Nessuno dei Paesi più piccoli ha mai avanzato la pretesa di voler assumere la guida dell’Unione europea. Questo non vuol dire che anche un piccolo Paese non sia in grado di guidare moralmente o concretamente l’Unione. In fondo, molto dipende anche dai leader che, in quel momento, sono a disposizione. L’esempio del lussemburghese Jean- Claude Juncker ha dimostrato cosa si può fare. Sono i Paesi più grandi a sviluppare una simile ambizione ed è soprattutto da quegli stessi Paesi che ci si aspetta che assumano un ruolo guida.
Ai tempi della nascita della Comunità europea, una simile leadership è toccata ovviamente alla Francia. Nei decenni seguenti e fino ai giorni nostri la politica francese non ha mai dato adito a dubbi, sul fatto di sentirsi chiamata a ricoprire questo ruolo. Dall’approvazione del Trattato franco-tedesco (gennaio 1963) in poi, a Parigi si è giustamente voluto che questa leadership venisse esercitata sempre più assieme al vicino tedesco. Tuttavia, il funzionamento del motore francotedesco è sempre dipeso dai responsabili che si trovavano rispettivamente a capo dei due Stati. Per questo, guardando agli ultimi 40 anni di storia, si può parlare di un successo solo nel periodo in cui Valery Giscard d’Estaing e Helmut Schmidt o Francois Mitterand e Helmut Kohl hanno guidato la politica dei propri Paesi.
Di recente, a fronte della palese debolezza del partner francese, la guida dei Paesi membri è passata gradualmente in mano alla Germania, non solo per la posizione paragonabilmente più solida e forte di questo Paese, ma anche e soprattutto grazie alle capacità della cancelliera federale Angela Merkel di fissare degli obiettivi e giungere a dei compromessi. Ma l’Unione europea, oltre alla guida degli Stati che la compongono e sostengono, ha bisogno anche della guida della comunità che trova la sua espressione nelle istituzioni, che la riempiono di vita.
Il metodo decisionale previsto nei Trattati di Roma fino al Trattato di Lisbona, affida ai due pilastri dell’Unione, ovvero agli Stati e alla comunità, la responsabilità legislativa. In questo senso, solo la Commissione (l’organo comunitario per antonomasia) può avanzare delle proposte agli organi decisionali rappresentati dal Consiglio dei ministri e dal Parlamento. Spetta poi al Consiglio, che si fa portavoce degli interessi degli Stati membri, e al Parlamento, che rappresenta gli interessi dei cittadini, prendere di comune accordo delle decisioni rispetto alle proposte della Commissione. È alquanto significativo vedere come ogni qual volta si proceda in questo modo, l’Unione riscuota successo, mentre là dove non ci si attiene a questo metodo, per esempio nell’ambito della politica estera, in cui si procede senza un vero e proprio coinvolgimento della Commissione e del Parlamento, l’Unione non avanzi e, anzi, spesso fallisca.
Sullo sfondo di questo scenario, si comprende l’importanza della Commissione quale organo direttivo e del suo presidente quale personalità leader. Quando si cercano di definire le caratteristiche di una leadership di successo, portata avanti dalla Commissione, è bene guardare ai due personaggi che, nella storia dell’integrazione europea, verranno ricordati come due presidenti forti, non certo solo per il fatto di essere stati gli unici che, a oggi, hanno guidato quest’istituzione per un’intera decade. Mi riferisco a Walter Hallstein (1958-1967) e Jacques Delors (1985-1994).
Una serie di tratti distintivi, che accomunano questi due personaggi, lascia intendere che siano proprio queste le caratteristiche che devono contraddistinguere un presidente della Commissione europea, che voglia avere successo. In questa sede è solo possibile accennare alle più importanti. Sia Walter Hallstein che Jacques Delors hanno rispettato la disciplina dei grandi e rivoluzionari progetti d’integrazione, la cui realizzazione era legata a tabelle di marcia che, in un certo senso, strutturavano il futuro, anche oltre la durata del proprio mandato: la progressiva realizzazione del mercato comune nell’arco di 12 anni, proprio come previsto dai Trattati di Roma (Hallstein) e la realizzazione del mercato unico entro il 1992 (Delors).
Una spiccata capacità di analisi e sintesi, abbinata al dono di trovare sempre le parole giuste e di saper comunicare, ha permesso a entrambi di sfruttare strategicamente i discorsi pubblici e i dibattiti, per convincere grazie alla forza degli argomenti validi. Ma la loro credibilità e, dunque, la stima della quale godevano in seno ai governi degli Stati membri, si fondava soprattutto sulla costanza e la concentrazione con le quali si dedicavano ai compiti del loro incarico europeo e al sistematico raggiungimento degli obiettivi formulati collegialmente dalla Commissione.
Ora che i partiti europei si prepareranno alle prossime elezioni del 2014 e sceglieranno il proprio candidato di punta, a cui, in caso di vittoria, verrà affidato l’incarico di presidente della Commissione, sarebbe bene che si orientassero a questi due modelli e facessero attenzione a che il loro candidato presenti un profilo simile.