Attore, regista, sceneggiatore, Grieco vanta una lunga esperienza nei media. Lo abbiamo incontrato all’edizione 2019 del Festival del Cinema Italiano di Villerupt (Francia)

Tu ha iniziato la tua carriera, come attore in un film di Pasolini…

Alcuni mi hanno chiesto, all’inizio di fare l’attore. A 15 anni era una sensazione gratificante, ma io ero totalmente negato. Eravamo appena al primo giorno di ripresa del film “Teorema” di Pasolini, quando gli comunicai che dovevo smetterla, perché non ero adatto alla recitazione. Pasolini tagliò, alla fine, la parte, ma insistette sul fatto che dovevo almeno esserci in una scena.

Però, pur rinunciando a fare l’attore, non ti sei allontanato dal cinema.

Il cinema l’ho sempre amato, ragion per cui ho anche fatto tutti i mestieri possibili ed immaginabili nel mondo del cinema. Dopo aver fatto l’attore sono stato assistente alla regia per diversi registi, tra cui Pasolini e Bertolucci. A 18 anni Bertolucci vuole produrre il mio primo film da una soggetto che ho scritto, ma questo mi spaventa. Così decido di dedicarmi alla critica cinematografica diventando, a 21 anni, titolare della rubrica di critica cinematografica presso L’Unità. A 30 anni circa lascio il giornale e incomincio a fare lo sceneggiatore, il produttore e il regista.

In questo tuo percorso è andato sempre tutto liscio come l’olio?

È stato un continuo andare avanti e indietro, perché sono io a sceglierlo. Io sono una persona che lascia i posti di lavoro. Ho concepito, per esempio, un programma “Hollywood Party” che ancora esiste su Radio 3, però, dopo 2 anni mi sono stancato e non l’ho più voluto fare. Ho lavorato per Canal+, che poi ho mollato quando è stato acquisito da SKY. Fare sempre la stessa cosa mi annoia, per cui devo cambiare.

In che cosa consiste la diversità/varietà che cerchi?

Io mi cimento con le cose e, nel momento in cui mi riescono, mi chiedo se è proprio quella la cosa che voglio fare in assoluto. Visto che la maggior parte delle volte la risposta è stata no, ho deciso di passare ad altro. Se non avessi adottato questo approccio avrei fatto, probabilmente, tantissima radio, perché il mezzo che mi si addice di più è la radio. E se avessi seguito la passione per la radio da 25 anni farei solo radio, il che sarebbe limitativo.

Hai anche scritto libri. Come cambi quando diventi autore?

Ho da poco finito un romanzo, americano ambientato a New York: potrei dire che, anche questo la trasposizione di una mia esperienza di vita che è diventata qualcos’altro. Cosa che non succede solo con i libri, ma anche con il teatro o il cinema.

Cosa non hai fatto finora e potrebbe arrivare nel 2020?

C’è chi dice che, fondamentalmente sono uno sceneggiatore, può darsi, per me è difficile stereotiparmi. Ho, a volte, la sensazione di aver fatto tutto, anche se c’è ancora tanto da fare. Mi piacerebbe, per esempio, fare una serie televisiva nel modo in cui vengono fatte oggi da Amazon Prime Video o da Netflix. Potrei diventare, come viene definito oggi, uno showrunner, cioè uno sceneggiatore che non solo è responsabile del soggetto iniziale, ma articola tutta la successione degli episodi. Dovrebbe, però, trattarsi di una serie coraggiosa, che rievochi, per certi sensi, il cinema d’autore di una volta.

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