FRANKFURT – Dal 7 novembre al 15 dicembre mostra dell’artista Ele D’Artagnan presso la galleria d’arte Heusenstamm

Non voleva essere chiamato pittore ma inventore di disegni. Quando una sera, in una trattoria del Testaccio, un suo ammiratore lo definì un „pittore pittoresco“, lui si offese assai, sia perché non si sentiva pittore, sia perché l’aggettivo corrispondente era abusato dai turisti americani. Un ennesimo artista incompreso, quindi, il genio multitalento Michele Stinelli in arte „Ele D’Artagnan“ per via dei suoi baffetti, ed un naso piuttosto cyranesco, è stato una presenza molto colorita nella Roma della Dolce Vita. Particolarmente a Fellini stava simpatico il suo modo di essere allegro e scanzonato e gli affidò delle piccole parti in ben 5 dei suoi film. Nella stagione d’oro di Cinecittà trovò posto in una quarantina di film diversi, interpretò anche uno dei pirati nella leggendaria prima produzione televisiva dell’Isola del Tesoro (RAI 1959).

Ma dietro quell’estrosità covava il dramma della sua vita. Non sapeva neppure il suo vero nome: appena nato, nel 1911 a Venezia, fu abbandonato dalla mamma e trascorse tutta l’infanzia „tra collegi e orfanatrofi, accudito da ben dieci matrigne“, come ha scritto lui stesso „mamma, quanto mi sei mancata!“. Lo tormentava il mistero delle sue origini, e dovette impiegare molti sforzi per farvi luce. Dopo aver scavalcato gli ostacoli burocratici e sfondato molti muri di gomma, riuscì finalmente a scoprire il nome di colei che l’aveva partorito per abbandonarlo: la signora Elena Lombardi, di professione arpista nell’Orchestra della Scala di Milano.

Ma chi era suo padre? L’artista se ne fantasticò uno: nientemeno che Arturo Toscanini. Non che fosse del tutto inverosimile, dato che il grande maestro era rinomato anche per una vivace attività extraconiugale. Ma fra il 1908 e il 1915 egli dirigeva al Metropolitan di New York. In quanto Michele Stinelli, il Nostro incominciò a dare fastidio ai discendenti legittimi della famiglia Lombardi, i quali reagirono denunciandolo e facendolo finire in prigione. La prova del DNA era di là da venire e la legislatura italiana di allora era ancora nettamente sfavorevole ai cosiddetti „figli illegittimi“, che solo da poco sono stati parificati con gli altri.

La vita di questo senzafamiglia era cominciata male e finì male. Terminata la grande stagione di Cinecittà, si trovò sul lastrico e finì tra i baraccati dietro Porta Portese. Nel 1987 fu trovato in coma su un marciapiede di Trastevere. Non avendo parenti né discendenti, lasciò la sua opera omnia figurativa a un suo giovane amico, il musicologo Pietro Gallina, che oggi dirige il centro culturale ICBIE in Brasile.

Ed a lui riuscì di lanciarla dal più grande trampolino dell’arte moderna: il MOMA (Museum of Modern Art) di New York. Dopo un’esposizione ad Amsterdam organizzata dal locale Istituto di Cultura Italiana, è ora il turno di Francoforte presso la prestigiosa e centralissima

galleria Heussenstamm (dal 7 novembre al 15 dicembre 2017), con il patrocinio del locale Consolato Generale d’Italia.

Ele D’Artagnan è un artista difficile da catalogare. Gli esperti di New York lo hanno messo nella categoria degli Outsider. La sua era un’arte povera: non usava pennelli né tele, né cavalletti né atelier: lui disegnava ogni qual volta era colto dal raptus, dovunque e su qualsiasi cosa gli capitasse sottomano: fazzoletti, fogli di carta extra strong, tovaglie, perfino sui tovagliolini di carta colorata. Ed usava, fra l’altro, rossetti femminili, matite da trucco, penne biro e smalto per unghie.

Il risultato è una festino di contrasti cromatici su scala millimetrica, che evoca un „paradiso della felicità dei sensi“ come ha detto Vittorio Sgarbi in una trasmissione dedicatagli dalla RAI EDUCATIONAL. Ele D’Artagnan era un artista figurativo assolutamente fuori posto nell’arte ufficiale della sua epoca, dominata da intellettualismo e pregiudizi astrattisti. I suoi soggetti preferiti erano le figure femminili come lui le sognava, oniriche e smaccatamente felliniane. Non risulta che si sia mai fatto un autoritratto, proprio lui che ci teneva tanto ad essere inquadrato. Ricorre spesso la musica, sia in figura di strumenti musicali (lui suonava la tromba) che di intere battute, sia composte in proprio, sia copiate da autentici spartiti.

Nella galleria Heussenstamm ne è prevista l’esecuzione in forma di poutpourri concertistico.

Un altro soggetto costante sono le villette con giardino e le vivacissime „casette in Canada“, un sogno impossibile per un povero baraccato. Poiché, che piaccia o no, anche nelle baracche vivono i geni.

Lascia una risposta

Please enter your comment!
Please enter your name here