Non stiamo parlando della Cina, ma dell’Europa, il cui Parlamento ha approvato qualche giorno fa il testo finale di modifica alla Direttiva 86/609 del 1986 sulla protezione degli animali utilizzati a fini sperimentali. Era ormai da due anni che le associazioni animaliste aspettavano nuove regole, e alla fine queste sono arrivate, con insieme una grande delusione. Le modifiche apportate sono indietro con i tempi e poco aggiungono alla versione originaria di vent’anni fa. Anzi, rispetto al testo di modifica redatto nel 2008, quello approvato adesso sembra addirittura aver perso per strada qualche richiesta importante. È passato, infatti, il sì all’utilizzo delle grandi scimmie (scimpanzé, bonobo, gorilla e orangutan), alle sperimentazioni didattiche con animali vivi, a quelle belliche e a molte altre ancora. Ma soprattutto, come ci racconta Michela Kuan, biologa e responsabile nazionale vivisezione LAV (Lega anti vivisezione), “troppo poco è stato fatto per favorire i metodi alternativi”.
Gli Stati membri hanno adesso due anni di tempo per recepire la direttiva. La speranza degli animalisti è che con questo ci sia una restrizione dei principi. D’altronde, il divieto di ricorrere a cani e gatti, in Italia, era già stato introdotto con la Legge 281/91 ed il Decreto legislativo 116/92.
Tra i peggiori punti negativi previsti dalla direttiva – scrive in una nota il Presidente della LAV Gianluca Felicetti -, ci sono “la possibilità di utilizzare anche specie in via d’estinzione e/o catturate in natura, di ricorrere a soppressione per inalazione di anidride carbonica come metodo di uccisione di riferimento, definito dalla legge come “umanitario” ma che in realtà provoca alti e prolungati livelli di sofferenza, di effettuare esperimenti senza anestesia e di autorizzare anche quelli altamente dolorosi.”
Si tratta di uno scenario cruento che solo una insostituibile necessità potrebbe giustificare. In realtà, le cose non stanno così e, quando si parla di test sugli animali, le false credenze sono davvero tante. Vediamone alcune.
La sperimentazione scientifica non è indispensabile né insostituibile, e in alcuni casi è addirittura  inutile e controproducente. D’altronde, l’essere umano è, sì, un animale ma non è certo uguale ad un ratto o ad un cane. E gli errori di tale comparazione sono frequenti, oltre che pericolosi per lo stesso uomo. Nel campo farmaceutico, “la sperimentazione animale – denuncia Felicetti – ha comportato, e continua a farlo, grandi errori e ritardi nella scienza. Ne sono una testimonianza le 225.000 morti all’anno negli USA per cause avverse ai farmaci, o il dato allarmante che il 90% dei farmaci non supera le prove cliniche, con un ingente spreco di fondi e menti che lavorano per produrre dati inutilizzabili”.
I campi di applicazione non sono solo quelli legati alla medicina, ma ne esistono centinaia. Ogni cosa che viene a contatto con l’uomo deve essere prima testata. “Per controllare la tossicità delle sostanze chimiche che ci circondano,- denuncia ancora la LAV – ogni anno nei laboratori europei si uccidono circa 700.000 animali. Nel corso dei test, cani, gatti, topi, conigli, scimmie e tanti altri sono costretti a ingoiare pesticidi, vernici, colle, disinfettanti. Ma anche ad inalare vapori chimici e verificare su pelle ed occhi l’azione corrosiva e irritante dei prodotti”.
Come dicevamo, spesso queste torture sono inflitte agli animali inutilmente. Esistono, poi, in commercio, una quantità infinita di prodotti già testati e, dunque, non si vede la necessità di dover ricorrere a nuove sperimentazioni. Tant’è che solo nel campo farmaceutico il test sull’animale rimane obbligatorio per legge. Addirittura, in quello della cosmesi, la Direttiva europea 15 del 2003 ha stabilito, a partire dal 2013, lo stop totale ai test all’interno dell’Ue ed il divieto di commercio di cosmetici sperimentati su animali.
Anche nel campo della medicina, poi, l’alternativa esiste. Ci sono i modelli informatici, le analisi cliniche, le indagini statistiche, gli organi bioartificiali, i microchip al DNA e i microcircuiti con cellule umane. Di fronte a tale progresso della scienza, quella della sperimentazione animale diretta sembra più che altro roba d’altri tempi. Passi da gigante in questo senso li ha fatti il campo della ricerca biomedica, il cui 70%  non fa uso di animali. Non vengono più utilizzati animali anche nei crash test di automobili, test di gravidanza, molti casi di verifiche igienico–sanitarie su alimenti, molte esercitazioni per scopo didattico e diversi test di tossicità su sostanze chimiche, come l’assorbimento cutaneo, la mutagenesi e la genotossicità, la  fototossicità, l’embriotossicità.
Eppure, di fronte a tutto questo, la sperimentazione sugli animali è la via più utilizzata. Ogni anno ne muoiono 12 milioni nei laboratori europei. Perché? Le ragioni sono da ricercare “negli enormi interessi della lobby vivisettoria” e “nella mancanza di sovvenzioni europee in grado di far superare l’inerzia culturale dei laboratori – ci racconta Kuan -. Diventa difficile, infatti, per questi ultimi riconvertire l’intera struttura e riformare il proprio personale senza avere indietro alcun tornaconto”. Insomma, alla base c’è una bassa motivazione, e l’ignoranza diffusa della società civile sull’argomento contribuisce ad aggravare questa situazione.