La vita dei militari italiani internati in Germania

Chi resiste all’inferno, lo vince: chi fu Rosario Serino (1913-2002)? „Un uomo ligio al dovere e fedele ai suoi principi morali, sicuramente un uomo forte: forte come i suoi pensieri, le sue idee con le quali ha convissuto la prigionia e con le quali ha scelto“, scrive il suo nipote e biografo Eugenio, pugliese salentino che vive e lavora a Firenze quale Account Director Florence Complex presso Marriott International.

Accanto a questo impegnativo compito egli ha curato la pubblicazione dei diari scritti dal suo nonno paterno Rosario durante la prigionia nei campi di concentramento tedeschi, e pubblicati recentemente presso il Musicaos Editore con il titolo „Il diario del tenente Rosario Serino / Memorie della prigionia 1943-45“.

Nella sua prefazione il nipote Eugenio scrive del nonno: „Dopo quasi due anni di prigionia nei campi di concentramento di Kaisersteinbruch (Vienna), Siedlce (presso Varsavia), Sandbostel XB e Wietzendorf Oflag 83 (tra Amburgo e Brema, dopo aver sentito la paura di non farcela ed aver visto gli orrori umani più infimi e crudeli, tornò a casa il 28 agosto 1945. Con lui tantissimi militari, i cosiddetti Internati Militari Italiani: più di mezzo milione nei Lager della Wehrmacht“. I tedeschi li classificavano come Italienische Militär-Internierte (IMI) allo scopo di privarli della protezione della Croce Rossa Internazionale, di ogni garanzia giuridica e di ogni soccorso esterno. „Sono povere vite invecchiate anzi tempo / visi scarni / segnati dal morso della fame / Occhi grandi, troppo vivi / ingranditi dagli spasmi / labbra turgide, aride di febbri, / figure stanche / incurvate sotto il peso di un destino ingiusto“ è una descrizione dei suoi compagni tratta da una delle poesie da lui scritte in quelle circostanze. Era stato arrestato dai tedeschi a Urosevac, in Jugoslavia, e venne internato con il numero di matricola 150637 dopo aver respinto ostinatamente le proposte tedesche di collaborazione o quanto meno di adesione al fronte del lavoro. Rientrato dopo due terribili anni nella natia cittadina di Parabita, in provincia di Lecce, divenne poi maestro di scuola elementare e così visse, uomo discreto e tranquillo, fino al suo pensionamento ed alla morte. Il 29 dicembre 2018, su decreto del Presidente della Repubblica, gli è stata conferita una medaglia d’onore alla memoria. Per lui intervistiamo il nipote Eugenio.

In tutto il materiale che ha posto a disposizione, ciò che mi è più piaciuto è che esso è così immediato, perché si tratta di appunti presi lì per lì, sul posto, e non a posteriori, quali ricordi rielaborati dalla memoria come in altri casi.

Tanti diari sono venuti fuori dopo un po’, perché tante persone, una volta rientrate in patria. avevano ritegno di parlare delle loro sofferenze e delle umiliazioni patite: il più emblematico è il „Diario di un clandestino“ di Guareschi, che come mio nonno è stato pure lui prigioniero in Germania nei due campi di Sanbostel e Wietzendorf, ed oltre a lui c’è stato pure il famoso Alessandro Natta, il futuro dirigente del Partito Comunista. E c’è stata anche molta altra gente meno celebre, che comunque scriveva anche per sentirsi più vivi e far passare un po’ di tempo. per viaggiare con la mente, per proiettare la vista nel futuro sebbene fosse rinchiusa dentro le quattro mura di un Lager, e come dice Lei, questa è veramente una cronaca della vita nel Lager quella che mio nonno Rosario ha scritto, una cronaca quasi giornaliera con i dettagli della fame, dei dolori, delle pulci, degli appelli in mezzo alla neve, dei vagoni della deportazione, tutto quello che lui purtroppo ha vissuto in due anni di deportazione.

Lei sapeva dell’esistenza di questi documenti, Suo nonno gliene ha parlato, oppure li ha scoperti dopo la sua morte, per puro caso?

Mio nonno era una persona piuttosto riservata, aveva un’educazione con la mentalità del ‘900, quindi persone tutte d’un pezzo, poca condivisione, manifestazioni d’affetto contenute, i figli sapevano qualcosa della sua condizione di deportato nei campi nazisti, però lui effettivamente con noi nipoti non ne ha mai parlato, e noi sapevamo che era un capitolo da non aprire, perché non volevamo dargli dolore nel ricordare.

E poi come li ha scoperti?

Il nonno è morto nel 2002. La sua casa è poi andata a un mio zio, che ha fatto un po’ di ristrutturazione movimentando parecchio cose che erano rimaste lì a giacere. Nel baule delle sue cose, assieme alle mostrine, alle medaglie ed alle cose che erano rimaste della gioventù e della guerra, è venuto fuori questo diario. Consideri che mio zio è un generale dell’esercito in congedo, e quindi quando queste cose sono saltate fuori lui ne ha fatto una vetrinetta, e poi abbiamo visto queste scartoffie che mi hanno aperto una dimensione che non mi era conosciuta, e che ho potuto vivere così da vicino. Vorrei specificare che mio nonno ha scritto quel diario quando aveva trent’anni, ed io l’ho letto a ventisette, quindi c’era un equilibrio di maturità, sebbene lui fosse probabilmente più maturo per le situazioni più difficili che aveva affrontato; però come pensieri, emozioni, istinti eravamo quasi simili e così dopo averlo letto mi è venuta fuori tutta un’altra dimensione di lui. C’è una canzone degli Stadio che non credo sia famosa in Germania, e che dice: „E come il nonno di oggi sia stato il ragazzo di ieri“; ed in questo modo ho potuto toccare con mano le esperienze fatte da lui quando aveva la mia età, meglio che su qualsiasi libro dell’università, delle elementari o di scuola media.

Scusi, cos’era quella canzone che ha citato?

Gli Stadio sono un gruppo emiliano che andava in voga negli anni ‘80, e la loro canzone che è stata il loro apice s’intitola „Chiedi chi erano i Beatles“.

Come le è venuta l’idea di pubblicare questi diari?

Io prima li ho letti subito dopo la morte del nonno, sarà stato nel 2002 o 2003…

Ed era una scrittura chiara?

Sì, poi lui li aveva pure ricopiati in bella copia su fogli protocollo, con la scrittura svolazzante e arzigogolata del primo ‘900, che io non ho avuto a scuola, mentre gli originali sono scritti in maniera più approssimativa. Però è stato un piacere leggerli. Insomma, io li ho tenuti con me, e ogni anno, ogni volta che ricorreva il giorno della memoria, dicevo a mia moglie: „Io devo finire quel diario, devo farne qualcosa“. Però i miei zii obiettavano che il nonno era una persona riservata, che forse non voleva, e che quelle cose le aveva scritte per lui. Io allora un’estate li ho radunati tutti quanti a casa, e gli ho detto: „Guardate, signori, per me questo testo ha un valore storico. Che lo abbia per me o per noi famiglia, non lo so, comunque credo che abbia un’importanza tale da dargli un’audience importante da tramandare e da pubblicare. La prima sera loro sono rimasti un po’ così. Poi ci siamo rivisti prima della mia partenza per Firenze, e lì li ho quasi convinti, ed allora ho cominciato con una richiesta della medaglia al presidente della repubblica, che nel giorno della memoria del 2018 è stata consegnata dalla prefettura di Lecce. E poi da lì ho avuto carta bianca, ed ho potuto pubblicare i testi. E devo dire che l’esperienza di mio nonno, fatta sia in guerra, sia come maestro di scuola, ha una valenza educativa perché i valori con i quali ha vissuto durante la prigionia li ha portati ai suoi alunni in classe. E devo dire che ogni volta che io faccio una presentazione in classe, che sia una scuola elementare, media o superiore, mi arrivano commenti, disegni, le maestre e le professoresse mi chiamano per dirmi che gli alunni sono stati contentissimi. Il liceo classico Quinto Ennio di Gallipoli ha preso spezzoni assieme a Primo Levi, a Italo Calvino, a Senofonte (l’autore greco) il libro del nonno, ed hanno creato un video che ha vinto il primo premio a livello nazionale. Il racconto del nonno si perpetua ogni volta che faccio una presentazione in classe, e questa per me è una grande vittoria personale perché, come dicevo prima, c’erano tante titubanze della mia famiglia, ma questa è la riprova che avevo fatto la scelta giusta.

Lei personalmente che rapporto ha con la Germania?

Io sono innamorato della Germania. Le devo dire la verità: io ho studiato scienze politiche all’università ed ho studiato anche la scienza delle relazioni internazionali dalla seconda guerra mondiale fino all’Unione Europea, e per me la Germania è un modello da emulare, per la tenacia e la forza. Hanno perso la prima e la seconda guerra mondiale con un disastro totale politico e morale, e sono riusciti a ricostruirla e farne una potenza mondiale. Dopo la riunificazione del 1990 i tedeschi sono riusciti a diventare la stella polare dell’Europa, e da italiano devo dire che li ammiro.

Lascia una risposta

Please enter your comment!
Please enter your name here