Seconda parte del racconto

La nuova sponda

Un altro breve romanzo, “La ballerina”, (1899) era uscito silenziosamente dalle sue mani, mentre il pubblico aspettava con ansia la stampa dei tradizionali romanzi rosa – per esempio, “Gli amanti” (1894) e “Le amanti” dello stesso anno – e la critica con Giovanni Cena, dalle colonne della “Nuova antologia”, tuonava contro la scuola naturalista italiana che “alimentava l’ignoranza delle casalinghe napoletane”. Piuttosto, nella “ballerina” veniva a coesistere il classico amore del ricco libertino per la povera “operaia” e il costante loro abbandono spesso sulla via della prostituzione per fame; e la stupefacente devozione dell’amata, imbruttita e desolata, che lo veglia tutta la notte, quasi vicina al suicidio…Ma è con la successiva “suor Giovanna della Croce” (1901) che la barriera verista viene superata. Partendo da una vicenda di vita monastica di donne sepolte vive – e qui, la difesa della libertà femminile permane! – perché in assoluta clausura, con il viso coperto da un velo nero impenetrabile, ma contente di essere finalmente libere nel loro intimo; interviene la legge Crispi che abolisce quei conventi e dunque Giovanna torna civile in età matura. Ma qui sta il dramma: è tornata nella società dell’oppressione, dell’amore impossibile, della povertà salvo a vender il proprio corpo, a lavorare duro per ricevere solo odio e dolore… E’ una vecchia cameriera che raccoglie le mance dei clienti per superare la tristezza dell’amore e la fame incipiente. Al termine del romanzo, la vecchia ex suora incontra una ricca sposina nel ristorante di lusso dove la poveretta pulisce i tavoli. La sposina le vuole dare un’elemosina, mentre il marito infastidito vuole mandarla via. Inizia allora un dialogo serrato, dove il lettore attento non vi può non ravvisare una profonda analogia con vari brani di Čechov, per esempio della “Signora col cagnolino”, un racconto molto celebre del 1899, il cui finale nostalgico aveva impressionato la platea europea. Anche qui, la nostalgia del giovane periodo di clausura è molto sottolineata: Giovanna non rinnega neppure il presente e la vita mondana. Era una vinta, ma mai doma, come le umili eroine successive della produzione della Serao, ormai passata alla sponda del nascente espressionismo.

Critiche e polemiche

La polemica subito scoppiatele addosso, con l’ex marito Scarfoglio in testa, che le rimproverava di essere diventata una “femminista della peggior specie”, con le deboli critiche positive del Croce che nel 1922 interpretò e ultime scene della “ballerina e della “Suor Giovanna“ come un fuor d’opera, quasi un inutile orpello, o peggio un sentimento retrivo di misticità irrazionale, quasi una revisione radicale dello spirito verista del primo periodo romano e napoletano. Ma non mancò però una critica ben più organica, che fuggì dai canoni storicistici e delle pastoie idealiste, sollevate perfino contro l’ultimo Hugo e che nel melodramma naturalista di Mascagni e Leoncavallo allo scoccare del nuovo secolo tentavano di soffocare il genio di un Fogazzaro e di un Pirandello. Lo scandalo letterario della “ballerina“ che baciava un cadavere; di una vecchia che rimpiangeva la vita monastica di clausura; fecero dire a Leo Spitzer, giovane critico classico di Heidelberg, quando nel 1914 vide un dramma della Serao a Napoli – “O Giovannino o la morte” (1912) – che la scuola naturalista di Zola – e lo stesso verismo di Verga – aveva avuto una madrina romantica nella Serao. Gli era nota la sua simpatia per il brutto e il deforme, ma non dimenticava le donne napoletane che con Lei ardevano d’amore, trasgressive sì, ma lottatrici e di superba moralità. Di qui, perché non accertarne un percorso di redenzione morale? Forse che la “Santuzza” di Verga era meno donna della “Katjuša Maslova” di “Resurrezione?” Forse che Giovanna non poteva stare in quell’Olimpo letterario altrettanto reale? Giudizio che dava alla poetica della Serao un supplememto d’anima, che ben si confaceva, pur in forma mistica, all’espressionismo religioso che proprio in Germania stava emergendo nei drammi di Hauptmann.

Scrittrice geniale

Spitzer concludeva la sua isolata ma penetrante analisi sulla Serao, qualificandola come una scrittrice geniale ed epica, in quanto adoperava una tecnica simbolica molto suggestiva di stampo giornalistico, però da suscitare nel lettore uno straordinario senso di memoria individuale e collettiva, che avrà nel mondo tedesco uno straordinario epigono in Bertold Brecht, sopratutto nella “Opera da tre soldi”, una straordinaria sintesi di verismo e espressionismo tarato sul messaggio politico. “Dare del genio” ad un autore non ci pare improprio, nella misura in cui la sua arte non esclude un valore politico, come se di Platone si facesse il resoconto senza parlare della sua “Repubblica” (così Spitzer). Orbene, anche su questo terreno, l’opinione pubblica assistette ad una conversione, ovvero ad una perfetta osmosi fra giornalismo e letteratura. Il suo iniziale benvolere per il radicale Cavallotti, divenne simpatia per il democratico Colajanni durante la vicenda dello scandalo della Banca Romana. Noti furono i contrasti con Carducci, traditore dell’ideale libertario e romantico. Amica fu del Pascoli e del giovane D’annunzio e poi dei socialisti napoletani, con Cafiero e poi ammirò il coraggio di Enrico Malatesta.

Il Nobel mancato

Tuttavia su due punti le biografie si sono sempre divise: in primo luogo, il suo silenzio politico e anzi una certa condiscendenza sul Fascismo, quando nel 1922 il suo “Giorno” sembrava aderire alla “Marcia su Roma” contro l’opposizione dell’ex marito sulle pagine del “Mattino”. Ma la negazione del femminismo di inizio secolo appare poi in linea col suo carattere sarcastico, quando alla domanda diretta sbottò ridendo “di non saperne nulla…” Le sue simpatie socialiste e l’antipatia per Mussolini le fecero perdere però il Nobel nel 1926, quando il Governo italiano non appoggiò la sua candidatura, segnalando invece la meno quotata Grazia Deledda, più condiscendente verso il Regime. Fu il suo pacifismo e le forti contumelie lanciate contro Giolitti nella guerra di Libia nel romanzo “La mano tagliata” del 1912 e nell’ultima rielaborazione delle sue prime novelle “La vita è così lunga!”del 1918 ad isolarla nel primo dopoguerra. Infine, l’ultimo romanzo, “Mors tua”del 1926, fu un inno al pacifismo e una preghiera di tutte le madri contro le guerre, un canto epico per tutte le stagioni ancora degno di essere ricordato.

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