Infatti, messa alle strette dagli scandali, dall’indignazione pubblica per non essersi saputa rinnovare, ridursi di numero e tagliare i propri costi, la politica in qualche modo aveva promesso pulizia interna e persone presentabili. Indette le elezioni in anticipo, invece, salvo qualche tentativo di escludere persone con conti in sospeso con la giustizia, sul versante delle proposte la musica sembra essere quella di sempre. E non solo da parte di coloro che preferiscono le beghe e le contrapposizioni sterili (per marcare meglio i confini, dicono), ma anche da parte dei media che, anche quando i candidati si sforzano di esprimere qualche proposta, si limitano a estrapolare dal contesto delle loro affermazioni qualche frase pittoresca per presentare il candidato come meglio preferiscono.
In questo modo, complice anche l’esigenza dei social networks di dare in pasto ai lettori frasi brevi e a effetto, l’etere risuona di slogan e semplificazioni che invece di orientare l’elettore lo disorientano sempre di più. L’unico che sembra trarre vantaggio da questa corsa alla superficialità è Silvio Berlusconi, che di essa ha sempre fatto il suo modo di essere. L’Italia è giunta al dunque con l’uomo che per quasi un ventennio, dal governo e dall’opposizione, ha segnato la sua vita politica. Slogan, promesse da marinaio, vita pittoresca, esibizioni da clown e quant’altro hanno accompagnato la sua rumorosa presenza sulla scena e la sua ancora più fragorosa assenza dalla vita istituzionale. Bene attento a non farsi coinvolgere nella noiosa attività di governo – affidata interamente a Gianni Letta, frequentava il Parlamento solo quando erano in ballo le sue questioni giudiziarie o personali per controllare direttamente che l’oliatura dei suoi sostenitori procedesse liscia; per il resto la sua è stata sempre una presenza a effetto sui media, con le sue esibizioni pseudo politiche oppure con le sue vicende personali.
Mentre sembra che a un buon venti per cento degli italiani manchi questo modo di occupare la scena pubblica, ciò che stupisce è come forze che in passato lo hanno sostenuto – vedasi la Lega – e poi lo hanno scaricato dietro la pressione della propria base – stanca delle notti di Arcore e dei suoi processi – stia ancora morbosamente aggrappata a lui. Eppure è evidente che le prospettive di una sua presenza sulla scena politica sono ancora più grigie di prima.
Alla sua tradizionale idiosincrasia per la routine istituzionale quotidiana, si aggiungerà infatti il cinismo e il dileggio per tutto ciò che è meccanismo di governo e interesse pubblico, aggravato dall’età avanzata e dal basso profilo morale che accompagna di solito gli individui che pensano di essere quasi immortali e baciati dalla fortuna per quella fetta di creduloni che continua a dargli il consenso. La cosa preoccupa non tanto per lui, quanto per gli italiani nelle cui mani sta il proprio futuro. Credere a maghi, incantatori e prestigiatori (in materia di bilanci pubblici) in una fase come questa, è la cosa più irresponsabile che possa fare un popolo chiamato a scegliere la propria classe dirigente.
Per questo preoccupano le proposte “choc” fatte da Berlusconi – davanti al suo stato maggiore plaudente che batteva le mani più divertito che convinto – alla stregua di quel tale candidato che, nel dopoguerra, prometteva nel suo comizio in un paese di montagna del Sud Italia che gli avrebbe portato il mare se lo avessero votato. Rivedere l’Imu sulla prima casa e sui “capannoni” di piccole e medie aziende è un dovere, tanto che tutte le forze politiche, incluse quelle che fanno capo al premier Monti, si sono pronunciate in questo senso.
Ma pensare di restituirla direttamente agli italiani trovando la copertura nelle scommesse e tassando i capitali italiani in Svizzera (Tremonti ha subito precisato che ormai sono tutti andati a Hong Kong), può trovare ascolto solo in menti molto semplici e negli eletti all’estero di quel partito che tacciono sull’assoluta immobilità del Governo Berlusconi a proposito del negoziato mai avviato con la Svizzera nonostante le innumerevoli sollecitazioni, non da ultimo da parte del Parlamento. Così come tacciono sul fatto che Berlusconi aveva abolito l’Ici (con le ben note conseguenze) sulla prima casa degli italiani, ma non su quella degli italiani residenti all’estero.
Ormai studi internazionali hanno dimostrato che nessun Paese avanzato riesce a ridurre le tasse, al massimo si può provare ad arrestarne la soglia. Infatti, quando il dibattito in materia si fa serio, le proposte vertono non su come abbassare drasticamente il livello di tassazione bensì come diminuire il carico fiscale sulle frange più deboli e spostarlo su quelle più alte oppure su come attenuarlo sulle imprese o sul lavoro nell’ipotesi che si riescano a fare tagli alla spesa pubblica. Si potrebbe dire che il problema – vista la situazione di bilancio degli Stati – non è tanto quello di diminuire la tassazione o la spesa pubblica in sé, quanto di razionalizzare e qualificare entrambe. In Svezia, il Paese più tassato del mondo, il cittadino non mugugna, poiché vede i propri soldi spesi bene.
E altrettanto farebbe in Italia se scuole, ospedali, trasporti e pubblica amministrazione funzionassero meglio. Poiché questi non sono sogni, ma realtà palpabili in diversi Paesi europei, senza inventare nulla di nuovo o esibirsi in soluzioni strampalate. E pensare che – soprattutto noi eletti all’estero – avevamo creduto che in Italia si sarebbe potuta fare una campagna elettorale parlando soprattutto di questi problemi.