Nella foto: Giuseppe Mentuccia. Foto di ©Dario Acosta

Giuseppe Mentuccia a Berlino

Il direttore d’orchestra e pianista italiano Giuseppe Mentuccia si è esibito al Metropolitan Opera, all’Opera di Stato di Vienna, all’Accademia Nazionale di Santa Cecilia (Roma), all’Opera di Stato Unter den Linden e alla Filarmonica di Berlino. Attualmente è l’assistente musicale di Daniel Barenboim alla Staatsoper Unter den Linden. Ha lavorato anche con direttori come James Levine, Myung-Whun Chung, James Conlon, Marco Armiliato, Manfred Honeck e David Robertson.

Nella stagione 2020/21, Giuseppe Mentuccia ha debuttato alla Staatsoper Unter den Linden con “Il flauto magico” di Mozart, e alla Barenboim Said Akademie ha diretto la neonata Barenboim Said Akademie Orchestra.

Giuseppe Mentuccia ha vinto numerosi premi come pianista, ad es. il Premio Vittoria come miglior diplomato del Conservatorio di Santa Cecilia ei primi premi al Concorso Musicale Internazionale del Rotary Club e al Concorso Concertistico Juilliard Stravinsky. Il suo interesse per il rapporto tra filosofia e musica si è riflesso in una tesi di dottorato sul direttore d’orchestra Sergiu Celibidache intitolata “Fenomenologia e visione musicale di Sergiu Celibidache”.

Lo abbiamo incontrato a Berlino, prima dello spettacolo del “Il flauto magico” nella messa in scena di Yval Sharon. Una rappresentazione che focalizza sulla giocosità e sui doppi sensi, dai costumi con forti connotazione sessuali alla decisione di rendere tutti i personaggi burattini viventi, alla mercè di bimbi che vogliono mantenere una giocosa spensieratezza in un mondo fin troppo complesso e triste. Uno spettacolo che non annoia

Come per te dirigerla e cosa significa per te personalmente quest’opera?

Portare ad un risultato tutte le esperienze che ho fatto, anche dal punto di vista musicale, con questa opera e con tutte le opere di Mozart che ho preparato sia da assistente che da maestro collaboratore che da direttore. Perché veramente? Soprattutto in composizione, con uno che ha scritto di tutto, diciamo dei generi operistici. Ha fatto l’opera italiana, ha fatto l’opera seria. L’opera “Da Ponte” ha fatto chiaramente tutto l’opera buffa. Praticamente è un processo quasi naturale, perché per ogni musicista Mozart è uno dei compositori di riferimento; quindi, per me si tratta veramente di portare tutta la conoscenza che si ha di questo compositore e di trasmetterla a all’orchestra, ai cantanti e al pubblico. È un grande privilegio di dirigere quest’opera su anche qui, soprattutto qui, perché c’è una grandissima tradizione di performance.

Quando hai iniziato a fare musica?

Credo che all’inizio sia stato fortunato perché venendo dalla famiglia di musicisti non avevo nessuna aspettativa, un grande vantaggio che mi ha dato la libertà di scegliere e di rimanere con questa scelta come se fosse, come è d’altronde la una scelta personale. A fare qualcos’altro? Chiaramente mi sono interessato tantissime altre cose al lato della musica, ma non è mai stato messo in dubbio.

La Juilliard non è sicuramente una passeggiata, come è stata per te?

Un po’ particolare la cosa perché ho finito l’Accademia di Santa Cecilia dove avevo conseguito il diploma. E quindi ho pensato, già essendo stato in America per dei concerti in Florida, avevo fatto uno stop a New York e avevo visto questa città fantastica, piena di luci di traffico di sembrava un film. Si comincia già un anno prima a fare dei processi di selezione, perché ci sono tantissimi studenti che vorrebbero entrare. Si va dai processi di selezione, prima una registrazione, poi vari processi, scrivere dei saggi per spiegare il motivo per cui si vuole affrontare un percorso di studio. Indi arriva l’invito all’audizione. Uno dice perché no? E quindi io ho provato son partito e sono andato. Insomma, l’avventura veramente, senza aspettative, ma cosciente della grande opportunità che mi era data. Ho iniziato con il master in pianoforte e poi ho continuato con il dottorato e circa a metà del programma di sono entrato in contatto col mondo dell’opera al MET.

Quali sono le sfide per te? Ha detto prima per essere il direttore, significa conoscere bene il pezzo di interagire con i cantanti, con il regista. Qual è la cosa che più ti gratifica da questo ruolo che sembra facile?

E un’orchestra fantastica dei cantanti fantastici che con cui ha lavorato prima che quindi sono pronti, capiscono il tuo linguaggio, capiscono ciò che vuoi, ma il lavoro del direttore è proprio quello di portare insieme, di mettere insieme tutta questa compagine numerosissima di musicisti e cercare di. Una linea interpretativa per tutto il pezzo che può venire solamente dal direttore, perché è il direttore che riesce ad avere il contatto con tutte le compagini delle teatrali, quindi con quello che succede sul palco, quello che succede in buca, quindi la cosa più gratificante e quando raramente si riesce ad avere.

Come procedi quando devi dirigere qualcosa che non hai mai diretto prima come qual è il tuo approccio?

Ma la cosa generale credo che uno spera diciamo di avere avuto contatti con i generi, un contatto più vasto possibile con i generi di musica diciamo, non ci sono tanti, ovviamente tantissime composizioni, tantissimi, tantissime opere, tantissime sinfonie scritte, ma più o meno ci sono dei rami fondamentali e quindi la cosa importante secondo me è che è quello che ho fatto, specialmente nel mio lavoro quando era a New York è stato quello di avere contatti con più o meno, la maggior parte di queste, di questi rami musicali, di queste epoche, quindi conoscere in generale il linguaggio e quindi anche di sviluppare una propria idea riguardo queste questi stili, questi stili musicali, poi chiaramente ogni opera è una lingua, uno può imparare.

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