Nella foto: Bertrand Russell. Foto Wikipedia

Sotto la lente di Russell: Sant’Agostino e la critica alla morale e alla escatologia cristiana

In occasione dalla prima edizione della notissima Storia della filosofia occidentale di Bertrand Russell – frutto di un ciclo di lezioni tenute negli anni di guerra fra le Università di Chicago e di Los Angeles (1938-1944) – merita di riesaminare il pensiero di un Padre della Chiesa Cristiana, proprio letta e commentata da un filosofo che si era professato di non essere cristiano, in un altrettanto famoso saggio dal 1927.

A tal proposito, è opportuno sgombrare il campo dagli equivoci e dire subito qual’è il grado di ateismo di Russell.

Nel citato saggio del 1927, dal qual non si è mai del tutto discostato, in 15 capitoli afferma la sua intima convinzione che tutte le religioni non solo sono false, ma primariamente dannose, perché razionalmente la fede è in radicale contrasto con la conoscenza scientifica di cui era notorio paladino e la falsità provava la natura non vera del dogmatismo di cui le fedi sarebbero impregnate soprattutto a danno dei fedeli stessi. I dogmi dell’esistenza di Dio ed immortalità dell’anima erano gli ostacoli più duri che gli si frapponevano, ma la figura del Cristo lo intrigava e perciò lo classificava comunque il più saggio degli uomini. Emotività, crudeltà, rifiuto della paura che le fedi cristiane avevano ingannato fino al ‘900 e che le armi del libero intelletto – ma non il ibero arbitrio! – e della scienza moderna vennero da lui sfoderate in un linguaggio sarcastico travolgente che lo esporrà, fin dalla lettura dei suoi saggi al City College di New Yor, l’Università che lo aveva accolto fuori dal Galles di cui era originario, un ferocissimo insieme di insulti ed attacchi che però ne fortificarono lo spirito altrettanto aggressivo ed ironico.

Se allora prendiamo le pagine sull’Agostino della Città di Dio, nel suo primo volume della Storia della filosofia occidentale di un decennio più tardi, Russell da storico non di poco talento, parte dal contesto del primo Sacco di Roma dal 410 a. c., quando i Goti di Alarico la saccheggiarono selvaggiamente, aprendo così i tempi ai secoli bui del Medioevo, quando i filosofi pagani trovarono le ragioni perché gli Imperatori avevano abbandonato Giove per Cristo.

Da qui la scelta di dare un contenuto cristiano, una filosofia della storia, che dominerà l’intero Medio Evo fino a Cartesio. Ora, Agostino scopre una profonda aporia fra la città dell’uomo e la città di Dio. L’una è retta dal diavolo ed è la società materialista ed empia; l’altra rappresenta la società dei Giusti, la città Celeste. Solo che i due campi non sono e non saranno mai dal tutto separati. Carne e Spirito non si sovrappongono dalla nascita alla morte di tutti gli uomini, come diceva Agostino. Nè’ l’amore quotidiano per Dio, ovvero il suo disprezzo, lo fanno vivere o morire. Piuttosto, sarebbe la coscienza dell’Uomo a sapere discernere l’una dall’altra.

Non saranno la Carità, la Fede e la Speranza ad abitare nell’uno o nell’altro degli uomini sempre a dire di Agostino. Babilonia e Roma, Gerusalemme ed Atene coabitano però di fatto l’una nell’altra. Solo alla fine dei tempi e della storia, la Salvezza di Dio avrà la vittoria e quella separazione solo allora per Agostino verrà meno. Benché il contorno dall’opera avesse un tono non del tutto rigettabile anche dalle analisi di un razionalista qual’era Russell, ciò che caratterizza la sua ricerca acribica è la critica particolare fatta alla cultura pagana, dove emerge la verità fattuale e la sottile menzogna che Agostino oppone a fini salvifici.

Per esempio, andando a ritroso nel tempo, mentre di fatto non poche chiese romane si salvarono dal saccheggio dei Goti; quante furono invece quelle are religiose pagane non distrutte dai Romani a Cartagine? Spesso per Russell i Cristiani romani, anche dopo l’editto di Costantino non mancheranno di continuare a distruggere i templi pagani e l’esempio delle città oggi dell’Ucraina rase al suolo dai Russi, prosegue in questa fatale contraddizione col Cristianesimo professato. Russell amaramente osa dire che il Giudizio Universale, tanto proclamato da Agostino, rimane sempre una fantasiosa speranza di Salvezza.

Solo che quella sanatoria di fine della storia, non avenne mai e a goderne fu solo la Chiesa Cristiana, che su tale presunta certezza resse il suo Potere per più di 10 secoli. Del resto, la menzogna salvifica è proprio per Russell la predetta contrapposizione/commistione fra la città terrena e quella celeste: infatti, vede come velleitaria e fuori da ogni logica la summa divisio fra i buoni predestinati e i cattivi. Il silenzio di Dio su come avverrà questa separazione finale, che porterebbe il principale oppressore sedere accanto a Dio e il più buono all’inferno, lo fa impazzire e lo trascina nell’estendere l’incredibilità a tutta la dogmatica cristiana. Neppure è possibile sintetizzare le obiezioni teoriche alla teoria dell’immortalità dall’anima, all’inferno, alla creazione in 6 giorni, ecc. ecc. In altri termini, sembra che Russell, nella parte legata alle origini del Cristianesimo, altro non è che la ennesima riproduzione delle critiche illuministiche di Voltaire.

Ma è la morale sessuale la materia che di più scotta. Adamo ci avrebbe condannati alla dannazione eterna; la grazia di Dio, per mezzo di Cristo, ci ha peraltro liberati (ma quanti? Si chiede Russell: tutti? Molti, pochi ?). E perciò è l’anima la seda del peccato, mentre la carne ne subirebbe solo gli effetti sia nella dannazione, sia nella liberazione dal peccato. Ma il desiderio carnale resta inestinguibile, onde l’asceta solo con fortissime tensioni può restare immune, oppure il povero fedele dovrà ricorrere al calvario delle continue punizioni corporali e Martin Lutero seppe bene come flagellarsi da monaco agostiniano.

Certamente, l’essere volontario e l’essere cristiano dovrebbero trovare una mediazione che la Chiesa Cristiana non riuscì a dare e che la Riforma Protestante fatica a ritrovare, proprio perché la fonte della religione Cristiana, la Bibbia, ha prodotto una quantità di dogmi che oggi stanno ostacolando la vita religiosa, non solo in campo sessuale, ma anche in materia morale e giuridica.

Russell esemplifica la cosa col decalogo e poi il divieto di omicidio. Ebbene, appena si dimostra che l’unità logica di quei testi venisse meno – e tanti sono gli episodi storici che l’hanno indebolita e messa in dubbio, come nel caso della terra che non si muove e di Galileo – allora, perché non uccidere? E che dire dell’Onnipotenza del Creatore che poi non si riesce a dimostrare, e perfino a dubitare visto la conclamata innocenza dell’Universo?

In altri termini, mentre una fede religiosa incarna una verità eterna; la scienza oggi è sperimentale, nel senso che prima o poi muta nelle premesse e genera nuove conseguenze tecniche. Di qui la distinzione Kantiana fra conoscenza e morale: l’una deve arrestarsi in campo non scientifico; l’altra si impone come un modo di sentire i bisogni dell’Umanità e dunque è necessaria per capire il destino umano. Galileo ci disse che Egli studiava il moto degli astri, non la loro intima realtà motoria.

Trasportando dunque nella città di Dio, questa rilettura complessiva del rapporto fra scienza e fede, potremmo con Russell storicizzare un passaggio ideale del pensiero cristiano che Agostino ci ha illustrato e che Russsell e ci ha illuminato nella parte finale del capitolo dedicato alla Città di Dio.

Ebbene, se esaminiamo la Bibbia nell’ottica storica e rileggiamo i concetti politici e sociali cui i libri sacri fanno riferimento, e se cessiamo di entrare troppo nel merito delle vicende narrate, spesso inverosimili per logica e per natura; ci potremmo accorgere che la escatologia ebraica, ha fortemente influenzato il Cristianesimo. Sicuramente i principi ebraici fin dalla storia antica furono un imponente magistero per tutti i dimenticati della terra ed Agostino non potè non applicarli all’età cristiana. E Carlo Marx acutamente lo riprese nel suo pensiero, già maturato negli anni giovanili.

Di qui, Russell dipinge un quadro psicologico di un’inedita relazione tipologica fra Agostino e Marx, elencando un dizionario di idee che dall’uno passano all’altro in uno spettacolare confronto dopo 18 secoli. Ci permettiamo quindi di ripeterlo proprio per dimostrare come non si può non essere cristiani come ha detto Croce, cosa ben diversa dal perché non sono Cristiano di Russell. Invero il mito di Yaveh corrisponderebbe al materialismo dialettico; il Messia a Marx; gli eletti a Proletariato; la Chiesa al Partito Comunista; San Paolo a Lenin; la Seconda Venuta alla Rivoluzione; l’inferno alla punizione dei capitalisti: il Millennio alla Società comunista. Un contenuto per Russell di natura puramente sentimentale, utile a formare una continuità fra i due movimenti, onde l’educazione ebraico-cristiana giustificherebbe ed avvantaggerebbe – come di fatto lo fu! – la escatologia di Marx.

Con una punta di ironia, tipica dall’ateo di formazione illuminista, Russell non pensava che tale accattivante equiparazione – per altro suggestiva per Max Weber e Oswald Spengler portatori di tali analogie -derivava dalla scelta di fede autentica del Cristiano e non del filosofo Agostino. Questi non poteva prevedere che il suo Credo potesse laicizzarsi lungo i secoli e secolarizzare le società future senza lo Spirito Santo che la Provvidenza Divina ci ha donato per superare le difficoltà della vita.

Agostino scrive, sulle orme di Paolo, sulla Resurrezione nelle ultime pagine della Città di Dio: La Carne risorgerà magari in forme nuove piene di Spirito, ma sempre Carne sarà e lo spirito pur sottomesso alla Carne, rimarrà sempre Spirito… E qui Russell e le scuole razionaliste e scientifiche si arrestano interdetti.

La storia finirà con il giorno del Signore, un ottavo giorno consacrato con la Resurrezione di Cristo e che raffigura il riposo eterno, non solo dello Spirito, ma anche del Corpo? Là riposeremo e vedremo e ameremo e loderemo Dio. Ecco ciò che sarà la fine senza fine. E quale altro scopo sarà il Nostro se non quello di arrivare al Regno che non ha fine?