Le brutte arrivano adesso in materia di pressione fiscale. Nell’ultimo “Revenue statistics 2010”, l’Ocse peggiora per l’Italia il dato già negativo del 2008, così completando quel quadro che negli ultimi mesi ci vede messi male anche in campo di stipendi e costo del lavoro. Ma andiamo per gradi.
Pressione fiscale. Il peso delle entrate fiscali sul Pil nazionale ha raggiunto in Italia quota 43,5% nel 2009, in aumento rispetto al 42,2% dell’anno precedente, mettendoci tra quei pochi Paesi, come la Turchia e la Slovenia, che hanno aumentato le tasse nell’ultimo anno. Quanto è bastato per farci scavalcare il Belgio, che ha visto invece la sua pressione fiscale calare dal 44,2% al 43,3% ; mentre Francia, Spagna, Grecia e molti altri l’hanno addirittura ridotta di oltre 3 punti percentuale. Prima di noi adesso ci sono solo Danimarca (48,2%) e Svezia (46,2%), che l’hanno mantenuta più o meno invariata e che in quanto a previdenza sociale e sistema sanitario hanno di certo che insegnarci. Al contrario, in Italia, disoccupazione, agevolazioni per gli studenti, per gli anziani o per le giovani madri, così come gli aiuti sulla casa, le borse di studio e così via, sono ben al di sotto della media.
Ma il rapporto Ocse va oltre. Prende in considerazione un periodo lungo quarantacinque anni, che va dal 1965 fino al 2009. Ebbene, proprio quarantacinque anni fa la pressione fiscale italiana risultava ancora perfettamente in linea con la media Ocse del 25,5%. Il boom in negativo è arrivato solo nel ‘85, quando la percentuale è di botto salita al 33,6%, durante il governo Bettino Craxi. E poi ancora un salto, nel ‘95, al 40,1%, quando invece allora il presidente del consiglio era Silvio Berlusconi. Da quel giorno, la nostra pressione fiscale non è mai scesa al di sotto del 40% del Pil, salendo anzi al 42,2% nel 2002, al 43,4% nel 2007 e, dopo un lieve calo nel 2008, al quel 43,5% del 2009. Questo è dunque quanto il nostro sistema Paese incassa dalle entrate fiscali.
Costo del lavoro. Entrate fiscali per il Pil nazionale significano tasse per il cittadino. Queste, in Italia, si fanno sentire anche in busta paga, dove il costo del lavoro ci pone nuovamente alti in classifica, questa volta al sesto posto. Ed in effetti, quale italiano negli ultimi anni, dando un’occhiata al suo primo cedolino, non è rimasto sconcertato per la consistente discrepanza tra la cifra del proprio stipendio al netto e quella al lordo? Per un italiano medio, single e senza figli, questo scarto, chiamato tecnicamente “cuneo fiscale”, raggiunge quota 46,5%. Ma tra i primi cinque non ci sono più Danimarca e Svezia, ma Belgio (55,2%), Ungheria (53,4%), Germania (50,9%), Francia (49,2%) ed Austria (47,9%), i cui stipendi però sono comunque al netto superiori ai nostri, volendo dire con questo che l’italiano parte anche al lordo da una cifra decisamente più bassa. Se facciamo riferimento a questo ultimo caso, infatti, riusciamo a salire la classifica solo di un posto.
Stipendi. Qui si scende drasticamente. Sempre secondo l’Ocse, siamo al 23mo posto sui 30 totali analizzati dall’organizzazione. Guadagniamo il 16,5% in meno dei nostri colleghi Ocse e il 32,3% in meno di quelli Ue. Guadagniamo ancora meno dei  greci, degli spagnoli e degli irlandesi, pur avendo una tassazione sul lavoro decisamente superiore. Lo stipendio netto di un italiano medio, single e senza figli, è stato nel 2009  di 22.027 dollari, rispetto ai 26.395 della media Ocse e i 28.454 dollari della media Ue. Ai vertici della classifica c’è la Corea del sud, con un salario medio di 40.190 dollari, mentre all’ultimo posto c’è il Messico, con 10.121 dollari. La Germania si attesta intorno ai 30mila, il Regno unito intorno ai 39mila e la Francia intorno ai 29mila.
Insomma, non solo all’italiano rimane in tasca solo il 55%, ma anche se si trattasse del 100% non ci sarebbe comunque da stare contenti. Se poi gli aggiungiamo un caro vita più alto che altrove, ne esce davvero un quadro a dir poco desolante. Vediamolo.
Bollette. Questa volta siamo addirittura al primo posto. Il rapporto Ocse sul mercato dell’energia comunitario dice che l’italiano paga l’elettricità ben cinque volte in più rispetto al corrispettivo francese: 200 €/MWh contro 40 €/MWh. Paghiamo anche molto più degli irlandesi, che si trovano al secondo posto con un costo dell’elettricità di circa 120 €/MWh. Le colpe di questo primato, sostiene l’organizzazione francese, sarebbero da attribuire alla preponderanza in Italia dell’utilizzo del combustibile fossile, cioè del gas, ma anche alle disparità fiscali e alla “mancanza di concorrenza e di integrazione nel mercato europeo dell’elettricità, che intralcia l’esportazione dai Paesi a basso costo a quelli ad alto costo”.
Prezzi. Anche in questo campo non ci sono buone notizie. Sui prezzi al consumo, nel 2008, l’Italia è stata tra i primi cinque Paesi in quanto a costi di cibo, bevande, abbigliamento, elettronica, trasporti, ristoranti e alberghi. A dircelo stavolta è l’istituto di statistica europeo Eurostat, secondo cui prima di noi ci sarebbero solo Belgio, Danimarca, Finlandia e Norvegia, i cui stipendi sono però decisamente più alti dei nostri. 
Insomma, tra retribuzioni al fondo e tasse alle stelle, gli italiani si ritrovano ai primissimi posti per debolezza del potere d’acquisto. Il reddito medio di un italiano è pari a soli 19.100 euro annui. Togliamo a questi anche bollette e prezzi esorbitanti, e vediamo che nel portafogli non rimane davvero più nulla.