È un patto, quello che dovrà assicurare il futuro VW, che arriva in ritardo e che il gruppo autmobilistico di Wolfsburg cercherà di realizzare con il sostegno dello Stato facendo leva sulla partecipazione azionaria del Land della Bassa Sassonia. Il suo punto debole il patto lo rivelerà al più tardi quando nelle linee di montaggio dei motori elettrici i robot si sostituiranno ai dipendenti.

Il patto per il futuro Volkswagen è un pacchetto di decisioni divenute necessarie dopo lo scandalo dieselgate denunciato lo scorso anno dalle autorità americane EPA per la difesa dell’Ambiente. Lo hanno presentato a Wolfsburg a metà novembre l’amministratore delegato (ad) del grande gruppo automobilistico, Matthias Müller, il presidente del consiglio di consiglio aziendale Vw, l’onnipotente Bernd Osterloh, indiscusso leader dei 624.000 dipendenti del più grande gruppo automobilistico europeo e infine il capo del governo di Hannover, Stephan Weil, senza il cui consenso alla Volkswagen “non si muove foglia che il Land della Bassa Sassonia non voglia”. L’ad Müller ha elogiato il “patto per il futuro” come il più grande programma di modernizzazione nella storia della Volkswagen e Osterloh a sua volta lo ha definito come l’inizio di “una nuova era”. Dal canto suo, infine, il socialdemocratico Weil ha sottolineato l’eccezionale carattere riorganizzativo della struttura del gruppo VW, particolarmente importante per il mercato europeo dove mancano ancora le premesse per una più decisa reazione in difesa dell’Ambiente.

Alla Vw non si licenzia

Alla Volkswagen, fondata come “auto del popolo” ai tempi dell’ascesa di Hitler, la parola licenziamento non è mai esistita dopo la ripresa dell’attività nel secondo dopoguerra. Anche dopo il dieselgate nessun dipendente rischia di perdere il suo posto di lavoro, almeno fino al 2025. Fu anche cosi nel 1993, quando venne introdotta la settimana lavorativa di quattro giorni senza compensazione salariale e lo stesso fu nel 2006, quando come contropartita dell´aumento delle ore lavorative settimanali, anche questa volta senza compensazione salariale, il consiglio di fabbrica ottenne dalla direzione di Wolfsburg piene assicurazioni sul futuro dei sei stabilimenti tedesco-occidentali. La crisi causata dal dieselgate, come garantisce l’accordo ora firmato, non farà vittime alla Volkswagen: la riduzione dei 30mila posti di lavoro – di cui 23mila nelle fabbriche in Germania e gli altri restanti 7000 posti di lavoro nelle fabbriche brasiliane – sarà attuata attraverso la normale fluttazione della manodopera e il ricorso allo strumento del “Altersteilzeit”. Con questo termine si indica un anticipato pensionamento, previo una concordata riduzione dell´orario lavorativo, di cui potranno usufruire dipendenti che abbiano compiuto 55 anni d’età. Alcune migliaia di lavoratori dovranno, comunque, andarsene, ma si tratterà soltanto di quelli presi in prestito da un´agenzia di collocamento, i cosiddetti “Leiharbeiter”, utilizzati solitamente dalle grosse imprese in tempi di crisi. Parallelamente alla riduzione dei posti di lavoro, il vertice del gruppo Volkswagen prevede l’assunzione di circa 9mila persone necessarie per assicurare lo sviluppo del settore della mobilità elettrica alla quale d’ora in poi Wolfsburg dedicherà le sue priorità.

Eccesso di occupazione

Il numero dei dipendenti del gruppo Volkswagen, comunque, continuerà a superare quota 600mila, il che equivale a un livello occupazionale doppio rispetto a quello della giapponese Toyota che con la metà di dipendenti riesce a produrre lo stesso numero di auto del gruppo Volkswagen, penalizzato anche dagli alti salari tedeschi. I risultati a Wolfsburg si toccano con mano: i guadagni sono molto ridotti e ultimamente non scesi a un rapporto di utile di 1,60 euro su 100 euro di fatturato. L’ex-ad Martin Winterkorn era solito lamentare di non avere a disposizione i necessari miliardi di euro per sviluppare motori diesel più puliti. Fu così che ad un certo punto la Volkswagen con l’aiuto della Bosch decise di equipaggiare le auto diesel con centraline taroccate,un episodio che dopo la scoperta da parte degli americani ha causato al gruppo una grave e difficilmente riparabile perdita di prestigio. Sbaglierebbe a questo punto che pensasse che il nuovo vertice del gruppo di Wolfsburg abbia imparato la lezione. I membri dell’attuale vertice continuano a intascare milioni di euro di supplementi guadagnati con la vendita di milioni di auto truccate. In fatto di arroganza l’ad Müller sta dimostrando di non essere secondo al suo precedessore Winterkorn e non pochi gli osservatori che dubitano delle sue qualità manageriali, necessarie per guidare i profondi cambiamenti tecnologici che aspettano il gruppo Volkswagen e che, lo vogliano o no, anche i dipendenti dovranno accompagnare.

Mobilità elettrica

Secondo il parere di Ferdinand Dudenhöffer – titolare della cattedra di economia aziendale automobilistica dell’Università di Duisburg – alla Volkswagen la decisione di costruire auto elettriche avrebbe dovuto arrivare almeno cinque anni fa. Solo l’anno scorso il dieselgate piombato sulla Volkswagen come un fulmine a ciel sereno ha fatto comprendere la gravità dell’errore commesso. Il fatto che la Volkswagen, dopo aver fino allo scorso anno tutto sul diesel, dichiari ora di voler divenire il numero uno mondiale dell´auto elettrica lascia un po’ perplessi. Non sarà facile, perché al contrario della Toyota, che prossimamente chiuderà le linee di produzione delle auto diesel puntando tutto sull’elettrico, la Volkswagen continuerà a produrle, nell’inconfessata speranza di riuscire a realizzare una versione diesel accettabile sotto l’aspetto ecologico. Ha ragione Dudenhöffer a dire che il programma annunciato dal gruppo di Wolfsburg può essere soltanto l’inizio di un lungo processo di ristrutturazione e che molte altre incisive decisioni dovranno presto seguire.

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