Foto simbolica. Foto di ©Engin Akyurt su Pixabay

A colloquio con Marco Guzzi

Ci sono segnali molto preoccupanti che indicano una direzione che tu, Marco, hai sempre chiaramente indicato, ovvero quella della totalitarizzazione di un sistema di pensiero unico, dominante, che tende a ridicolizzare qualsiasi dubbio o tentativo di esercizio critico. In nome del bene collettivo dovremmo essere pronti a rinunciare a una legittima libertà di scelta. Un esempio attuale potrebbe essere quello dell’obbligo vaccinale, ma più in generale, qual è la linea di confine tra la tutela dell’incolumità pubblica e libertà individuale? E pensando al futuro, proseguendo ipoteticamente in questa direzione, quale potrebbe essere il prezzo da pagare in nome della tutela della società? È reale il pericolo di un sistema di controllo onnipervasivo sulla vita delle persone, mascherato da buone intenzioni, e quindi sostanzialmente ben occultato?

Direi che queste sono proprio le domande che non vengono fatte. Sarebbe invece molto importante che proprio nel mezzo di un’epidemia mondiale, oltre ovviamente a occuparci delle questioni mediche e sanitarie, che però attengono preminentemente alla ricerca scientifica, si ponessero anche altre questioni. Una domanda che credo non venga mai fatta fino in fondo è appunto quali siano i limiti delle limitazioni alle libertà fondamentali. Ammettiamo che questa epidemia possa durare ancora anni, noi possiamo accettare di limitare così drasticamente ancora le nostre libertà fondamentali di movimento o di istruzione? Possiamo tollerare che un’intera generazione perda la scuola, l’università, le relazioni fondamentali, che si blocchi radicalmente l’attività politica attraverso il divieto degli assembramenti, vietando quindi le assemblee, e cioè i raggruppamenti in cui gli individui decidono del proprio futuro? O che per anni e anni si sospenda ogni attività sportiva, concertistica o teatrale? Qual è il limite alle limitazioni delle libertà? Limite di contenuto e limite di tempo. Ecco questa domanda non viene mai fatta e questo mi preoccupa, perché io credo invece che noi dovremmo stabilire dei limiti alla fine non superabili, prendendo naturalmente tutte le precauzioni che l’emergenza sanitaria richieda, quindi se necessario procedure di sicurezza e protocolli; tuttavia secondo me dovremmo arrivare a dire con chiarezza che noi non possiamo rinunciare a vivere per paura di morire, perché è un controsenso. Mi sembra un’ulteriore devastazione della generazione giovanile, che dopo essere stata massacrata sul piano del lavoro e sul piano culturale, attraverso una cultura nichilistica, consumistica, atea e materialistica dominante, venga anche massacrata nel diritto all’istruzione e alla vita. L’istituto superiore di sanità ci dice – basta andare nei suoi documenti officiali- che la media dell’età dei 130.000 morti per Covid è intorno agli 80 anni, con 3 o 4 patologie concomitanti. Io non voglio assolutamente sottovalutare e né tantomeno non tenere in serissima considerazione anche la morte di un solo anziano, però a questo punto, dopo un anno e mezzo, dobbiamo valutare meglio il rapporto tra costi e benefici di terminati atti, come ad esempio il lockdown. Quanti altri morti abbiamo prodotto per esempio con le patologie non curate? Ci sono stati milioni di atti terapeutici rinviati e il calcolo dei danni, solo di questo settore, sarà molto difficile e molto a lungo termine. Quante persone inoltre si sono suicidate? Quanti ricoveri psichiatrici giovanili ci sono stati? Oltre ovviamente all’enorme danno economico.

Non possiamo continuare a trattare questa epidemia con questi criteri. Anche io avverto il pericolo di una dittatura diciamo del “luogo comune”. L’opinione pubblica è facilmente manipolabile da sempre, e naturalmente con la crescita delle potenzialità della comunicazione tecnologica, quindi con radio, televisione, internet e giornali, la possibilità di plasmarla è sempre più forte. I sistemi totalitari del ‘900 lo hanno capito molto bene: la comunicazione deve essere martellante e continua. Ovviamente con gli strumenti attuali e con la concentrazione dei poteri oligarchici in mani sempre più ristrette, questo gioco è molto semplice. Se dalla mattina alla sera, su tutti i canali televisivi, su tutti i giornali, su quasi tutte le testate online, vengono ripetute sempre le stesse cose, vengono date solo determinate informazioni e non altre, è normale che si instauri un clima di terrore. Per esempio non si parla quasi mai delle terapie efficaci contro il Covid. Ci sono dei protocolli, già pubblicati, che se applicati all’inizio della malattia producono la riduzione del ricovero del 90%. Ora una cosa come questa dovrebbe essere detta tutti i giorni, perché se noi riduciamo del 90% il ricovero chiaramente tutto si tranquillizza: per cui chi vorrà fare il vaccino lo farà, e chi non lo vuole fare si prenderà infine la sua responsabilità, come è sancito dalla Costituzione, di rifiutare dei trattamenti medici, anche se i medici lo consigliano. Nel frattempo la società si organizza, prendendo le giuste precauzioni, ma senza drammi. Ora il modo invece in cui tutta questa storia viene vissuta, in maniera terroristica e minacciosa è ciò che mi rende perplesso e preoccupato, anche perché oggi viene applicata alla narrazione della pandemia, ma domani questa modalità di comunicazione chissà per cosa altro potrebbe essere applicata. Io credo però che qualcosa si possa comunque fare, innanzitutto tentando sempre di mantenere vivo lo spazio della critica e della discussione.

Per chi volesse approfondire in lingua tedesca: www. darsipace.org. Facebook: Sich Frieden Schenken. Instagram: Frieden Schenken. Le pagine in italiano: www.darsipace.it. Facebook:darsi pace; Facebook: Marco Guzzi.

I lettori possono scrivere al seguente indirizzo: kontakt@darsipace.org.

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