Dopo la Germania anche per l’Italia si prospetta una difficile fase post-elezioni

Non esistono leggi perfette. Ciò vale in modo particolare per le leggi elettorali. Esse sono dispositivi ingegneristici, meri meccanismi di trasformazione dei voti in seggi parlamentari. Lo scopo ultimo di tali leggi è quello di garantire la governabilità. Ma nessuna legge da sola può assicurare la governabilità se la società è rappresentata da un sistema di partiti fortemente frammentato. In tal caso infatti nessun partito può ambire a governare da solo e necessariamente dovrà fare accordi con altre forze politiche per formare coalizioni che riescano ad avere in parlamento la maggioranza dei seggi. E’ quello che sta succedendo in Germania ed è ciò che, probabilmente, succederà anche in Italia.

Dopo il fallimento della riforma costituzionale voluta da Matteo Renzi la necessità di dotarsi di una nuova legge elettorale era divenuta urgente. La nuova legge doveva rimuovere le asimmetrie della precedente legge (il cosiddetto Italicum, dichiarato parzialmente incostituzionale) al fine di assicurare omogeneità tra Camera e Senato. Soprattutto, la nuova legge doveva essere approvata prima della conclusione della legislatura creando le premesse per far nascere un nuovo parlamento e con esso una nuova legislatura. Il 4 marzo gli italiani voteranno con la neonata legge elettorale denominata Rosatellum, dal nome del deputato che l’ha concepita e proposta, il pidiessino Ettore Rosato. All’indomani della sua approvazione, avvenuta nello scorso mese di ottobre, la legge è stata fortemente criticata. Ancora lo è anche se lentamente i suoi detrattori cominciano a metabolizzarla. E c’è persino chi dice che è una buona legge. Tra poche settimane lo scopriremo.

Con la presentazione delle liste dei candidati di ciascun partito la campagna elettorale è entrata nella sua fase più calda e, si spera, anche più interessante. Una parte dei candidati è rappresentata da politici di professione, un’altra da persone nuove alla politica provenienti dalla società civile. Ora dovranno spiegare nel dettaglio i loro programmi e convincere gli elettori che sono i migliori, che le loro proposte si tradurranno in cambiamenti positivi per la gente e la società. La posta in gioco per partiti, per le liste risultanti da unioni di partiti e per i singoli candidati sono i 630 seggi parlamentari della Camera e i 315 del Senato.

Il sistema di assegnazione dei seggi previsto dalla legge Rosato (il lettore non ce ne voglia se chiamiamo la legge col suo vero nome) è misto per entrambe le camere e ha luogo per il 37% dei seggi con formula maggioritaria e per il 61% con formula proporzionale. Il rimanente 2% dei seggi viene assegnato, anche con formula proporzionale, attraverso il voto degli italiani all’estero. Del voto all’estero questo giornale si è occupato nel numero di novembre 2017 con approfondimenti a cura di Licia Linardi e Aldo Magnavacca. In questo articolo ci occuperemo della legge Rosato nel suo complesso e cercheremo di capire se sarà in grado di produrre un governo possibilmente stabile e duraturo. Vediamo dunque più in dettaglio in cosa consistono i due metodi, maggioritario e proporzionale, di assegnazione dei seggi. La formula maggioritaria si applica nei collegi uninominali.

Questi si chiamano uninominali perché hanno un solo candidato per ogni lista (di partito o coalizione di partiti). Con la formula maggioritaria della legge Rosato vince il candidato più votato e non è previsto ballottaggio. Con la formula proporzionale i seggi sono distribuiti tra le liste su scala nazionale in proporzione ai voti ottenuti e a condizione che le liste abbiano superato le soglie di sbarramento. Il ruolo delle soglie di sbarramento è duplice: da una parte escludere i partiti che non superano tali soglie, dall’altra favorire le coalizioni tra partiti. Nella legge Rosato lo sbarramento è al 3% per le singole liste e al 10% per le coalizioni. Chiaro che ai piccoli partiti conviene coalizzarsi tuttavia nelle coalizioni non vengono calcolati i voti dei partiti che non superano la soglia dell’1%. Questo in estrema sintesi il funzionamento della nuova legge elettorale.

Ma quale sarà la situazione all’indomani del voto del 4 marzo?

A un mese di distanza il 30% degli elettori è ancora indeciso e molti non andranno a votare. Pur pesando in termini di equilibri politici, le astensioni non comporteranno un minor numero di seggi parlamentari. Gli indecisi le loro intenzioni di voto le matureranno soprattutto nell’ultima settimana, il che vuol dire semplicemente una cosa: l’incertezza regnerà fino allo spoglio dei voti. La Sise, Società italiana di studi elettorali, ha effettuato delle simulazioni secondo le quali basterà che una lista ottenga il 39% dei voti per avere più del 50% dei seggi in parlamento. Tutti i sondaggi finora effettuati dicono che il giorno dopo le elezioni nessuno tra i partiti e le coalizioni in gara avrà la maggioranza.

Facciamo nomi e cognomi e vediamo i dati, aggiornati al 1 febbraio, che rappresentano la media dei sondaggi, effettuati nell’arco di tempo delle due settimane precedenti, calcolata dalla società YouTrend per il canale televisivo La7. Cominciando dai singoli partiti abbiamo: Movimento 5 Stelle con il 27,9%, Partito Democratico 23,4%, Forza Italia 16,4%, Lega con Salvini 13%, Liberi e Uguali 6,2%, Fratelli d’Italia 4,7%, Altri Centrosinistra 3,6%, Altri Centrodestra 2,4%. Passando alle coalizioni abbiamo quella del Centrodestra (Forza Italia, Lega con Salvini, Fratelli d’Italia, Altri) con il 36,5% e quella del Centrosinistra (Partito Democratico, Altri) con il 27%. Il Movimento 5 Stelle ha dichiarato di voler rimanere da solo ed eventuali alleanze le farà dopo il voto.

Con questi dati i partiti e le coalizioni “pre-elettorali” dovranno necessariamente accordarsi e mettersi insieme per avere i numeri necessari per far nascere un governo in grado di durare, sperabilmente, per tutta la legislatura.

Ci riusciranno?

Ciò che è facilmente ipotizzabile è che inizierà una fase di consultazioni e di trattative, un po’ come è accaduto in Germania. La lunga fase di negoziazioni da cui faticosamente sembra stia uscendo la Germania a oltre quattro mesi dalle elezioni del 24 settembre rappresenta un esperimento a cui i leader politici italiani dovrebbero guardare con interesse per capire se c’è qualcosa di buono da imparare e se l’esperienza tedesca può rappresentare un esempio da seguire. Attualmente è in corso un serrato confronto tra Unione (CDU-CSU) e SPD sui contenuti dei loro programmi ed è presumibile che entro poche settimane una riedizione della “Grosse Koalition” veda la luce. Quanto all’Italia e ai 5 anni della prossima legislatura, finora al posto di dettagliate e credibili proposte politiche sono state fatte solo affermazioni di principio, riguardanti soprattutto l’economia, in gran parte prive dei necessari riscontri relativi alla loro fattibilità e, soprattutto, alle coperture finanziarie. Le promesse sono state accompagnate da un ginepraio di cifre con l’obiettivo di adescare gli elettori ma senza dargli elementi per capire. E senza riuscire a convincerli.

Le differenze delle proposte (sarebbe più corretto chiamarle dichiarazioni di intenti) fin qui rese note sono tali e tante che poche alleanze post-voto appaiono realizzabili. Se, solo per fare un esempio, consideriamo il diverso atteggiamento rispetto a un tema importante come l’Europa, euro compreso, le differenze sono abissali. Il fatto che esse sussistano anche all’interno del Centrodestra autorizza a credere che all’indomani del voto si tramuteranno in contrasti interni e scissioni (peraltro paventate e subito smentite già durante la prima fase della campagna elettorale). In questo scenario è ragionevole ipotizzare che Forza Italia possa rompere l’intesa con gli altri partiti del Centrodestra e accordarsi col Centrosinistra per formare un governo di larghe intese, una “Grosse Koalition” all’italiana. Meno probabile è che un accordo possa nascere, e durare, tra M5S e Lega. Ma in politica mai dire mai.

Comunque andranno le cose, l’auspicio è che il nuovo governo non nasca sulla base di accordi approssimativi, fatti sotto banco e destinati a fallire in breve tempo, ma dopo una trattativa seria e rigorosa, come sta avvenendo in Germania. Una trattativa che abbia come oggetto i programmi a fronte dei problemi e delle esigenze del paese e che eviti le facili scorciatoie rappresentate dagli inciuci di un passato neanche troppo lontano.

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