S’era formato a Salon un giro di re e regine, nobili e contesse che andavano e venivano, tutti con il loro seguito di cavalieri e cortigiani, e andavano da Michele di Nostradamus, tutti a cercare i lumi del loro futuro. Perché il futuro interessa tutti quanti. E visto che Michele spesso non c’era, o non riceveva, ritirato com’era nei suoi pensieri, nelle sue malattie o nei suoi alambicchi, costoro tornavano dopo qualche giorno, oppure se ne andavano in una delle locande del paese ad aspettare, e lì ci lasciavano i loro denari: mangiavano, bevevano, spendevano. E gli affari andavano bene. Per l’oste, per lo stalliere, per il vignaio, ma anche per il sarto, per il fabbro, per lo spadaio… E più i quattrini ballavano in tasca, più la gente era contenta.
Insomma, a Michele volevano bene tutti, e quando si presentava in piazza un po’ più emaciato, o col gonfiore della gotta più bluastro del normale, era tutto un dare consigli e raccomandazioni: abbia cura di Lei, signor di Nostra Donna, si riguardi, mi raccomando!
E così il tempo passava. La fama di Michele si estendeva, il commercio tirava, il villaggio diventava una cittadina, con le sue strade e i suoi vicoli, quello degli orefici, quello dei pesciaioli, quello dei fiorai. Si era formato persino un giro di signorine allegre che venivano il venerdì da Avignone e che erano la gioia di tutti quei cavalieri solitari.
Certo, in quel caso non tutti erano contenti. Le mogli, ad esempio, o tutte quelle matrone pettorute con posto fisso in chiesa e al cimitero, quelle tanto contente delle nuove signorine non erano. Era meglio la tranquillità di prima, che il paese era anche più pulito. E più sereno. Che adesso i mariti ti raccontano che vanno dagli amici a giocare a carte, e poi li becchi che intingono il biscotto in qualche altro caffelatte, i maiali!
E i soldi da dare alle signorine? Da dove li prendono? Ma dal borsellino di famiglia, li prendono, i maiali! Rubano il pane di bocca ai bambini per fare i loro porci comodi! E loro, le mogli, ad aspettarli davanti a casa fino a notte, quando quelli tornano ubriachi e canterini. Sì, perché dopo si fermavano anche in osteria a spendere quello che era rimasto, i maiali! No, no, ad Avignone dovevano tornare, le signorine: da dove erano venute, altro che balle!
Si erano rivolte anche al cappellano e al borgomastro. Ma il cappellano, che vuoi? L’obolo che al sabato i cavalieri gli buttavano nel cassettino dopo la confessione, non gli faceva affatto schifo. Ci riparava il tetto della chiesa, ci faceva qualche opera di bene, e magari gli rimaneva qualcosa per un boccale di birra alla sera, che se lo era anche meritato, poverino!
E il borgomastro? Faceva orecchie da mercante. Cambiava discorso che sembrava un’anguilla. Allora le signore dovevano tornarsene a casa stizzite e inviperite, a raccontarsi tra loro che a fare del bene non ci si guadagna niente. E così, mentre il paese cresceva in agiatezza e ricchezza, mentre nel giorno della fiera la piazza era piena di carri e di merci, Michele invecchiava, sempre più gonfio e nero nella sua chippà, nera come lui, simbolo del tormento umano, mentre la gotta gli rodeva pian piano le ossa.
Viveva ormai a lume di candela e a finestre sbarrate. La luce del giorno gli feriva lo sguardo e gli ricordava il tempo che passa inesorabile. “E poi non sarà l’occhio a guadagnarci la luce”- diceva, tenendo aperto sul tavolo il libro del grande Vecchio, il Qoelet (Nel giorno del bene guadagna il bene, e nel giorno del male guarda anche quello, che è fatto da Dio, affinché dopo di Lui l’uomo non trovi più niente!). Ed eccolo, allora, Michele, a chiedersi perché, Dio, metta i giorni buoni dietro quelli cattivi, e, dopo averli mescolati, alternati, scambiati, contrapposti, li chiami tutti “giorni”, quasi non ci fosse differenza tra loro.
E intanto le profezie fioccavano. La rivoluzione francese del 1798, l’arresto di Luigi XVI a Varennes e la testa della regina Maria Antonietta, caduta sotto la lama della ghigliottina
Di notte verrà per la di Reina selva, due parti in cammin torto Regina e pietra bianca. Monaco negro, in grigio entro Varenna, per capo a rimutar tempesta e fuoco e sangue trincia.
Prevede l’avvento di Napoleone.
Un imperiere nascerà appo all’Italia che all’impero costerà di molto caro, diranno con quali genti si collega, che meno principe stimeranno che beccaio
Predice un certo “Hidger” che metterà ordine in Germania. Predice una guerra in Francia e nel mediterraneo per il 1968, (ma fu vera guerra il maggio francese? Le barricate degli studenti? Furono vera guerra le Brigate rosse, il rapimento di Aldo Moro, o le bombe alla stazione di Bologna e a Brescia? Ma questo è un altro discorso, lo faremo un’altra volta).
Un giorno Michele scomparve e subito una brezza gelata soffiò sul villaggio di Solon. Era morto? E come? Suicida? Trasformato in un cane nero a dannazione di tutti? E morto perché? Per il peccato di tutta quella abbondanza, regalo del demonio?
Niente di tutto questo. Michele si era rifugiato nell’abazia di Orwal per un’ultima preghiera, sentiva già, è vero, la morte, peraltro prevista:
Dopo mia terrena dipartita, più mio scritto farà che mai parola viva. Parenti, amici e fratelli di sangue mi troveranno morto presso il letto, sulla panca.
Tornò a casa solo nel giugno 1566. La mattina del 1 luglio Nostradamo stava sulla panca presso il letto. Qualcuno, amico o fratello di sangue, gli posò una mano sulla spalla. Nostradamo si chinò come per guardare meglio qualcosa che stava per terra. Poi, poco a poco, crollò con un “plaf” sul pavimento. Tra rospo e veggente ci fu quella volta affinità di suono.