L’impressione che, quasi ogni anno di questi tempi, mi faccio leggendo i commenti sul Natale, è che manchi la domanda fondamentale, quella che anche si poneva il ragazzo protagonista di un racconto di Cechov, il quale, avvicinandosi a suo padre, gli chiedeva: ma papà, chi è nato? Già, chi? La domanda è ancora pertinente in un’epoca in cui la "m" di McDonalds o la mela addentata di Apple sono marchi molto più conosciuti della croce di Cristo.
E forse non a caso, vista la fatica che fa la Chiesa a vivere il secolo, come peraltro auspicato anche dal Vaticano II. Le questioni ancora aperte, che attendono risposte sempre più urgentemente, sono note. L’emancipazione dei laici (reale e non gattopardesca come è stato fatto fino ad ora), la consacrazione delle donne, il ripensamento della morale sessuale, l’Eucarestia ai divorziati e via discorrendo; le solite cose, insomma. Ma non si tratta solo di questo. Chi legge un po’ di storia si accorge che, proprio nella Chiesa, e nonostante le dichiarazioni gridate, l’essere umano fa ancora fatica ad essere al centro dell’universo, come (giustamente) si augurava Tolomeo.
Proprio così. Non il peccato dovrebbe essere il tema, cari amici teologi; non la punizione, non la dannazione, non l’inferno (ce n’è abbastanza sulla terra per la maggior parte dei suoi abitanti! Un po’ di inferno lo vedrei bene soltanto per chi dà scandalo, e questo già basterebbe a riempire le stanze di Lucifero). L’essere umano nella sua ineffabile unicità: quello dovrebbe essere il centro, e invece, spesso, proprio il centro manca. Ecce homo, dicevano due millenni or sono i soldati romani presentando qualcuno che non poteva rispondere, la cui voce (flebile) rimane in gran parte ancora oggi inascoltata.
E la questione è ancora la stessa: cercate l’uomo, e ascoltatelo, perché „l’uomo è capace di Dio“, come sta scritto anche nel catechismo della Chiesa cattolica. Ma per tornare alla Chiesa di oggi, colpisce, ad esempio, la mancanza di idee dei vescovi, intimiditi dopo lo scandalo della pedofilia, sopraffatti dalla constatazione che il diritto civile vince su quello ecclesiastico (lo sapevano anche prima, certo, ma non ci credevano); colpisce la loro mancanza di orientamento, imprigionati, come spesso sono anche loro, dagli oggetti, affascinati dalla materia, all’inseguimento della politica, affinché non tolga loro quel po‘ di tasse della Chiesa che ancora rimangono in cassa.
Me li figuro leggere ogni mattina i notiziari nell’angoscia che il mondo non abbia più bisogno di loro. Già, e se fosse davvero così? Se davvero il cristianesimo dovesse tornare ad essere quello che era nei primi secoli: fatto di circoli di persone che, in estrema minoranza ed in estrema umiltà, si accingono a dare sale al mondo? Che accadrebbe allora?
Martin L. King aveva un sogno. Se fosse concesso anche a me di averne uno, mi augurerei in questo Natale di non ascoltare la predica di qualche funzionario del clero che ripete tra la veglia e il sonno il compito mandato a memoria negli anni del seminario. Vorrebbe dire che l’idea non scalda, non vivifica. E sarebbe un’occasione persa.
Mi augurerei invece più coraggio nell’annuncio, e più sorrisi fraterni, più strette di mano, e magari, nel frastuono generale e tra le paglie colorate, qualche angolo di silenzio in più affinché si possa udire con più chiarezza la voce (flebile) di quel qualcuno, appunto, che da due millenni, e spesso inutilmente, vuole ricordarci di essere nato.