Nella foto: Alexey Navalny. Foto Wikipedia

“Alexey Navalny non diverrà presidente, ma sarà il padre fondatore della Russia libera, nella quale i russi che ripudiano il sistema di Putin credono e sperano”

Il 16 gennaio 2024, il politico russo e leader dell’opposizione Alexey Navalny è morto in una colonia penale oltre il Circolo polare artico. Vladimir Putin è ritenuto personalmente responsabile della sua morte dall’opinione pubblica occidentale. Le circostanze della sua scomparsa saranno per sempre oggetto di dibattito, ma gli esperti sono unanimi nell’affermare che il sistema di potere totalitario creato da Putin ha distrutto il principale oppositore politico del Cremlino, indipendentemente dal fatto che ci sia stato o meno un intervento diretto e specifico per mettere fine alla sua vita. Questo intervento è peraltro estremamente verosimile: Julia Nawalnaja e gli attivisti vicini all’oppositore intendono dimostrarlo.

Dopo essere stato avvelenato con il Novichok nell’agosto 2020 e curato in Germania, Navalny è tornato in Russia nel gennaio 2021. La sua è stata una decisione consapevolmente politica: Nawalny si attestava così come un politico che agiva all’interno del proprio Paese e per il proprio Paese. Non voleva essere il rappresentante della diaspora russa. Navalny è stato “assassinato” nel corso di tre interi anni. Dal momento in cui è stato arrestato all’aeroporto di Mosca fino alla sua morte ha subito 27 volte – per quasi 300 giorni – la detenzione punitiva in una cella di isolamento di sei metri quadrati, sottoposto a regole di detenzione draconiane e condizioni molto più squallide di quelle già disumane delle „normali „prigioni russe. Ha subito la tortura costante di fame e freddo, ha patito continue umiliazioni.

Navalny non ha ceduto. Anche durante la prigionia ha dato prova di forza d’animo e ottimismo. Il suo senso dell’umorismo non ha fatto cedere i suoi collaboratori e i suoi sostenitori alla disperazione. Nelle lettere indirizzate al mondo esterno era fermo nell’incoraggiare a “non arrendersi” e a “continuare a lottare”. Come prigioniero politico e autorità morale, ha mantenuto una corrispondenza con i suoi colleghi e con comuni cittadini russi. Ogni minuto libero prendeva un foglio di carta e una matita. Ogni minuto libero cercava di leggere. Le autorità carcerarie cercavano continuamente di impedirglielo. Con il suo percorso di vita, Navalny ha assunto i tratti dell’eroe martire. Nella sua passione per l’autoistruzione, nella sua sempre più chiara fiducia nei valori umanistici egli ha incorporato l’ideale dell’intelligentia russa. Nella sua convinzione della possibilità e della responsabilità individuale e politica di trasformare la società, Navalny ha interiorizzato l’ideale dell’intelligentia che crede a un fine superiore, pagando questo suo tributo con la vita nel gulag di Putin.

Navalny aveva tutto ciò che è necessario a una carriera politica di successo: carisma, conoscenza, esperienza. Persino nella Russia quasi totalitaria degli ultimi anni, ha praticato una politica partecipativa, con entusiasmo, insieme alla sua squadra. L’idea brillante del “voto intelligente” – la scelta unitaria del candidato dell’opposizione – qualunque essa fosse – che avesse maggiore possibilità di vincere rispetto ai rappresentanti del partito pro-Putin “Russia Unita” – costituiva una reale possibilità di indebolire il monopolio del potere putiniano. La sua iniziativa “Cinque passi per la Russia” è stata molto popolare. Mentre durante la pandemia di Covid la politica di Putin consisteva nel risparmio di riserve statali, con la sua associazione Navalny ha proposto che si fornisse assistenza finanziaria attiva a tutti i cittadini. La sua “Fondazione anticorruzione” (FBK), fondata nel 2011, ha affrontato il problema principale della Russia moderna: la corruzione delle élite. La fondazione stessa era un modello istituzionale di trasparenza e di governance democratica senza rigide gerarchie, in cui prevalevano professionalità e uno spirito di collegialità amichevole. Navalny non ha incoraggiato il culto della sua personalità. Le sue qualità personali, il suo fascino, il coraggio, la creatività e la vicinanza ai suoi sostenitori lo rendevano un leader incontrastato. Immaginando una Russia come una democrazia parlamentare che non facesse ricorso alla violenza e rifiutasse la tirannia, si preparava alla missione finale di governare il Paese. Alexey Navalny non diverrà presidente, ma sarà il padre fondatore della Russia libera, nella quale i russi che ripudiano il sistema di Putin credono e sperano.

La chiave del successo di Navalny è stato l’uso sapiente dei social media. Grazie a YouTube e a un linguaggio accessibile è riuscito a comunicare le sue idee alla popolazione russa di generazioni diverse. Il suo programma settimanale otteneva milioni di visualizzazioni. Gli spettatori potevano contare su una valutazione acuta della situazione politica, un’ironia sferzante e, soprattutto, un presentatore simpatico e affidabile in un mondo di crescente cinismo e falsità. Quando Navalny dichiarava: “Qui dicono la verità!”, la gente gli credeva. – E il desiderio di verità era grande. Le inchieste più iconiche “Non è il tuo Dimon “ (Dimitri – l’allora primo ministro Dmitry Medvedev, 2017) e “Il palazzo di Putin: la storia della più grande tangente” (2021) hanno contato, complessivamente, più di 175 milioni di visualizzazioni sul canale YouTube personale dell’oppositore. Il più grande successo politico di Navalny è stata la sua partecipazione alle elezioni del sindaco di Mosca nel 2013, quando è riuscito a piazzarsi al secondo posto dopo il candidato filogovernativo Sergei Sobyanin, con oltre il 27% dei voti. Dopo questa vittoria, le autorità hanno iniziato a temerlo seriamente come politico e gli hanno impedito di partecipare alle elezioni.

Navalny è diventato l’antipodo assoluto di Putin. Un leader carismatico, alto e statuario contro un ex membro del KGB tarchiato e invecchiato; un padre di famiglia felice, con una moglie che gli era compagna e dei figli, contro un dittatore con relazioni amorose delle quali è proibito parlare. Un uomo accessibile e aperto al mondo contro un presidente che durante la pandemia si è nascosto in un bunker e che ha mantenuto a lungo l’abitudine di ricevere i leader mondiali all’estremità di un tavolo lungo cinque metri. Il giovane e colto rappresentante dell’opposizione affrontava il tipico funzionario sovietico privo di abilità nel maneggiare computer, smartphone e Internet. Il politico moderno e illuminato combatteva il “gopnik” – termine che indica un criminale di strada, che segue le leggi della forza e della violenza. Il confronto tra Navalny e Putin si profilava come una lotta tra il bene e il male, fra la prosperità per tutti e i privilegi dei pochi, fra il futuro e il passato. Navalny incarnava tutto ciò che Putin avrebbe voluto essere e non è. Il Cremlino, che ha contribuito a fare del giovane oppositore un’icona dell’ «altro e migliore», lo ha infine “assassinato”.

Putin ha commesso un errore

Nell’eliminare Navalny si è fatto guidare dal principio mafioso “nessun uomo, nessun problema”, secondo un’iconica frase attribuita, fra gli altri, a Stalin. Ma persino nel quadro dello Stato quasi totalitario in cui la Russia contemporanea sta scivolando, questa logica non funziona. Navalny ha un pubblico di molti milioni di persone e un esercito di migliaia di seguaci attivi. Anche se è morto, le sue idee continuano a vivere. In tutto il mondo si stanno svolgendo azioni in memoria dell’attivista e allo stesso tempo azioni di solidarietà con l’opposizione russa. In Russia, migliaia di persone hanno deposto fiori presso i monumenti alle vittime della repressione politica, pur nella consapevolezza dei rischi che avrebbero corso. Secondo OVD-Info, più di 400 persone sono state arrestate dalle forze dell’ordine. Dal 17 febbraio, più di 52.000 persone hanno inviato appelli al Comitato investigativo russo per chiedere che il corpo dell’oppositore sia restituito ai suoi cari. lI principale lascito testamentario di Navalny -”Non abbiate paura!”- inizia a essere recepito.

Certo, il sistema ha cercato di rendere Navalny invisibile. Né Putin, né i media ufficiali hanno pronunciato il suo nome. Il potere ha interrotto e bloccato le sue trasmissioni; ha fatto perquisire i suoi uffici e il suo appartamento, non gli ha permesso di partecipare alle elezioni. Hanno usato contro di lui la selonka – il disinfettante di colore verde che in Russia si usa contro gli insetti e le loro punture, e che viene gettato contro gli oppositori del regime. Lo hanno imprigionato e assassinato. Queste politiche repressive hanno reso il suo nome più forte, più luminoso, più puro: hanno fatto di Alexey Navalny un martire. Pur avendolo relegato in una colonia penale oltre il Circolo polare artico, a tremila chilometri da Mosca, il sistema non è riuscito a privare il politico della sua voce. Grazie alle continue azioni legali contro la sua detenzione, egli è stato in grado di rivolgersi ai suoi sostenitori -tramite videomessaggi – con manifesti contro la guerra e contro Putin. Nelle sue “ultime parole” davanti al tribunale, l’oppositore di Putin, dopo il febbraio 2022, ha incarnato la principale voce russa contro la guerra in Ucraina: ha invocato il ritiro completo delle truppe di Putin e il ripristino dei confini territoriali del 1991. Con queste dichiarazioni egli lavava definitivamente il peccato giovanile di aver flirtato con il nazionalismo: Navalny è un martire, ma non era un santo.

Navalny è stato ucciso, ma il suo ideale è vivo. La moglie Yulia insieme alla “Fondazione anticorruzione”, i suoi amici e colleghi e milioni di cittadini russi ne hanno raccolto il testimone. Con la sua morte, Navalny ha trasformato l’idea di una “bella Russia del futuro” in un testamento morale. Il suo sogno di una Russia dignitosa, giusta, democratica e libera, l’amore sconfinato per un Paese possibile per il quale ha affrontato la prigionia, andando incontro alla morte consapevolmente, dovranno essere inclusi nel patrimonio mondiale di resistenza ai regimi autoritari. Alexey Navalny amava l’ironia e la leggerezza. Il suo ultimo video si conclude con un grande sorriso che si apre a una risata sonora e contagiosa.

Che la terra ti sia lieve, Alexey Navalny.

Alexey Tikhomirov è Fellow al Käte Hamburger Kolleg „Einheit und Vielfalt im Recht“ presso l‘università di Münster, insegna storia dell’Europa Orientale all’Università di Bielefeld.

Traduzione di Cecilia Cristellon