Nella foto: Alfred Kubin. Foto di ©Nicola Perscheid

Straordinarie profezie, che andrebbero rimeditate

Spesso ci siamo domandati se il territorio possa influenzare lo stile di un artista, marchiando indelebilmente le sue opere. Studiando Mann e Pirandello la risposta è alquanto positiva. Ma questo può valere per un autore minore abitante una ragione storicamente importante quale fu la Boemia austriaca dell’Imperial Regio Governo. Visitando Vienna ed il suo storico museo Albertina, ci siamo imbattuti in uno strano disegno, la penna, colorato a china, dove appare qualcosa di simile al vecchio strumento che si intingeva per scrivere fino alla scoperta della penna a biro, sovrastante due teste di donne anziane dallo sguardo un po’ atterrito. Autore, tale Alfred Kubin, vissuto in Boemia per buona della sua non breve vita, ma poi ritiratosi per tanto tempo a Linz, dopo un lungo periodo in Dalmazia e nei Balcani, estraniandosi dal 1918 dalla vita politica e sociale nel primo e nel secondo dopoguerra. Sicuramente, il carattere fantastico, demoniaco e satirico della tradizione popolare boema fu il collante della sua opera di artista grafico, di pittore espressionista, di illustratore di romanzi famosi, scenografo cinematografico e teatrale.

Vissuto al seguito del padre ufficiale del Genio militare principalmente a Salisburgo, ma con frequente ritorno al Litoměřice, lesse Schopenhauer e Nietzsche, ascoltò Wagner e fu impressionato dai romanzi francesi del Verne e dell’inglese H.G. Wells (per esempio, La macchina del tempo). Con Munch e van Gogh ebbe in comune il senso dell’isolamento familiare e dell’incomunicabilità col padre, caratteristica che lo avvicina a Kafka. Il suicidio più volte tentato ed i frequenti stati di crisi psichica, lo portarono alla chiusura del rigido mondo di ieri che già opprimeva Zweig, che però reagiva uscendo allo scoperto piuttosto che isolarsi. Un colpo di genio lo ebbe a 15 anni, quando frequentò a Klagenfurt una scuola d’arte, dove imparò l’arte della fotografia, apprendendone i segreti, ma continuando a fantasticare realtà alternative, fissando l’obiettivo sui cadaveri di tanti giovani che si erano suicidati nei laghi e fiumi di quel territorio. Inoltre, visitava circhi, ascoltava maghi e veggenti, perfino ipnotizzatori e medium, cercando a diciotto anni un contatto con la madre morta quando aveva 6 anni. Il padre, preoccupato per quel figlio perdigiorno e squilibrato, da buon positivista e militare, lo rinchiuse in collegio sperando di raddrizzarlo, ma il tentativo fallì miseramente.

A 20 anni entrò nell’accademia di Monaco, si avvicinò al disegno ed apprezzò Dürer e Goya, ma anche un inquietante Arnold Böcklin, ora esposto nella Neue Pinakothek. Il tremendo affresco di questi, L’isola dei morti del 1880, esercitò su di lui un’influenza inenarrabile, al punto da vederlo scrutare per ore alla ricerca dell’animo umano, disboscandolo dalle tenebre e dagli orrori, dalle profezie e dalle sofferenze che aveva ereditato dal Nietzsche. Conobbe di lì a poco personalmente Klinger, Munch, Ensor e Klee. Si può dire che Kubin fino al 1902 entrava ed usciva dai manicomi di Berlino in preda ad orribili allucinazioni, anche se queste ormai vennero introiettate in forma artistica. Le centinaia di disegni angoscianti che circolavano nell’ambiente espressionista di Monaco, trovarono due fondamentali critici che lo spinsero ad esporre nel 1902: Paul Cassirer ed il mecenate Hans von Weber. L’esito non fu però positivo.

Fra il 1903 ed il 1908, continuò a produrre acquarelli, a tempera ed a china, mentre un breve periodo di pace psichica dovuto al fidanzamento, gli fece balenare un nuovo salto di qualità artistico con la scrittura di un romanzo di fantascienza molto anticipatorio del mondo che verrà. Fu pubblicato a Monaco nel 1909, Die andere Seite, venne tradotto in italiano negli anni ‘60 dalle edizioni Adelphi, con un titolo a nostro modesto parere impreciso, cioè L’altra parte. Sebbene questa scelta fosse compensata da un primo successo di pubblico; una nuova disgrazia gli accadde: la morte improvvisa della fidanzata alle soglie del matrimonio, riportandolo in una profonda crisi depressiva. Seguirono viaggi a Parigi, dove ritrovò le stesse ansie allucinative di Redon e poi tornò a Monaco e si legò al circolo del Blaue Reiter (Il cavaliere azzurro) di Kandinskij. Intanto, morto il padre col quale mai si era riappacificato, raggiunse un po’ di tranquillità economica, ma la nuova moglie si aggravò di una malattia respiratoria, che lo porterà ad accompagnarla in Dalmazia e nei Balcani, sua seconda patria, dove raffinò la conoscenza di alcune storie inquietanti legate al mondo del vampirismo. Intanto, una terza via artistica lo affascinava: l’illustrazione grafica dei capolavori letterari oscuri e difficili.

Il disegno a chiaroscuri in forma circolare con linee oblique di figure reali, ma scarabocchiate e molto mosse. Uno stile rapido, come quello della casa abbandonata, dalla carne da macello, orrorifiche e surrealiste da sogno, tridimensionali, di un mondo onirico che irrompe nel quadro. Come nel caso di Nero, Estasi e La vendetta. Appariva fra le linee una moltitudine di uomini neri che si avventavano gli uni contro gli altri; quasi un epigono di Bosch, ma con una oscurità impressionante. Una tensione emotiva di massa che riaffiora, in uomini a sera, dove il reale degli operai che sciamano all’uscita della fabbrica sembra simboleggiare in anticipo i soldati che escono in fuga dalla trincea. Forse trascrizioni oniriche che soprattutto impressionarono Freud e Jung alle soglie della Grande Guerra. Con la prolifica raccolta serie dei sogni, finalmente Kubin fra il 1911 ed il 1918 si orientò con positivi risultati verso uno stile più realistico misto a qualche segnale fantastico, anticipando ancora una volta la svolta del primo dopoguerra, il c.d. realismo magico. Per esempio, se prendiamo la litografia un cavallo imbizzarrito da un serpente, il realismo del cavallo spaventato convive con una strana smorfia a mezza bocca, segno di un altrove che penetra nel quotidiano.

È noto che la prima guerra mondiale non solo spazzò via molti esponenti dall’espressionismo morti sul campo di battaglia (per es. il poeta francese Apollinaire, ma anche il grande pittore Franz Marc); ma anche dopo Versailles, per il biennio fino al 1920 una potente crisi economica travolse i paesi europei. Kubin perse buona parte del patrimonio e quindi dovette reinventarsi culturalmente di fronte ai nuovi interessi socioculturali. Da scrittore e pittore ad un tempo, emerse la soluzione più a lui naturale, vale a dire l’illustrazione di capolavori della letteratura mondiale, per esempio Wilde, Poe e Strindberg, soprattutto Dostoevskij, il cui commento illustrativo del Sosia, gli apparve subito conforme alla sua capacità realistica condita da un pizzico di Surrealismo. Nasce così la sua tradizione notturna, l’illustrazione visiva di un testo letterario prodromico alla trasposizione cinematografica. Non è un caso che Kubin fu il maestro riconosciuto di Karl Freund e Willy Hameister, responsabili per la fotografia del film forse più famoso di tutti i tempi, Il gabinetto del Dottor Caligari (1920).

Poi, fino alla morte nel 1957, su Kubin calò il silenzio, disperso fra i mari della Dalmazia ed i Balcani, salvo qualche illustrazione della Bibbia, come fu per il sodale Otto Dix nel secondo dopoguerra. Senonché negli anni ‘60, un nostro eminente studioso del mito nella cultura tedesca, Furio Jesi, ebbe modo di riaprire un discorso critico sull’unico romanzo di Kubin l’altra parte. Invero l’illustre studioso, alla ricerca delle fondamenta culturali delle origini del Nazismo, notò che il tema descritto nel romanzo in esame – nascita, sviluppo e caduta della città mitica di Perla, capitale del Regno del sogno, localizzata nell’Asia centrale – simboleggiava addirittura la Germania. Molti erano i riferimenti anticipatori e profetici della catastrofe del Paese cui Kubin guardava con timore e terrore: il capo del Paese Potera, un dittatore presente in ogni angolo della città, mai visto direttamente, abitanti come automi, la vita dei protagonisti – lo stesso Kubin e la moglie – venuti da turisti e poi poco a poco emarginati e finiti in carcere. Liti continue fra gli abitanti, crisi economiche, marce trionfali, guerre, carestie rivolte popolari. Poi la caduta dello Stato e quindi la rinascita del Paese. Una vita sociale sempre in battaglia, alti e bassi dell’economia, della morale e della società. Un mondo sognato, ma anche reale scrutato dall’interno. E non solo la Germania di Weimar, ma anche l’Italia attuale, si potrebbe pensare. Straordinarie profezie, che andrebbero rimeditate.