Vulnerabilità contro dominio. Domande sul “padre”

La violenza di uomini sulle donne, in qualunque forma si manifesti, anche quella subdola psicologica, ha le sue radici in un modo di vivere la relazione con una donna, sia lei compagna o figlia, impostato sul dominio, più o meno consapevole sulla vita di lei. Il femminicidio è l’atroce punta dell’iceberg di relazioni malsane. Spaventosi sono i dati attuali sul femminicidio in Italia (rapporto di ferragosto del Viminale). Ma anche in Germania le cose non vanno meglio: recentemente il Consiglio d’Europa ha richiamato la Germania perché non fa abbastanza per combattere la violenza contro le donne, in ottemperanza di quella carta importante e fondamentale che è la Convenzione di Istanbul (2011), trattato internazionale contro la violenza sulle donne (PCB). “Le storie raccapriccianti di molte donne nascono dall’incrocio con uomini che hanno compromesso il loro ruolo di padri, mariti e compagni” scrivono gli autori del testo che segue, apparso su “www.settimananews.it” e pubblicato per gentile concessione

Queste storie nascono in epoche diverse e si svolgono in luoghi e culture differenti, con variabili a volte simili, a volte diverse. Lo scorso 13 agosto, mentre visitavamo l’isola di Torcello, a nord di Venezia, abbiamo percepito l’intreccio di due storie di questo tipo, a distanza di diciannove secoli, con agghiacciante coincidenza.

Nella chiesa di Santa Fosca dell’XI secolo, costruita a croce greca, magnifico esempio di stile veneto-bizantino, proprio accanto alla gloriosa Cattedrale di Santa Maria dell’Assunta del VII secolo, in tutta questa bellezza, abbiamo venerato le reliquie e considerato la tragica storia delle Sante Fosca e Maura. Nell’anno 250, Fosca, giovane figlia di una famiglia pagana, conobbe il cristianesimo, ne seguì l’insegnamento e fu battezzata. Maura, nutrice di Fosca, seguì il suo esempio. Il padre di Fosca cercò di convincere la figlia a tornare alla fede pagana, ma quando entrambe si rifiutarono, egli le denunciò al leggendario Quinziano, prefetto romano sotto l’imperatore Decio. Quinziano, famoso per la barbara tortura e il martirio di Sant’Agata nel febbraio 251, martirizzò Fosca e Maura con la spada nello stesso anno.

Qualche giorno prima della nostra visita per venerare le reliquie delle sante Fosca e Maura, a Salerno un padre aveva accoltellato la figlia lesbica di 23 anni, Immacolata, e la sua compagna di 39 anni. Non poteva sopportare che le due donne avessero deciso di andare a vivere insieme. Per lui era inconcepibile, inaccettabile. Poiché non avevano ascoltato il suo avvertimento di stare lontane l’una dall’altra, ha cercato di accoltellarle entrambe, gridando: “Meglio che io passi trent’anni in prigione, così morirete insieme”. Immacolata e la sua compagna Francesca se la cavarono solo con ferite superficiali. Sia Fosca che Immacolata piuttosto che dare ascolto alle richieste dei padri, andavano avanti per la loro strada. Eppure, i loro padri hanno cercato (e uno ci è riuscito) di distruggere la vita delle loro figlie perché la loro volontà non era stata ascoltata. Hanno compiuto queste azioni proprio in quanto “padri”, un ruolo che pensavano desse loro il diritto di denunciare o distruggere le figlie. Questa loro concezione della paternità è purtroppo tanto diffusa.

Femminicidio: l’uccisione delle donne

A Torcello abbiamo visto il lungo arco del femminicidio e, in particolare, come questo arco sia plasmato dalla comprensione che i padri hanno del proprio ruolo: il loro non è un dare la vita, come genitore, ma un dominare la vita come padrone e despota; un mettere la propria rappresentazione del modello e della funzione al di sopra della scelta delle persone che ne sono i veri soggetti responsabili. È come mettere le mani sull’anima e sulla vita di qualcuno.

I padri di Fosca e di Immacolata credevano di essere qualcuno o di contare qualcosa come uomini solo in quanto potevano imporre la loro volontà sulle donne.

L’espressione di questa malsana e pericolosa concezione di sé va dalla quotidiana, latente tendenza a dominare la vita delle altre (figlie, mogli, amanti, compagne di vita) al condizionamento delle loro scelte, fino al crudele esercizio della violenza che spegne addirittura la loro vita. Due giorni dopo la nostra visita a Torcello, il Ministero degli Interni italiano pubblicava, come ad ogni festa dell’Assunta, il dossier annuale sulla sicurezza, menzionando anche il problema del femminicidio (si veda il dossier Viminale di Ferragosto 2022 sotto interno.gov.it). I dati di quest’anno riportano un aumento da 108 omicidi di donne a causa del loro essere donne a 125, uccise nel contesto “familiare o affettivo”, cioè da padri, zii, fratelli e, più comunemente, da partner o ex partner. Le scienze antropologiche e sociali, così come gli studi di genere, negli ultimi decenni ci hanno offerto strumenti di analisi e percorsi di approfondimento per riconoscere la genesi e la portata di questi fenomeni. E i più recenti “studi sulla maschilità” ci insegnano a liberare il maschile dalle smanie tossiche del dominio. Qui è in gioco la consapevolezza di tutto il peso culturale e delle molteplici incrostazioni che hanno generato una visione distorta del rapporto tra i generi e della consapevolezza dei ruoli basati sul dominio. Le religioni hanno avuto un ruolo decisivo e non sempre liberatorio in tutto questo. Piuttosto, esse hanno contribuito a legittimare la superiorità del maschio, ricorrendo inequivocabilmente a espressioni maschili e dominanti delle immagini di Dio. La teologia morale, sacramentale e sistematica deve riconoscere la propria parte di responsabilità in tutto questo. E i nostri vescovi, in particolare, a causa della loro funzione di leadership nella chiesa, devono essere molto più sensibili a questa pericolosa realtà.

Indagine sul padre

Negli ultimi anni, Autiero e Keenan hanno esaminato l’idea di padre nell’etica teologica cattolica. Autiero, ad esempio, ha curato con Marinella Perroni “Maschilità in questione. Sguardi sulla figura di San Giuseppe” (recensito sul CdI, ottobre 2021 con un’intervista ai due curatori) in risposta all’iniziativa di papa Francesco che il 19 marzo 2021 aveva indetto l’anno di San Giuseppe, proponendolo come modello di maschilità, oltre che come marito e padre esemplare che, accettando di rimanere in seconda fila, è riuscito a stabilire relazioni sane. Nella sua lettera apostolica intitolata “Patris corde” (“con cuore di padre”), Francesco ha scritto che “padri non si nasce, ma si diventa”, aggiungendo che “un uomo non diventa padre semplicemente mettendo al mondo un figlio, ma assumendosi la responsabilità di prendersene cura”. In particolare, egli promuove Giuseppe che “ha accolto Maria incondizionatamente”, un gesto importante “nel nostro mondo, dove la violenza psicologica, verbale e fisica nei confronti delle donne è così evidente”. Perroni nell’introduzione del libro sopra citato apre con l’appello a ripensare la maschilità in modi più concreti. La tenerezza, il riconoscimento reciproco e la cura responsabile sono le qualità “vulnerabili” emerse dalle indagini dei dodici saggi che compongono il volume.

Che cosa si intende per “qualità vulnerabili”?

Vulnerabile è ciò che può essere ferito. James Keenan ha sviluppato un’etica della vulnerabilità, sotto l’influenza della filosofa Judith Butler e, in una pubblicazione di prossima uscita presso Georgetown University Press, sostiene che:

La vulnerabilità non è uno stato di bisogno, ma piuttosto la capacità umana, ontologica, di rispondere all’altro.

Nella parabola del buon Samaritano egli vede il vulnerabile non nella vittima ferita ai bordi della strada, ma nel Samaritano che risponde in modo singolare all’indigenza del malcapitato. E nella parabola del Figliol prodigo, egli mette in evidenza il padre vulnerabile che riaccoglie il figlio sulla via del ritorno. La vulnerabilità è allora la nostra capacità di risposta, ciò che ci permette e ci spinge a riconoscere, a rispondere, a comunicare, in una parola, ad amare. Nel trono della Grazia, nota Keenan, raffigurato per la prima volta nel XII secolo, il Padre, nel sorreggere il corpo crocifisso del Figlio, è visibilmente addolorato. Ma col passar del tempo i capi della Chiesa, nel timore che una simile raffigurazione potesse nuocere all’idea della natura immutabile di Dio, costrinsero gli artisti a rappresentare il Padre piuttosto nella sua impassibilità. Ma Keenan si chiede: il Vangelo di Giovanni non suggerisce forse più volte che se il Figlio è vulnerabile, lo sarà anche il Padre? Colui che si è sottomesso vulnerabilmente alla croce non sarebbe stato accolto vulnerabilmente dal Padre? E allora, quando proclamiamo la nostra fede in Dio, Padre onnipotente, forse dovremmo fermarci un istante e chiederci se il nostro Padre non tragga il “suo potere” dalla sua vulnerabilità e non da una qualche immagine latente di dominio tossico.

Gli autori: Antonio Autiero, professore emerito di Teologia morale, Università di Münster, Germania; James F. Keenan SJ, professore Canisius, Boston College, USA.

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