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Da circa cinquant’anni c’è chi va sostenendo che bisogna revisionare la Costituzione che, com’è noto, è il risultato di un compromesso tra i due maggiori partiti politici dell’epoca

Da chi non militava in alcuno dei due predetti partiti la Carta del ’48 venne definita “pateracchio”. Calamandrei, Mortati, Maranini, Jemolo ed altri insigni giuristi, dopo pochi anni dalla sua entrata in vigore, denunciarono i frutti avvelenati della partitocrazia. Lanciarono l’allarme sulle oscure manovre effettuate dagli oligarchi dei partiti, che avevano dato vita ad una Costituzione materiale (“de facto”) in difformità con quanto era sancito dalla Costituzione formale (“de jure”). Denunciarono anche i difetti e le incongruenze che emergevano dalla Carta.

Soffermandosi su alcune delle tante incongruenze, specialmente quelle che riguardano la formazione delle cariche istituzionali poste al vertice dello Stato, notiamo in primo luogo: il Presidente della Repubblica viene eletto dal Parlamento, in seduta congiunta delle due Camere. Viene eletto da un migliaio di persone (che dovrebbero rappresentare un Corpo Elettorale di circa 50 milioni di cittadini). È alquanto difficile dimostrare che, al momento del voto per eleggere il Presidente, quel migliaio di persone sia in grado di interpretare gli orientamenti dell’intero Corpo Elettorale, e lo si è visto per l’elezione del tredicesimo Presidente della Repubblica, che alla fine ha visto non altro che mettere in essere il motto latino: “Quieta non movere et mota quietare” – “Non agitare ciò che è calmo, ma calma piuttosto ciò che è agitato”.

In secondo luogo: per risolvere una crisi di Governo, il Presidente della Repubblica dà avvio alle cosiddette “consultazioni”, interpellando gli esponenti di tutte le forze politiche. In terzo luogo: sulla base delle proprie intuizioni, conferisce l’incarico di formare il nuovo Governo ad una persona che presumibilmente potrebbe ottenere la fiducia delle Camere. In quarto luogo: il Presidente del Consiglio dei ministri designato accetta l’incarico “con riserva” e consulta i vertici delle varie forze politiche, delle organizzazioni sindacali e di altre formazioni sociali. Se ritiene di essere supportato dalla maggioranza degli esponenti delle già menzionate formazioni si reca nuovamente dal Presidente della Repubblica, scioglie la “riserva” e presenta la lista dei Ministri (i cui nomi vengono proposti non si sa da chi (Quirinale?!?), né vengono spiegati i criteri adottati nella valutazione dei requisiti professionali e morali, così come nell’attuale governo italiano. Riemerge alla memoria il famigerato “metodo Caligola”).

In quinto luogo: il nuovo Presidente del Consiglio dei ministri e i Ministri da lui nominati prestano giuramento alla Costituzione nelle mani del Presidente della Repubblica. Subito dopo il nuovo Governo si presenta davanti a ciascuna delle Camere per illustrare il proprio programma. Una volta ottenuta la fiducia delle Camere con voto palese, entra pienamente nell’esercizio delle funzioni. Va evidenziato il fatto che in nessuna consultazione sopra descritta possono partecipare i giornalisti. Tutti gli incontri si svolgono a porte chiuse: una prassi inammissibile in una democrazia autentica.

Da oltre un decennio i Governi, formatisi in tal modo, vengono presentati al Paese, allo stesso modo in cui, dopo un conclave, il cardinale protodiacono si affaccia dalla loggia papale della basilica di San Pietro e annuncia gioiosamente “Habemus papam”. C’è qualcuno che sappia spiegare, con onestà intellettuale, in quale momento della procedura suindicata ha partecipato (o è stato consultato) il popolo, che a norma dell’art. 1 della Costituzione è sovrano?

Da molti anni si prospettando l’urgenza di avviare una nuova fase costituente per redigere una nuova Costituzione, nella quale introdurre il principio dell’originario modello democratico ateniese (assegnazione delle principali cariche istituzionali mediante sorteggio) da adattare opportunamente ai tempi nostri. Solo in tal modo potrebbe essere attuata la vera democrazia. Molti rinnovano l’appello all’opinione pubblica e agli esponenti di tutte le forze politiche e sociali e se questo appello cadrà nel vuoto, la Repubblica continuerà a sprofondare nella corruzione, nei finanziamenti illeciti, nel voto di scambio, nel lobbismo senza disciplina legislativa, nella prassi degli appalti pilotati, nel mantenimento di anacronistici privilegi a danno dei ceti sociali più deboli, nell’ignobile plutocrazia, nel trasformismo parlamentare, nella collusione tra certi politici e i clan della malavita organizzata nelle campagne elettorali, nel vile mercato delle poltrone, nella dilagante disonestà. Nessuno sottovaluti il fatto che l’astensionismo elettorale è giunto al 56%. È un grave errore ignorare le cause di questo fenomeno.

L’avanzata del populismo in Occidente, l’ascesa della Cina a Oriente e l’ubiqua diffusione dei social media inducono a ripensare i meccanismi di funzionamento – o malfunzionamento – della democrazia. L’obiettivo, pertanto, potrebbe essere quello di stabilire i principi e le pratiche della democrazia diretta accanto al sistema del governo rappresentativo per dare una reale e autentica sovranità ai cittadini.

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