di partecipazione elettorale certa per evitare inquinamenti che spesso sono concepiti nella madre patria.
Il diritto di cittadinanza che viene misconosciuto dai saggi nelle proposte consegnate al Presidente Giorgio Napolitano, in punto di diritto, si esplicita nella sua completezza con la partecipazione attiva e passiva del cittadino elettore alla formazione della rappresentanza politica. Gli italiani che vivono all’estero sono anche loro portatori di quei diritti inalienabili nelle società a democrazia avanzata. Nella fattispecie sono i pionieri di una nuova soggettività di diritti transnazionali che, ai tempi della globalizzazione, avanza nelle società postmoderne. Ripensare il loro ruolo, castigandoli e ancor peggio, penalizzandoli per recintarli nell’angolo degli apolidi privi di diritti, equivarrebbe a rafforzare il giudizio negativo espresso dalla banca mondiale, che pone l’Italia agli ultimi posti nella tutela dei diritti dei cittadini. Il metro di misura con cui ragionare sulle proposte a cui sono giunti i dieci saggi dovrebbe essere altro: la governance della globalizzazione va di pari passo con quella dei diritti? E siccome la risposta non può non eludere il processo irreversibile, che nella sola Unione ha già spinto venti milioni di cittadini europei a trasferirsi in paesi diversi da quelli in cui sono nati, diventa allora urgente pensare alla società italiana fra 20 / 30 anni e dare delle risposte chiare e certe in tema di rappresentanza a tutti quei cittadini italiani residenti all’estero, che continuano a mantenere un rapporto d’interesse e famigliare con il paese d’origine.
Questo è lo sforzo che dovrebbe compiere il nuovo parlamento nella revisione della carta costituzionale, invece di semplificare e mettere ad acta una soluzione discriminatoria.
Non v’è dubbio alcuno, comunque, che nella riforma dell’intera impalcatura costituzionale vadano riviste le modalità e le norme per la scelta della rappresentanza nella Circoscrizione estero e riaggiornare con urgenza gli strumenti per l’esercizio della partecipazione politica attiva. Sottrarsi a questa urgenza sarebbe eseziale ed alimenterebbe il dubbio sul principio giuridico della partecipazione degli italiani all’estero al voto .
Però, da qui ad abolire la nostra rappresentanza politica nel parlamento italiano sarebbe sbagliato e ingiusto. In Italia nessuno ha mai messo in discussione la partecipazione al voto di comunità in cui è notorio il voto di scambio, o di comunità in cui il voto è condizionato dai poteri criminali e dai poteri forti. Le ingiustizie producono sempre tensioni e fossati incolmabili, difficilmente negoziabili soprattutto se si ledono i diritti di uguaglianza e rappresentanza che vivono nelle carte costituzionali delle democrazie occidentali .
Riesco già ad immaginare la reazione che produrrebbe una tale decisione nelle organizzazioni internazionali, nel mondo associativo e nei cittadini italiani all’estero, nonché negli stessi partiti italiani che hanno sostanziali rappresentanze all’estero. Pur rispettando la saggezza dei saggi costituzionalisti che hanno consegnato al Presidente delle Repubblica sagge proposte per risolvere i mali italiani, mi chiedo se, assieme alle loro convinzioni personali e alla conoscenza della letteratura costituzionale da cui hanno attinto le sagge proposte, si siano chiesti come intendono rendere protagonisti i cittadini che vivono all’estero nel futuro dell’Italia? Quell’Italia che noi vorremmo moderna, aperta al mondo e più giusta.
Oggi che conosciamo le lingue straniere e viviamo all’estero, dopo aver seguito alla lettera i saggi suggerimenti dei governanti del secolo scorso, cosa dovremmo inventarci per mettere a valore le storie e le esperienze maturate all’estero per continuare a mantenere lo status di cittadini italiani? Siamo milioni di cittadini, anche se non tutti premi Nobel di cui il nostro paese è orgoglioso quando vengono premiati, ma sinceri e modesti ambasciatori del nostro Paese, della nostra cultura e della nostra storia: solo e semplici cittadini italiani.